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Gli spossati

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

18
GEN
2013

 

Berlusconi riconquista il suo elettorato? Non è certo merito di Santoro, che nella puntata di Servizio pubblico si è limitato a fare il suo mestiere. Due considerazioni veloci: 1) i conduttori non sono tenuti a opporsi all’insostenibile nefandezza del Cav. Non sono certo Ilaria D’Amico o Lilli Gruber – che pure non l’hanno risparmiato - a dover contenere con argini programmatici tutta la cabarettistica incontinenza dell’energico vegliardo. Semmai è la sinistra che dovrebbe farlo, con o senza il centro, tanto è uguale. Bersani, quando non si addormenta durante i suoi stessi discorsi, pensa a creare nuove metafore – ma c’è Crozza per questo! - e a scegliere colonne sonore per gli spot elettorali: ora è la volta di “Inno”, della brillante Gianna Nannini, nel senso che sembra un po’ brilla: ascoltate la traccia e mi darete ragione. Forse la cantautrice senese aveva mal di testa il giorno in cui ha scritto il brano e mal di gola quando l’ha registrato, sta di fatto che la preferivo quando cantava “America”. 2) Dopo tutte le loro inenarrabili avventure, se gli italiani si ostinano a dar credito al PdL e al suo Presidente ebbene non siamo di fronte a una diabolica perseveranza, ma a una collettiva demenza o a una insana rassegnazione. Già, perché alternative liberali non ce ne sono, e piuttosto che votare una sinistra tutta inviluppata su se stessa, sconclusionata e inefficace, fanno spallucce e pensano che sì, almeno Berlusconi fa ridere. 
Stiamo ricadendo nel limbo narcotico delle promesse, blanditi e passivi come lo sono i deboli stanchi. Non siamo stupidi, siamo solo infiacchiti e senza orgoglio. Spostati no, ma spossati sì. Se solo riacquisissimo consapevolezza delle nostre capacità, dei nostri primati, della nostra unicità come italiani, se solo fossimo fieri di appartenere al Paese dei limoni, come lo chiamava Goethe, e non alla Terra dei cachi, allora sì che saremmo in grado non solo di distinguere i nostri rappresentanti, ma anche di valutarli con diversi criteri rispetto a quelli utilizzati finora. Ci vorrebbe insomma una grande quantità di autostima collettiva: solo così la nostra creatività, il nostro paesaggio, il nostro patrimonio artistico-culturale e anche la nostra diversità diverranno finalmente risorsa e non impiccio. Non siamo un Paese facile da governare? Niente di più sbagliato: è la classe politica a essere inadeguata e incapace di valorizzare le nostre eccellenze e la nostra unicità.
Di fronte a tale cronicizzazione dei mali d’Italia, il dottore consiglierebbe prima un bel respiro, poi di cantare una canzone (che non sia “Inno” della Nannini, per carità sennò signora mia ci piglia male) e di assumere tre volte al dì una dose massiccia di senso civico e di partecipazione. Con questa cura ricostituente, l’italica fiacchezza prima o poi passerà.        
   
 



Commenti:

Mimmo calabretti 21/GEN/2013

...brillante editoriale!

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