Armiamoci, partite e via al televoto

I presagi di tempi bui ci sono tutti, compresi il cielo di sabbia e i tweet e i selfie di Salvini in grande operazione sciacallaggio mediatico sui luoghi degli attentati. Tra l'altro, strano poi - ma non più di tanto - che la settimana lavorativa del campione di assenteismo all'Europarlamento finisca di martedì, visto che lui stesso ha riferito che stava per imbarcarsi di ritorno da Bruxelles proprio poco prima dell'attentato. Ma tant'è, certe occasioni sono troppo ghiotte per non cavalcare l'onda social dell'emotività, rivolgendosi alla pancia impaurita degli elettori piuttosto che alla loro parte pensante. Pochi hanno cambiato stavolta l'immagine del proprio profilo con la bandiera belga, forse perché gli attentati stanno diventando così frequenti da non riuscire a star loro dietro, o forse perchè il giallo, rosso e nero non donano particolarmente, anche a quei buoni di cuore che spesso peccano di qualunquismo. E poi la rabbia, la rabbia e l'orgoglio, questa è una guerra, siamo in guerra, andiamo là e ammazziamoli tutti, fuori tutti, l'unico a fare qualcosa è Putin, bravo Putin: questo, più tutto un lessico mutuato da certe tifoserie calcistiche o da qualche libro di Oriana Fallaci, è il campionario più frequente in circolazione: sventurato quel paese che ha bisogno di fare il gioco della torre, in bilico tra intrattenimento e vuoti di autorevolezza. Il pubblico è emotivo, basta una Meloni che esordisca dicendo ovvietà come: "Qui è evidente che siamo in guerra" per scatenare l'applauso, lo stesso che si rivolge ormai senza differenze alla bara che esce dalla chiesa e alla performance di un cabarettista. Ma essere in guerra, fare la guerra, non è come giocare con la playstation o assistere a una puntata di reality, sul divano di casa e a colpi di post su Facebook.