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Anche tra polemiche e populismo, ecco l'Italia migliore

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

1
SET
2016
L’ “Italia migliore” l’hanno definita in molti, quella di chi scava a mani nude, di chi sta in fila per ore per donare sangue, quella dei volontari che senza posa assistono i superstiti.
Meriterebbero una replica solo gli spettacoli di successo. E invece all’indomani dell’ennesima tragedia va in scena il solito copione per attori consumati. Il dolore in diretta, la magistratura tardiva, i soldi mai spesi o spesi male, le promesse di una rapida ricostruzione. Le sfilate dei politici in camicia inamidata e le domande intrise di retorica degli inviati del dolore ridotto a format tv, le polemiche da bar e il populismo che contrappone i terremotati ai migranti. I “non vi lasceremo soli”. Il pensiero corre a L’Aquila, ancora da ricostruire. Dolorose coincidenze, con i numeri della tragedia che giocano a rimpiattino. Cuori palpitanti fino al calare del sipario. Poi, spenti i riflettori e terminati gli applausi o i fischi, tutto torna come prima, fino alla prossima conta dei morti e dei danni. La notte del 24 agosto la terra ha tremato ancora in Italia centrale, sbriciolando piccoli paesi dalla vita semplice, ravvivata in piena estate dalle sagre e dalle feste patronali, dai turisti e dai nipotini di quei nonni, ultimi abitanti di quei piccoli borghi immersi in una natura potente, che li ha sopresi inermi nella notte. La Natura, certo. Leopardi, non a torto, la definì “matrigna”, crudele e indifferente verso i suoi figli. Come in ogni sceneggiatura, a contraltare dei cattivi, ci sono i buoni. Protezione Civile, Forze Armate, Croce Rossa, la cd. ‘macchina dei soccorsi’, un’orchestra perfetta. I giornalisti giapponesi inviati ad Amatrice ed Accumoli la osservano, stupiti da un’efficienza che procede priva di stonature. Loro non ne hanno bisogno, vivono in un Paese dove un sisma di quella magnitudo non porta a un’ecatombe. L’ “Italia migliore” l’hanno definita in molti, quella di chi scava a mani nude, di chi sta in fila per ore per donare sangue, quella dei volontari che senza posa assistono i superstiti. Quella della gente comune che non riesce a stare con le mani in mano e fa qualcosa, come quel motociclista enduro di cognome Cipolla che in sella alla sua moto percorre il territorio ferito per portare “zucchero, pasta o anche solo un sorriso”. C’è da esserne orgogliosi, certo. Eppure continuo a pensare che possa dirsi “beato quel Paese che non ha bisogno di eroi”. 


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