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La mortadella di Marini

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

19
APR
2013

 

Strana gente ci governa: un ministro che impone turni di quattro giorni alla propria biancheria e un deputato che scambia Valeria per Franco
 
La parola mutande deriva dalla perifrastica passiva latina e indica le cose che devono essere cambiate. Se non si ha intenzione di cambiarle allora sarà più opportuno chiamarle con un altro nome. La rosa è rosa nonostante il nome, diceva il poeta: può la rosa profumare di meno se viene chiamata in altro modo? E dunque possono chiamarsi ancora mutande le cose che devono essere cambiate dopo ben quattro giorni di eroico servizio? Possono gli slip detenere meno afrore se vengono chiamati biancheria, quando di bianco dopo 96 ore rimane ben poco?   
No, è più di quanto un cuore possa sopportare. Portare quattro giorni le stesse mutande non vuol dire essere attenti all’ambiente. Se la logica eco-friendly del ministro Corrado Clini, sbandierata su Radio2 a “Un giorno da pecora”, non fosse solo un’ironica boutade, allora tutta la mia solidarietà a chi condivide il letto con l’olezzante membro di governo. Se poi il talamo nuziale di Clini fosse vuoto come un barattolo di Nutella dopo un pigiama party, be’, non ci sarebbe da meravigliarsi. Ad averlo vicino, ma non troppo per carità, gli direi: «Caro C.C., tu vuo’ fa’ l’ambientalista ma ti riesce punto bene: cambiale pure le mutande, anche due volte al giorno alla bisogna, stando attento piuttosto al destino che sceglierai per i flaconi di detersivo e di bagnoschiuma, curando anche di non lavare le tue mutande così stacanoviste una alla volta, ma facendone un bel carico in lavatrice». Vedete perché ci vuole una donna per ministro? Qualsiasi rappresentante del gentil sesso, escludendo Paris Hilton e Daniela Santanchè, avrebbe dato lezioni di economia domestica certamente più sensate. Ma il Paese ha ben altre gatte da pelare che non le mutande del ministro. La verità è che sto indugiando a parlare delle perverse ma infine innocue abitudini di Clini per riempire quel vuoto istituzionale che rischia di venire occupato da quell’omni-vetero di Franco Marini, il cui curriculum è un’antologia della vecchia politica. Si tratta certamente di un’ottima persona, finanche in grado di entrare in empatia con il Paese, ma ahinoi affatto rappresentativa delle spinte propulsive al cambiamento. Nel momento in cui scrivo, il vantaggio di Marini su Stefano Rodotà è purtroppo netto, molte le schede bianche e una, per dileggio o per sincera distrazione, vorrebbe Valeria Marini al Colle: roba da chiedere una perizia calligrafica per individuare il deputato bontempone e metterlo alla gogna non alla colonna infame di manzoniana memoria bensì alla stessa mortadella che Valeriona cavalcava nel film di Bigas Luna.  
 


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