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Taranto, di tenerezza e di rabbia

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

21
NOV
2019

L'agonia più volte rimandata nel tempo ha iniziato la sua corsa inarrestabile. Taranto, città speculare a quella fabbrica che ne ha da sempre declinato il destino, si avvia ad affrontare le stazioni più dolorose della sua personale via crucis. Nessuno può dire come andrà realmente a finire, solo forse i nostri nipoti. Reinventarsi un'economia prevede processi lunghi e laboriosi, sempre che la società ne abbia voglia e visione. Affidarsi alle vie giudiziarie per un ritorno degli indiani sui propri passi appare sempre più un palliativo cerebrale, buono per mettere a tacere i sussulti d'orgoglio e rabbia. Taranto, sconfitta e sola, fa tenerezza. Le sue vie, i suoi palazzi del borgo, i suoi due mari (sempre esagerata in tutto) sono affluenti del fiume di lacrime inermi che stagnano nell'eterna contrapposizione tra Salute e Diritto al Lavoro. Non si conoscono canzoni dedicate all'amore per Taranto, né vi sono poesie che meritano la giusta attenzione. Taranto vive nella realtà dura delle proprie difficoltà. I filosofi e gli studiosi che ne hanno attraversato i secoli l'hanno sempre amata in modo spartano, ruvido e maschio. Il machismo sentimentale, ben corrisposto dalle genti che ne hanno calpestato i suoli, ha forgiato caratteri contraddittori, tipici di chi ha il mare dentro. Sale mischiato a sangue, plancton ingoiato da cellule voraci, carni corrose dagli umori di marosi bizzarri. E poi il mare che diventa male, il seno inquinato del mar Piccolo che si confonde col seno malato di donne che hanno respirato il ferro in polvere. È tutto un confondersi di consonanti e concetti, Taranto. Il lavoro forzoso diventa forzato, foriero di disagi pur donando al tempo stesso dignità a un popolo mai riottoso. Fa tenerezza Taranto, stretta nell'impossibilità di scegliere. Fa rabbia, perché impotente nel nome di una Vita che non sarà più la stessa.



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