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FABIANO AMATI/«Ma che sinistra è?»

Pubblicato da: Categoria: POLITICA

23
AGO
2013
Il Consigliere regionale si esprime a proposito dei referendum proposti dai Radicali su temi che dovrebbero essere cari ai progressisti: giustizia, droga, immigrazione, finanziamento ai partiti, otto per mille e divorzio breve. Eppure Pd e Sel non sembrano troppo entusiasti
 
Fabiano Amati, consigliere regionale Pd Puglia, quali quesiti referendari hai firmato e perché?
 «Tutti. Li ritengo iniziative più che ragionevoli oltre che necessità impellenti per l’Italia. Sono d’accordo sui singoli argomenti e poi ritengo che ogni raccolta di firme referendaria vada sostenuta perché l’accesso è subordinato a un quorum, ma in questo caso ne condivido tutto l’impianto riformatore».  
Diversi partiti (Pdl, Sel, Lega Nord, PSi e associazioni come l’Unione delle Camere Penali) hanno aderito a tutti o parte dei quesiti. A mancare del tutto è l’adesione ufficiale del maggior partito d’Italia, il Partito Democratico, del quale lei fa parte, nonostante diversi esponenti in ordine sparso abbiano firmato i quesiti. Come se lo spiega? 
«E’ stupefacente. Anche perché tutti i quesiti trovano coerenza con un impianto culturale descritto su tutti i documenti del Pd. Purtroppo negli ultimi anni c’è una divergenza importante  tra ciò che è scritto nei documenti e la tattica del mio partito. Per questo ho scelto di rompere gli indugi e sottoscrivere i referendum. La  tattica politica da un lato e l’incapacità di fare sintesi e assumere una decisione su ragioni culturali. Ad esempio sulla giustizia: come può un partito che evoca le migliori performance riformiste non appoggiare quei referendum, quando pagine intere della storia del riformismo italiano dovrebbero motivarne l’adesione. Poi intervengono il mantenimento dello status quo con relativo rovesciamento delle posizioni; accade così che l’ala conservatrice per ragioni di contingenza politica ha assunto una posizione riformatrice, mentre la coalizione che ha nel suo patrimonio pagine intere sulle libertà, la giustizia giusta e quant’altro, per motivi tattici e di ostacolo politico all’altra coalizione è divenuta essa stessa conservatrice. Ma le politiche non si possono scegliere sulla tattica.
Mi stupisce anche Sel che non sostiene ad esempio l’abolizione dell’ergastolo o la separazione delle carriere, o la limitazione della carcerazione preventiva. Che sinistra è diventata quella italiana se ha tutta questa timidezza?».  Ogni volta che si prova a parlare di giustizia viene tirato in ballo Berlusconi. La necessità di una riforma della giustizia riguarda un solo cittadino, o tutti? 
«La presenza di Berlusconi ha fatto abortire più di un tentativo di riforma della giustizia. Il ricatto politico sulle sue vicende penali imponeva la scelta di non riformare nulla.  Di tutta evidenza poi che il mondo della magistratura non veda con molto favore questo tipo di riforma, anche perché di Giovanni Falcone, che era uno dei maggiori sponsor per la separazione delle carriere, ce ne sono pochi.  Ma per battere Berlusconi bisogna fare in modo che ci si liberi del suo fantasma. Riformando si va incontro a un’esigenza che riguarda tutti gli italiani.
Invece per non alimentare il sospetto che questi provvedimenti possano servire alla causa di Berlusconi ammazziamo tante persone e famiglie, dimenticandoci del rischio su cui allettava Voltaire: “il diritto penale uccide gli uomini”. Quindi riguarda i cittadini in senso generalizzato.
Naturalmente non si può fermare solo alla giustizia penale, ci vorrebbero dei referendum in cui si dovrebbe aggiungere tutto il tema della giustizia civile e amministrativa».
 Ma il quesito sul divorzio breve va a incidere sulla giustizia civile?
 «Sì, incide ma relativamente, nel senso che c’è sempre bisogno di una sentenza di divorzio. Dovrebbe servire a prendere atto che non è concepibile che bisogna aspettare tre anni per poterla ottenerla.
Se indagassimo a fondo la questione della violenza all’esito di relazioni sentimentali andate male è proprio l’assenza di un provvedimento rapido e definitivo di chiusura del rapporto che reca per tre anni conflitti che si rinnovano che porta al momento in cui qualcuno può decidere ahimé atti violenti.
Il legislatore per combattere il femminicidio dovrebbe quanto ridurre tutti gli ambiti di potenziale conflitto che possono emergere, tipo chiudere anche da un punto formale rapidamente una relazione matrimoniale, che di per sé potrebbe aiutare a evitare molti episodi di violenza che avvengono all’interno di un matrimonio sfasciato».  
Eppure appena un senatore del Pdl, pugliese come te, Donato Bruno ha provato a inserire un emendamento sulla riforma della giustizia all’interno della più generale riforma costituzionale, è insorto gran parte del Parlamento (Pd e Pdl uniti) svelando un patto di legislatura che prevedeva di non toccare la giustizia. Capofila Anna Finocchiaro (“Gli assetti della magistratura non si toccano”), facendo seguito a una dichiarazione di pochi giorni prima quando, durante la nomina delle presidenze delle commissioni, in quella che stava facendo scoppiare una crisi di governo per la sfida tra Nitto Palma e Donatella Ferranti alla giustizia, Fioroni svelò: “Io seguo ciò che mi chiede l’Anm, non il mio partito”. Allora è l’Anm a bloccare attraverso il Pd la riforma della giustizia?
 «La magistratura è organizzata in correnti, ogni corrente ha i suoi riferimenti all’interno dei partiti, non mi sorprende. Tutto è politica, io non credo alla presenza di un uomo imparziale. Esiste l’uomo equilibrato, che non fa emergere la sua parzialità con riferimento al lavoro che svolge se deve essere importato all’equità. Mi scandalizza che i partiti si facciano dettare l’agenda su un singolo argomento dalle singole organizzazioni.
Per esempio, non si fa la riforma del mercato del lavoro perché i sindacati dicono di no. Siccome i partiti (e chi è in Parlamento) è legislatore, ha il compito di ponderare gli interessi, metterli in equilibro e scegliere in base agli equilibri tra interessi diversi quando una posizione è sbilanciata su un singolo portatore di interesse  e ne viola tanti altri, non si sta svolgendo la propria funzione. Quindi se qualche parlamentare risponde agli interessi di una sola organizzazione viola la Costituzione che esclude vincoli di mandato».
 Però ad esempio proprio in Puglia, capolista del Pd alle ultime elezioni è stata la non pugliese ma ex pm Anna Finocchiaro, come già Carofiglio e Maritati, lo stesso presidente del Partito Democratico pugliese e sindaco di Bari Michele Emiliano è un pm. E’ normale questo passaggio tra poteri?
«Io non credo debba essere preclusa la politica ai magistrati, purché si vieti la candidatura nella circoscrizione in cui si è esercitata la funzione, e viceversa.
Date queste accortezze alla fine noi abbiamo la necessità di separare le carriere tra il giudice e il pm, così da far divenire quest'ultimo avvocato dell’accusa. Qualora riuscissimo a fare questo passaggio si limiterebbe l’attuale preponderanza sui mezzi di informazione di una notizia filtrata dalle procure, che prende una primissima pagina, e quella filtrata dal difensore, che se va bene finisce tra le ultime. Se si separassero le carriere bloccheremmo questo atto distruttivo per le famiglie di un soggetto che non è ancora colpevole, dove alla fine non conta se uno è stato assolto perché è comunque stato colpevolizzato, e ciò potrebbe portare benefici nei rapporti tra parte dell’ufficio pubblico del pm e parti della politica».
 Ci sono state reazioni alla tua decisione di sottoscrivere i referendum? Pensi che altri tuoi colleghi firmeranno?
 «Lo penso e lo spero. Reazioni non ce ne sono state e non potrebbero esserci. Chi mi potrebbe mai accusare di aver violato chissà quale codice deontologico del Partito Democratico per aver sottoscritto un referendum che elimina il reato di clandestinità? Chi mi potrebbe mai accusare di aver violato chissà quale pagina della cultura riformista in virtù del fatto che ho firmato un referendum sul divorzio breve? Chi mi potrebbe accusare di aver violato alcunché se mi opponesse la mia sottoscrizione al referendum che abolisce l’ergastolo?
Non c'è un referendum che potrebbe essere ritenuto in violazione del patrimonio culturale del mio partito. E poi, diciamocela tutta.  
Sono referendum che appaiono rivoluzionari in questo mondo incapace di far riforme, ma se li guardiamo a fondo con serenità contengono una richiesta più che ovvia, ma viviamo tempi in cui l'ovvietà è un atto rivoluzionario».
In questi giorni il dibattito del Pd è arenato sul congresso, la data e le regole. Qual è la tua proposta in questo dibattito?
 «Regole molto aperte: eleggere il segretario attraverso le primarie che danno la misura di come potrer andare alle elezioni generali. Far votare solo gli iscritti è una sciocchezza, con gli iscritti non hai la percezione di quello che vogliono gli italiani per vincere le elezioni. E poi è sempre più difficile trovare persone che si iscrivono ai partiti. E il leader del partito è il leader della coalizione.
E penso bisogna fare rapidamente, perché ho l’impressione che tra non molto si debba tornare alle urne.
Credo solo questo procedimento possa far vincere per la prima volta il centrosinistra in Italia. Dico per la prima volta perché in passato abbiamo avuto vittorie molto risicate o gravate da una riserva mentale come quella con rifondazione comunista nel ‘96.
Servono decisioni moderne e avanzate. Ora io penso che il candidato più spendibile sia Matteo Renzi. Cambiamento e riforme. E ho l’impressione che i cittadini italiani abbiano particolare gradimento per le sue opinioni. Ma se si riunisce un gruppo di oligarchi per forare le gomme a chi sta per portare alla vittoria la coalizione si compie un ennesimo omicidio politico come dal ‘94 in poi».
 Però Matteo Renzi ha dichiarato di non firmare i referendum perché su questi temi delicati non devono decidere i cittadini ma il Parlamento. Non trovi sia una contraddizione per chi poi chiede il ricorso alla scelta dei cittadini per qualunque altra cosa, tipo le primarie che costituzionalmente non esistono, non essendoci in Italia elezione diretta del premier, ed escludendo i referendum invece costituzionalmente garantiti?  
«Renzi ha evidentemente molta fiducia nel Parlamento. Pensandoci bene anch'io. Infatti, dopo aver raccolto le firme il Parlamento ha la possibilità di evitare il referendum legiferando nel senso auspicato dai referendari, approntando così la complessità e la delicatezza. La raccolta di firme per il referendum potrebbero quindi tramutarsi in primarie al servizio del Parlamento».
 Tu dici che c’è sempre meno gente che vuole iscriversi ai partiti, però ad esempio Marco Pannella ha chiesto come già per lo scorso congresso di prendere la tessera del Pd per potersi candidare alla segreteria. Cosa ne pensi di questa idea?  
«Se uno si iscrive per concorrere nell’elettorato passivo c’è bisogno che sia iscritto.  Nelle regole aperte chi si candida a svolgere un ruolo e vince, se non è un avanzo di galera per reati gravi contro la pubblica amministrazione passati in giudicato, se è persona che ha idee,  perchè no. Da Tucidide in poi la democrazia è connotata dalla lotta tra uomini portatori di un’idea.
Non ho mai visto idee che hanno lottato da sole senza essere collegate a uomini. Quando dicono “prima le idee poi gli uomini” è una banalità struggente. In diritto naturale non ci sono idee che camminano da sole.  Come diceva Galbraith quando si entra in qualsiasi luogo che sia un partito, una casa di piacere, un’industria, si chiede qui chi comanda? Se ci sono persone che pensano di poter diventare leader con un consenso generalizzato, perché no?».
 In questo caso perché lo statuto del Pd vieta la tessera a chi è gia iscritto ad un altro movimento politico. Così diventando di fatto l’unico partito che vieta una tradizione storica dei radicali, la doppia tessera, che però possiedono a oggi in violazione del proprio statuto molti dirigenti, amministratori locali, e parlamentari del Pd come Roberto Giachetti e Sandro Gozi solo per citarne due. Che dici, col nuovo congresso la cambiamo questa regola?
«Il mio voto è assicurato».
Ultima domanda. Pannella lotta da anni per l’amnistia, considerandola l’unica riforma strutturale per questo Paese che come dicono i radicali è in costante flagranza di reato viste le condanne europee sullo stato delle carceri, della lunghezza dei processi, e lo stato della giustizia. Sei favorevole all’amnistia?
«E’ un provvedimento utile il gesto di clemenza in uno stato liberale, dopo un analisi sul sistema rieducativo delle pene. 
Quindi si dovrebbe dire sì all’amnistia che ha anche effetto svuotacarcere, la cui problematica va affrontata anche sotto il profilo dell’edilizia carceraria.
Mi ricordo la visita di Giovanni Paolo II a Montecitorio in seduta comune che evocava un gesto di clemenza e c’era tutto il Parlamento ad applaudire commosso. Poi c’è divergenza tra ideato e realizzato. E’ mancato dare la materialità a questi applausi e lacrime, e la materialità è la legge, qui invece affoghiamo nella tattica». 


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