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GIANDOMENICO BRUNI: Tutto quella notte

Pubblicato da: Categoria: POLITICA

30
MAR
2012

 

Della notte si dice che porti consiglio o che si aggirino lunghi coltelli, così, se le due cose vengono fuse insieme, capita che in quella a cavallo tra il 4 e il 5 febbraio il direttivo del PD martinese, dopo aver votato per lui, indichi Franco Ancona come candidato sindaco  
 
 
«Oh, ragassi! Ma siam pazzi? Non siam mica qua a smacchiar la pelle dei leopardi!»
(Il segretario PD Pierluigi Bersani interpretato da Maurizio Crozza)
 
Ultimamente il Partito Democratico non se la passa granché bene. A febbraio, Marco Doria (SEL) vince le primarie nell’ambito del centrosinistra, soppiantando il PD. Nei primi di marzo, a Palermo, la scelta ricaduta su Ferrandelli piuttosto che su Rita Borsellino scatena un putiferio all’interno del PD e tra gli alleati, tanto che la sorella del grande magistrato ha deciso di non ripresentarsi mai più ad agoni politici (il che, diciamolo pure, un po’ rattrista). In Puglia, verso la fine di febbraio, scoppia la diatriba tra Emiliano e Pelillo perché il primo appoggia la ricandidatura di Stefàno mentre il secondo vorrebbe indire primarie per scegliere un altro candidato (e magari proporsi lui stesso). Insomma, tante situazioni per le quali gli sconsolati “socc” romagnoli di Bersani si sprecherebbero.
E a Martina cosa accade?
Accade che Giandomenico Bruni, 43 anni, avvocato sposato e con due figli, in data 4 febbraio veniva nominato dal Direttivo del PD quale futuro candidato sindaco per la coalizione del centrosinistra. Bruni ha una notevole esperienza alle spalle: fu eletto consigliere per la prima volta nel 1998 con Pino Semeraro quando militava nella lista del PPI, essendo di estrazione prettamente centrista (dopotutto la sua era una famiglia di democristiani). Poi fu rieletto nel 2002 nella lista della Margherita e, ancora, fu candidato sindaco nel 2007 per una coalizione formata da Lista Florido, Ulivo e Rifondazione, non arrivando al ballottaggio per un pugno di voti. Insomma, l’uomo che ci voleva, e infatti viene scelto. Ma si dice che la notte porti consiglio, e così dev’essere successo ai membri dell’assemblea del PD martinese che, il giorno dopo, hanno annunciato che Franco Ancona, e non più Giandomenico Bruni, sarebbe stato candidato sindaco, con gran disappunto di quest’ultimo. Ora Giandomenico Bruni ha deciso di non candidarsi, nemmeno come candidato consigliere, ma ancora non riesce a chiedersi per quali oscuri motivi al PD abbiano cambiato idea. E nel giro di una notte, poi…
 
Venendo all’attualità, il Direttivo PD la indicava come candidato sindaco. Era il 4 novembre, sabato, e, sorpresa delle sorprese, il giorno dopo, domenica, Franco Ancona veniva nominato nuovo candidato sindaco.
«Ancora oggi non so cosa è accaduto. A livello politico, davvero, non so spiegarmi cosa sia successo. Mi dicono che c’è l’Assemblea che decide. Per l’amor del cielo, l’Assemblea è un organo del partito, ma non c’è stato mai un ragionamento politico. Hanno deciso per la candidatura di Ancona, ma ancora non ho capito chi, come e quali dinamiche hanno portato a fare questa scelta. Qualcuno dice che io non riesca ad aggregare le varie anime del centrosinistra, e probabilmente è così, data la mia estrazione democristiana che potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno più a sinistra, ma, ripeto, non ci sono ragioni politiche di cui io abbia letto o che qualcun altro abbia espresso in questi giorni.»
 
Non ha ancora nessuna teoria sul perché siano arrivati a tanto?
«No, non ne ho idea, a meno che non ci sia una pregiudiziale di tipo personalistica. Aspetto ancora che qualcuno me lo spieghi, francamente.»
 
Considerando poi l’estrazione più squisitamente di sinistra di Franco Ancona  e considerando che Martina Franca è prevalentemente una comunità di anime moderate, mettere Lei come candidato sindaco sarebbe stata forse una mossa un tantino più strategica, perlomeno in base ai calcoli elettorali, non per altro…
«Diciamo che la candidatura di Franco Ancona può tenere insieme un’area tendenzialmente di sinistra, ma perché è la sua storia. Io rispetto la sua storia; reputo Franco Ancona una persona intelligente e capace, solo che la sua storia politica è diversa dalla mia: lui a sinistra, io al centro.»
 
Eppure cinque anni fa lei riuscì a catalizzare i voti dei moderati martinesi, non riuscendo ad arrivare al traguardo del ballottaggio per una manciata di voti…
«Allora, io nel 2007 avevo tutto il centrodestra compatto contro; avevo intorno liste alquanto deboluccie, e basterebbe riprendere i dati per capire quanto lo fossero, quindi ho portato, col mio risultato, un valore aggiunto superiore rispetto a quello delle liste, e ancora una volta inviterei a confrontare i dati relativi al candidato sindaco con quelli delle liste.
La cosa stava funzionando, anche se c’è stato un certo disimpegno da parte di una fazione della sinistra: la stessa che oggi aspira ad andare al governo della città. Adesso sono impegnati in questa nuova esperienza, ma nel 2007 non furono presenti e non scelsero di sostenere la mia candidatura. Noi comunque andammo avanti per portare avanti il rinnovamento. Io, allora come oggi, non avevo vendette da consumare nei confronti di nessuno; ero immune da tutte queste dinamiche caratteristiche del centrosinistra, che ha sempre vinto solo quando ha fatto accordi col centrodestra (e che poi si sono puntualmente rivelati fallimentari).
Qualcuno, oggi, ha avuto il coraggio di affermare che la formula vincente sarebbe stata rappresentata dall’alleanza col Terzo Polo. Qualcun altro avrà avuto paura di ciò, nonostante sia la cosa più ovvia da fare, guardando anche a quanto accade sul piano nazionale, e soprattutto considerato il piano locale, essendo Martina una città ad alto tasso moderato, come Lei diceva poc’anzi. L’alleanza col Terzo Polo, in particolar modo con l’UdC, sarebbe stata la cosa più logica da fare, ma non lo si è voluto fare, e aggiungo “ipocritamente”, perché poi resta da vedere cosa si farà al ballottaggio: se poi al ballottaggio l’accordo con l’UdC si farà, non si riuscirà a capire perché non lo si sia fatto da subito... Se si deve fare, lo si faccia alla luce del sole, spiegando alla base il perché sia necessario.»
 
Ma secondo Lei Franco Ancona riuscirà a eguagliare il successo ottenuto da lei nel 2007? Ha i numeri?
«Beh, lo spero per lui. Spero che riesca a tenere insieme quante più anime possibili del variegato mondo della sinistra. Lo spero, glielo auspico. Numericamente parlando, lo vedremo, ma oggi spero che questa cosa si riesca a fare, ma lo dico per lui.»
 
Per quanto riguarda il programma, invece?
«Questo programma, a dire il vero, non l’ho ancora letto. So che si è ispirato a quello che presentai con la mia lista cinque anni fa. In fondo non c’è stato un governo della città e le questioni sono rimaste più o meno le stesse. Questioni fondanti, quali urbanistica, viabilità e traffico, o, ancora, l’attenzione per le fasce più deboli sono rimaste quelle perché abbiamo assistito solamente a una continua faida all’interno del consiglio senza che questo fosse propositivo ed efficace.»
 
E, se dopo quel quattro febbraio, Lei fosse rimasto come candidato sindaco, quali punti avrebbe proposto nel programma?
«Il programma è un contenitore da riempire, e nemmeno in tempi biblici, con sostanza progettuale fattibile e concreta. E deve essere semplice perché deve essere capito dalla gente. Prima di tutto occorre ottimizzare il moto della macchina amministrativa, perché se non si ha una macchina che funzioni al meglio, non si risolve nulla. Quindi si tratta di aumentare, innanzitutto, la professionalità all’interno del comune, perché in tempi come quelli che stiamo vivendo è di importanza vitale valorizzare il budget a disposizione.
Bisognerebbe riorganizzare l’ufficio tecnico, che è importantissimo e che non può continuare a funzionare nelle condizioni in cui versa, e poi cominciare a ragionare su quei temi cardine per il futuro di Martina e che passano attraverso lo sviluppo urbanistico della città, che non significa semplicemente erigere palazzi: significa, prima di tutto, creare simbiosi tra l’agro presente in Valle d’Itria, che è stupendo, e le aziende, affinché nasca un progetto turistico degno di tale nome. E poi c’è il Centro Storico, che oggi è ben tenuto grazie all’impegno di alcuni privati e di don Franco Semeraro, che ha creato intorno alla basilica un movimento culturale imponente… insomma, tutto ciò che è vivo nel centro storico lo è grazie all’impegno dei parroci e dei privati, che, perlomeno, hanno sopperito all’assenza di governo che ci ha attanagliato negli ultimi anni.»
 
Vorrei parlare un po’ del Terzo Polo. La situazione “UdC sì, UdC no”, guarda caso, riguarda anche Taranto, perché sembra che Stefàno voglia aprire al polo di Casini, ma ciò significherebbe la fuoriuscita dei più progressisti. Ecco, secondo Lei, la nascita di questo Terzo Polo non sta mettendo in grosse difficoltà il concetto di bipolarismo?
«Non so cosa succederà a Taranto, ma di certo è la politica dei veti che è in crisi. Perché non si può pretendere di fare politica semplicemente portando avanti l’idea “Tizio sì, Caio no”. Bisogna ragionare sia con Tizio sia con Caio sulla base dei progetti per il futuro.
Non conosco, ripeto, le dinamiche che riguardano Stefàno e il Terzo Polo e non voglio entrarci, ma poi, se ci fosse quest’alleanza, qualcuno dovrebbe spiegarmi perché a Taranto sì e a Martina no.»
 
E riguardo al fatto che il Terzo Polo sia un elemento di disturbo all’interno di questo “vecchio” bipolarismo?
«Temo che ciò che sia in crisi davvero siano i partiti. I partiti sono dei luoghi dove dovrebbe esserci formazione; dovrebbe essere il collante tra comunità ed enti pubblici. Se i partiti non sono in grado di gestire queste dinamiche, allora hanno un problema. E sono convinto che il problema sia tutto lì. Non capisco cosa accade nei partiti, specie nel mio, poiché il percorso che si era intrapreso passava attraverso una volontà di rinnovamento, anche nel metodo. Piuttosto, riscontro che queste modalità siano state interrotte per fare altre scelte…»
 
Anche a livello nazionale: il PD ultimamente sta collezionando parecchie batoste. E il più delle volte è sembrato quasi che siano stati loro stessi artefici delle loro sconfitte.
«Credo che il PD sia stata una fusione a freddo tra più anime. Non sempre queste fusioni riescono: c’è l’area moderata, cui faccio riferimento, che probabilmente è sofferente rispetto ad altre esperienze. Bisogna vedere cosa accadrà nei prossimi mesi all’interno del PD…»
 
Quindi, facendo redde rationem, l’esperimento cominciato nel 2008 da Berlusconi e Veltroni, ovvero quello di riproporre in Italia un bipolarismo all’americana, stia andando oramai alla deriva…
«Certo, anche il PdL non è immune a queste rotture. Per certi versi, PdL e PD sono speculari. Anche la gestione delle primarie la dice lunga sul fatto che vogliamo fare le cose all’italiana. E’ inconcepibile che si possa andare dagli elettori quindici giorni prima la presentazione delle liste e fare le primarie solo allora. Le primarie vanno fatte nei tempi giusti. Negli Stati Uniti, invece, c’è il confronto e lo scontro, all’interno degli stessi grandi partiti, dove la gente sceglie in base all’appeal, al programma e tutta una serie di componenti. Qui, invece, quindici giorni prima si indicono primarie giusto per dire che sono state fatte.»
 
Lei comunque ha deciso che non metterà il nome nemmeno come candidato consigliere.
«Esatto, ma non perché abbia qualcosa contro qualcuno o, peggio, contro Ancona stesso. Assolutamente no! L’ho detto più volte che rispetto la persona, in quanto competente, ma abbiamo due sensibilità diverse e, siccome non riesco a essere ipocrita, faccio solamente un grande in bocca al lupo, anzitutto alla città, perché io tifo prima di tutto per Martina, e siccome ho capito che la politica la si fa anche dall’esterno di Palazzo Ducale, ho deciso di fare un pit-stop, che è una pausa brevissima per consentirmi di rimodulare la mia posizione e la mia azione. Devo ricalibrare il mio pensiero, e per fare questo occorre fermarsi, perché bisogna essere onesti con se stessi e con gli altri.»
 
Ma questa esperienza non le ha lasciato un po’ di amaro in bocca?
«Tutto questo passa attraverso due dinamiche: una è quella della lealtà, perché io sono abituato a fare politica da persona leale. L’altra è che poi in politica, essendo persona leale, non abituato a pensare male degli altri. Penso sempre che gli altri siano in buona fede, almeno fino a prova contraria. Poi magari prendo atto nel momento in cui scoprono le carte, ma vivere ritenendo sempre che gli altri siano in malafede non sarebbe un bene, per me stesso dico.
A me è accaduto già nel 2007, quando ci fu quel disimpegno di cui ho detto sopra, e accade oggi con quanto è successo nella notte tra 4 e 5 febbraio 2012. Prendo semplicemente atto che possono esserci delle questioni che riguardano sensibilità diverse e che è necessario fermarsi per rimodulare la propria attività politica.»


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