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Zingaretti neo segretario PD: Montalbano scansati, c'è un'altra star in famiglia

Pubblicato da: Categoria: POLITICA

4
MAR
2019

E’ bene avere sempre il massimo rispetto per i bagni di folla, soprattutto quando coinvolgono quasi due milioni di persone.

Però bisognerebbe contestualmente avere l’ardire di ammettere che, se le manifestazioni di democrazia si trasformano in fiction democratiche in cui Montalbano (o uno che gli somiglia molto) arriva e recita un copione già scritto, allora la spontaneità va a ramengo, il valore pratico lascia il posto a quello simbolico. E infatti le Primarie del PD avevano il finale già scritto.

I fautori sicuramente potrebbero replicare che comunque si sono celebrate e la cosa è indubbiamente degna di nota. Condividiamo l’obiezione ma non veniteci a dire che la segreteria democratica sia un organo elettivo contendibile o che la vittoria di Nicola Zingaretti sia stato un evento sorprendente.

Per i non addetti ai lavori giova ricordare che l’elezione di Zingaretti è il frutto di un accordo tra varie anime del PD (dalla corrente di Dario Franceschini fino ad arrivare a quella di Cuperlo) e che la lunga militanza di Zingaretti nel partito costituisce anche un ottimo modo per ricomporre la diaspora democratica che, dalla fuoriuscita di Bersani e D’Alema, ha visto tante defezioni e scissioni.

Se la scelta del nome spetta comunque alle elite organizzate mentre il voto ai gazebo è solo un modo per sugellare un accordo concluso ai piani alti, che senso ha celebrare i ludi democratici?

Sarebbe bastato convocare un congresso vecchio stile e ufficializzare il compromesso tra componenti spiegandone le ragioni senza stare lì a fare sceneggiate (si sapeva anche che i partecipanti sarebbero stati tra il milione e mezzo e i due milioni).

Certo, in tempi di Russeau e di patacche elettroniche sempre meglio le pantomime in presenza che le menate a distanza ma tant’è, i militanti hanno risposto “presente” alla chiamata dell’apparato e questo è difficilmente confutabile.

Oggi invece tutti a celebrare una fantomatica voglia di sinistra che esisterebbe nel Paese come se una domenica in fila al seggio potesse far sbollire agli italiani l’incazzatura per ciò che il PD è stato capace di fare al Governo fino all’altro ieri (a prescindere dalla parentesi renziana).

Tanto più che la minaccia di dover sentire la stessa musica di sempre rischia di essere quanto mai reale: in un Paese con una serie inenarrabile di problemi, quali sono le priorità della nuova dirigenza?

I papaveri democrat pensano allo ius soli (anche se gli italiani lo avversano), al razzismo (che esiste nella loro fantasia) e alla creazione di un fronte contro le pericolose destre (per differenza, chi è diverso da loro e li batte alle elezioni diventa un pericolo).

Come sempre, quando a sinistra si parla di programmi, si allude a ciò contro cui bisogna lottare e mai a ciò che andrebbe fatto per il Paese. E quando le cose contro cui schierarsi finiscono (le destre, perimetro che comprende anche il M5S, sigh!) ecco apparirne di nuove e più arzigogolate (razzismo et similia). L’idea di Paese non risulta invece pervenuta.

Se queste sono le premesse, allora rischiamo di assistere al solito bestiario di luoghi comuni che rendono i segretari tempo per tempo succedutisi così uguali tra loro da risultare indistinguibili, un popolo guidato stancamente verso gli stessi totem ideali come se la fantasia gli fosse morta nel momento in cui all’asilo si è scaricato il pennarello “rosso PCI”.

E’ come se per loro la politica fosse un eterno arrancare, una infantile rincorsa a dare la colpa agli altri (Berlusconi, Di Maio, Salvini) come a voler esorcizzare (nascondendola) la propria inadeguatezza ad innovare e la coazione a giocare sempre con gli stessi arnesi retorici con la supponenza di chi non crede di avere il bisogno di guardare la società che cambia perché tanto la conosce già. O almeno crede.

Ma atteniamoci ai fatti: spontaneo o meno l’evento c’è stato e il Papa rosso è stato eletto. L’intento, stante l’elezione di uno che la trafila di partito l’ha fatta tutta, è chiaramente quello di dare un’impronta vintage ad un’area che con Renzi alla segreteria aveva pericolosamente lasciato scoperto il fianco sinistro.

La qual cosa potrà servire a ricompattare l’arcipelago progressista recuperando l’elettorato più ortodosso e dotandosi dello storico zoccolo duro. Ma probabilmente ciò non sarà sufficiente a conservare la vocazione maggioritaria che aveva caratterizzato la nascita del Partito Democratico perché la coperta si accorcerà paurosamente dalle parti del centro che non andrà oltre quello cristiano sociale.

Vien da pensare che questa sia una scelta di transizione, pensata per ricomporre i cocci, fatta in ossequio all’antico adagio latino “primum vivere deinde philosophari“.



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