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DANIELA SIDARI/A Statte trovo la luce

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

21
GIU
2013
Linee, edifici, luci e ombre. Un palazzo diroccato, un raggio di sole che si riflette su una parete. Qualcosa di comune che diventa d’un tratto ricco di fascino. Una fotografa guarda la provincia ionica attraverso le lenti 
 
A volte per osservare meglio qualcosa basta spostarsi un po’, cambiare un attimo prospettiva per accorgersi di dettagli che prima erano sfuggiti. Oppure, basta aprire la mente per cercare un più luminoso punto di vista, per dare una nuova interpretazione a qualcosa che pur essendo già vista ci appare improvvisamente in una diversa forma.
È quanto fa un artista, mi direte. Cercare il bello in ogni cosa; scrutare nei minimi dettagli alla ricerca di quell’elemento in grado, perché no, di emozionare.
E lo si può sperimentare davvero in tutto: in un fiore che sta appassendo, in una macchia su un muro, in una periferia degradata, in un’industria siderurgica.
Dove vi sono forme e colori, lì entra in gioco Daniela Sidari, architetto e docente di disegno e progettazione, ma anche un’eccellente professionista della fotografia, insignita di un prestigiosissimo riconoscimento. Osservando i suoi lavori si può ammirare la particolarità di un genere fotografico che presta attenzione a ogni elemento, a ogni linea, a ogni singolo edificio. Unire architettura e fotografia è possibile, e il risultato è inaspettatamente sensazionale. 
 
Architettura e fotografia. Come si sposano queste tue due passioni?
«Diciamo che nasco come architetto, dunque ho una forma mentis che ha seguito un determinato percorso di studi. Mi sono appassionata solo in seguito alla fotografia indipendentemente da tutto, per pura curiosità. Caratterialmente tendo a interrogarmi e a studiare tutto ciò che mi circonda per tentare di capire i meccanismi, le funzioni degli oggetti, per approfondire la mia conoscenza su qualsiasi cosa. Tra le altre cose volevo capire come funzionava una macchina Reflex e pertanto mi sono iscritta a un circolo. Essendo particolarmente attratta da tutto ciò che vedevo intorno a me, dunque alla forma e agli spazi, ho pensato che poteva essere interessante coniugare le due cose: l’amore per il disegno, che è la mia area di appartenenza all’interno dell’architettura, e l’amore per la fotografia. Insomma, mi sono detta “perché no?”. È stata una cosa fortuita, ma poi la voglia di portare avanti questa particolare branca della fotografia ha fatto il resto».
 
Penso sia un ramo piuttosto insolito. Insomma, conosciamo fotografi paesaggisti, ritrattisti… ma quelli legati all’architettura sono più rari.
«Purtroppo se ne parla poco, anche se in realtà in Italia ci sono molti nomi che spiccano in questo ambito, in questo settore così diverso. Gabriele Basilico, per esempio, che ci ha lasciato da pochissimo, Olivo Barbieri, Vincenzo Castella, Radino, Franco Fontana che nasce come fotografo che ha inventato proprio quella particolarità di “ritagliare il paesaggio”… insomma, di grossi nomi della fotografia architettonica ce ne sono molti. E posso assicurare che è un ramo particolarmente interessante».
 
Sei stata ospite a Statte di un workshop organizzato dal Circolo Fotografico “Controluce”, così come della manifestazione “FotoArte”.
«Infatti. È un grande piacere tornare ogni volta qui, perché ricevo sempre un’accoglienza speciale e calorosissima da entrambi i circoli, “Controluce” e “Il Castello”. Nel corso del workshop, intitolato “Rappresentare la città: spazi e forme dell’urbano/industriale” abbiamo parlato appunto di tanti lavori fotografici che riguardano la città, partendo dal generale fino all’industria. Un excursus che va dall’urbano al dettaglio, fino ad arrivare alla periferia, all’industria. Siamo a Taranto, del resto, dunque non abbiamo potuto fare a meno di parlare di questa realtà. Dal punto di vista fotografico abbiamo visto come delle cose che in principio possono sembrare brutte, delle periferie che appaiono disastrate, delle zone abbandonate, possono invece risultare molto interessanti. Il mio intento è proprio questo: cercare di catturare una maggiore attenzione verso quello che è il mondo dell’architettura poiché a mio avviso essa fruita. Contrariamente a quanto si pensi, non riguarda soltanto le cosiddette quattro mura, bensì rappresenta noi uomini e il nostro modo di vivere e di percepire le nostre città e i nostri quartieri».
 
Da fotografa e da appassionata di architettura e disegno, qual è la prima cosa che ti ha colpito di Taranto?
«Beh, premetto di essere stata nel capoluogo ionico già un’altra volta, ben quattro anni fa. Io arrivo da Reggio Calabria con il pullman e quando si arriva nella zona industriale il primo impatto è fortissimo. Però devo dire che, aldilà di tutte le problematiche e i disagi che ruotano attorno al siderurgico, la mancanza di sicurezza e di messa a norma delle infrastrutture che crea danni alla popolazione, insomma: aldilà di tutto ciò che conosciamo, devo ammettere che ci sono comunque diverse cose che stuzzicano la fantasia di una persona come me che ha studiato gli elementi, e dunque i tubi, le cisterne, persino le ombre che creano le scale sulle cisterne quando vengono colpite dalla luce. È molto affascinante».
 
Sei capace di trovare il bello in ogni cosa.
«Sì, infatti. L’occhio fotografico si sovrappone alla parte razionale e va a cercare degli elementi gradevoli. Questo però è per quanto concerne Taranto. Statte, invece, è tutt’altra cosa. Statte è tufo bianco, dunque la luce, la luminosità di una tipica piccola cittadina pugliese. È diversa, ci sono ancora delle case con la volta stellata e la pietra in vista. Ho sempre pensato che il tufo abbia una sua vita propria. La luce che cambia e si riflette sulla pietra in maniera differente. Io sono convinta che il nostro Sud abbia molte di queste bellezze e dobbiamo cercare a tutti i costi di preservarle».
 
Beh, credo che il compito dell’artista sia proprio quello di portare a galla le ricchezze di cui un territorio dispone.
«Questo è anche il mio ruolo all’interno della Fiaf, Federazione Italiana Associazioni Fotografiche. Io sono docente del dipartimento Didattica, di cui è direttore Giancarlo Torresani. Per noi è importante, anzi direi fondamentale, poter divulgare la fotografia a un certo livello. Nei momenti di lettura e di scambio con le persone che ci mostrano le loro foto, cerchiamo sempre di far emergere il confronto per aiutare a crescere fotograficamente».
 
Ho saputo che sei stata insignita di una importante onorificenza. 
«È vero, Benemerita della Fotografia Italiana. Una immensa soddisfazione. Va sottolineato che non mi è stata conferita per meriti artistici, bensì per meriti didattici e di questo devo dire che sono contenta, perché mi spendo volentieri nell’aiutare le persone a venir fuori. È il mio compito anche all’Università di Reggio Calabria, dove sono docente a contratto dell’insegnamento CAD, dunque disegno e progettazione al computer. Anche in quel caso cerco sempre di spronare i miei studenti a mostrare le loro potenzialità».
 
Quella per la fotografia è una passione che si sta diffondendo molto tra i giovani anche per merito delle nuove tecnologie. Chiunque possieda un tablet o un cellulare di ultima generazione ha la possibilità di cimentarsi in quest’arte. Fattore, questo, che ha un doppio risvolto: da un lato permette a chiunque di potersi dedicare alla fotografia, ma dall’altro… 
«Dall’altro vi è una banalizzazione della qualità dell’immagine. Nella nostra società siamo costantemente bombardati dalle immagini. Avere una tale facilità di accesso a uno strumento sì piccolo, ma abbastanza potente da generare un’immagine da poter mostrare agli altri è una gran cosa, ma deve essere gestita meglio. Esiste la foto ricordo, è importante che ognuno di noi abbia la possibilità di avere una traccia di un’esperienza vissuta. È giusto che sia così. Ma se parliamo di fotografia amatoriale, non di bassa qualità, attenzione: dico amatoriale, ma mi riferisco a un tipo di fotografia trattata comunque in maniera professionale, ossia da persone che possono essere considerati dei professionisti, ma che non vivono di fotografia e nella vita fanno altro, ecco… in quel caso è diverso.I fotoamatori professionisti spendono tanti soldi e tanta energia per questa grande passione. E bisogna riconoscere che esiste una certa differenza rispetto a chi invece fa delle foto per il semplice gusto di immortalare un momento importante».
 
Tutti possono scattare foto per divertimento, ma non è da tutti approcciarsi a quest’arte con una certa professionalità e con occhio critico.
«Il compito della Federazione è proprio questo: aiutare gli altri a vedere con occhi diversi nella banalità delle cose, e a scoprire che in fondo tanto banali non sono. Oltre alla foto singola, l’artista ha la possibilità di realizzare un racconto fotografico dovuto a un accostamento di più fotografie,attraverso il portfolio. In tal modo ci si può esprimere con una gamma più vasta, la quale, sebbene non abbia la stessa potenza di una mostra, in quanto le foto sono di quantità inferiore, dà comunque la possibilità di comunicare. Perché in fondo tutto si riduce a questo: la fotografia è comunicazione».
 
Ultima domanda: quando torni a trovarci?
«Beh, spero presto. Mi auguro innanzitutto che i due circoli rimangano soddisfatti del mio lavoro. Per me è, come ho già detto, venire qui è sempre un piacere. Insomma, datemi un argomento e io arrivo».


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