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Angelo Mellone/ Non è lo zoo del dolore

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

28
GIU
2013
Odia gli ambientalqualunquisti, denuncia i controsensi e invita a informarsi correttamente sulla vera storia di Taranto, città martoriata spesso dagli stessi tarantini. Ma soprattutto, lo scrittore di “Acciaiomare” ricorda una generazione di lavoratori ai quali nessuno ha dedicato una statua
 
Ricordate quel gioco sulle associazioni mentali che si faceva da bambini? Uno dice una parola e l’altro risponde con la prima cosa che viene in mente: un concetto, una caratteristica legata al termine, una similitudine, un’immagine. Compleanno? Torta. Bicicletta? Ginocchia sbucciate (almeno per quanto mi riguarda). Roma? Colosseo. Napoli? Pizza.. Taranto? … Ecco, Taranto. I tarantini stessi, non vi è dubbio, risponderebbero “Ilva”. Qualcuno con “inquinamento”, qualcun altro con “questione ambientale”. Cosa risponderebbe, tuttavia, chi vive fuori, nella restante parte di Italia? Chi a Taranto non ci è mai stato, inevitabilmente può far riferimento solo ed esclusivamente a ciò che si sente in televisione, a ciò che si legge sui giornali, a come ne parla l’amico pugliese. Beh, mi duole ammettere che spesso, troppo spesso, non si fa che parlarne male. E “male” – in questo caso – va inteso in due diverse accezioni: in primo luogo, sta a significare che se ne parla in maniera negativa; secondariamente, che se ne parla in maniera “sbagliata”. Perché spesso, troppo spesso, le informazioni che si danno non sono precise e si rischia di cadere in errori colossali. 
Angelo Mellone, giornalista e scrittore, lo ha sottolineato più volte nel corso della presentazione del suo ultimo libro, “Acciaiomare”, il secondo volume – dopo “Addio al Sud”– di una trilogia dedicata alla sua città d’origine. Un “canto di rabbia”, come lo definisce, che si propone di ricordare ai tarantini la storia del capoluogo jonico. E soprattutto un tributo a quella generazione di lavoratori che hanno fatto l’impresa – tra cui suo padre Nicola – e a quelle cinquecento morti bianche che gravano sullo stabilimento.
 
PERCHÉ ACCIAIOMARE
La storia di questo libro, che si pone a metà fra la prosa e la poesia, inizia a luglio dello scorso anno, quando la procura di Taranto ha deciso di sequestrare l’aria a caldo dello stabilimento siderurgico più grande di Europa.
«Mi trovavo a Taranto in quei giorni» ha spiegato l’autore, «e ho visto quello che è successo. Soprattutto ho osservato la reazione della città, il modo in cui i tarantini, così come gli abitanti della provincia, hanno reagito. Ebbene, ho visto una reazione scomposta in una città che in precedenza avevo criticato per l’eccessiva indolenza rispetto a questioni legate allo sviluppo del territorio, al dramma di una nuova emigrazione di tutti coloro che in questo territorio non trovano più ragioni di permanenza. Un dramma di cui, del resto, dovrebbe occuparsi la classe dirigente di Taranto. Ecco, in quel momento invece ho riscontrato un infervoramento: tutti ne parlavano, tutti scendevano in piazza. Dall’estremo all’eccesso. E spesso, si sbaglia in entrambi i casi. Si sono fatte largo le opinioni di un mucchio di ambientalisti, o meglio di “ambientalqualunquisti”, come li chiamo io, perché l’ambientalismo è una cosa seria; quello urlato e poco ragionato ne è solo una sottospecie».
Deluso dalla marea di giornalisti che a Taranto si recavano non per capire cosa stesse accadendo, bensì per cercare lo scoop, Angelo Mellone ha deciso ad agosto di avviare una sorta di controinchiesta.
«Stavano trasformando Taranto in uno zoo del dolore dove chiunque poteva venire per cercare malattie e tragedie da raccontare. Un trattamento che a mio avviso la città non si meritava, tenendo conto della storia che ha. Non era dignitoso, e inoltre quando i problemi vengono drammatizzati all’eccesso non va bene: si usano parole spropositate, si è parlato di olocausto, di genocidio. In questo modo non si risolvono i problemi, non si fa una favore alla città che si dice di amare e soprattutto non si rispetta la storia perché non si dice la verità. C’è un problema, è vero, anzi un grosso problema. Ma non è un disastro. Da quello siamo ben lontani.»
 
RACCONTARE/RICORDARE LA STORIA DI TARANTO
«Il mio è un canto di rabbia» continua lo scrittore, «un monologo teatrale per ricordare ai tarantini la loro storia. E la storia non possiamo inventarla secondo quello che ci fa più comodo raccontare. Sono i fatti. Taranto era un piccolo borgo che in seguito all’Unità d’Italia diventa una grande città industriale, la più grande del meridione. Prima con la cantieristica, poi con la metalmeccanica, la marina militare e in seguito il siderurgico. Passa da diciottomila abitanti a duecentotrentamila per questa ragione. Diventa l’unica città meridionale soggetta a immigrazione. I tarantini, non solo non vanno più via, ma ritornano a casa perché c’è finalmente lavoro. Io ho semplicemente cercato di ricordare tutto questo».
 
UNA POSIZIONE SCOMODA
Inevitabilmente la questione Ilva scatena dibattiti, genera discussioni il più delle volte anche piuttosto accese. Tra chi auspica la chiusura totale a favore di una maggiore salubrità dell’aria e chi ha a cuore la tutela e la salvaguardia dei lavoratori, si pone la voce di Mellone, il quale sottolinea come sempre più spesso si prende una posizione netta senza tuttavia conoscere realmente la situazione, rischiando di andare incontro anche a numerosi controsensi. La popolazione tarantina si divide fra chi denigra la città in cui vive e chi invece chiede l’intervento di imprenditori che scelgano di rilanciare il turismo o l’agricoltura.
«Il mio è un libro che prende una posizione che adesso non va di moda, che è controcorrente» dice Mellone. «Sempre più persone, in nome della difesa del territorio, auspicano un incremento del turismo e dell’agricoltura, ma poi non si fanno scrupoli nell’andare in televisione a dire che qui tutto fa schifo, che Taranto è morte e malattia. A loro dico: trovatemi uno stolto che scelga comprare i prodotti di un territorio che per bocca dei suoi stessi abitanti è il più inquinato di Italia. Nel sentirli parlare così male, nessuno deciderebbe di investire qui. Però poi ci si arrabbia, e si parla di mare, di risanare il territorio, cosa che richiede decenni. Piuttosto che far del bene alla propria città, ci si priva di ogni possibilità di miglioramento. Personalmente mi sto battendo per la candidatura di Taranto a Capitale della Cultura 2019, e dico che forse è arrivato il momento di smetterla di autodenigrarci e di pensare a fare seriamente qualcosa per il nostro territorio e ad affrontare i problemi».
 
I TARANTINI CHE HANNO FATTO L’IMPRESA
Racconta l’autore: «“Acciaiomare” è un tributo a una generazione, quella di mio padre, che posso riassumere con una frase detta da mia madre, rimasta vedova a 35 anni, in quanto mio padre è morto in seguito a un incidente nello stabilimento. Lui è uno di quei cinquecento. Lei mi ha detto: “Nicola credeva nella produzione dell’acciaio, perché riteneva che attraverso l’acciaio questa terra avrebbe potuto crescere”. Non era una generazione di ingenui, quelli erano i tarantini che hanno fatto l’impresa; coloro i quali hanno fatto qualcosa che le generazioni precedenti non erano riusciti a fare: trasformare una terra povera, che viveva in condizioni di sottosviluppo, in una potenza industriale. È chiaro che con il senno di poi molte cose sarebbero state diverse. Ma all’epoca è stata una grandissima conquista».
Insieme a Peppe Carucci, Angelo Mellone ha svolto quella che lui ha chiamato “un’operazione terribile”: ha contato quante morti bianche vi erano state all’interno della fabbrica, dalla sua apertura a oggi. 
«Cinquecento. Un numero enorme, insostenibile, da guerra. Una media di dieci morti l’anno, molto più alta però nei primi decenni, nella fase della costruzione dove le norme di sicurezza non erano le stesse di adesso. Per tutte queste persone nessuno ha eretto una statua, un monumento, nulla. È a loro che io ho voluto dedicare il mio lavoro, il mio canto pagano, come l’ha definito Aurelio Picca che ha curato l’introduzione. In “Acciaiomare” sono racchiuse tutte le sensazioni che provavo da bambino, quando credevo che lì dentro si costruisse Jeeg Robot d’Acciaio; è racchiusa la storia di Taranto, della mia città fatta di mare e di acciaio, di acciaio e di mare, perché non vi è solo l’uno o solo l’altro: è entrambe le cose. “Acciaiomare” è il ricordo di mio padre, e di quella generazione che ha lavorato in una fabbrica che ora chiamano morte, ma che in passato ha rappresentato ricchezza.»
 



Commenti:

Lello 29/GIU/2013

Davvero ottimo lavoro Roberta. Ma ragionando sulle cose, mi viene di proporvi una riflessione. Classe dirigente (politica) da mettere al rogo, ok, credo sia d'obbligo, ma facendo un passo indietro, questa classe politica chi l'ha voluta su quegli scranni per anni e anni? Chi in camera caritatis chiedeva loro piaceri, posti di lavoro o appalti? Una classe politica a immagine è somiglianza di una popolazione povera e ignorante, che oggi paga questo malaffare urlando e gridando allo scandalo... E questa deriva di populismo continua ancora oggi quando si taccia "il forestiero", perdipiù tifoso della Lazio, di non poter parlare di Taranto perché vive troppo lontano, salvo volere come leader Bonelli (la coerenza è cosa rara ormai)... . Almeno Mellone a Taranto ci è nato ed è andato a scuola sui tamburi...almeno....

Mimmo calabreti 28/GIU/2013

...Roberta Criscio ha abituato i suoi lettori ad articoli di livello che meritano di essere letti con attenzione... tra le righe risaltano parole che danno senso all'intero contesto! il termine su cui mi sono soffermato e da cui si spiega buona parte della "rabbia" dell'Autore è "indolenza"...tutta la storia dei malanni dell'ultimo secolo del nostro capoluogo è fondata sull'indolenza del popolo tarentino,non per demerito suo, ma derivante dalla scarsa attenzione che i politici hanno dimostrato nei confronti della cultura e della Scuola! eminenti intellettuali che non hanno meritato di essere incoraggiati da vivi e neanche hanno meritato un elogio funebre non fanno cultura cittadina...I cittadini vanno educati e non abbandonati a se stessi!...una delle manifestazioni superficiali e scomposte è quella ricordata dall'A. quando dice dell'infervoramento "da eccesso" ....la "rabbia" quella sì per chi il mostro ce lo ha sbattuto in casa...50 anni fa!...e per chi oggi fa finta di essere ambientalista e trova parole che non stanno nè in cielo nè in terra ...insomma ancora politichese!

Fabio 28/GIU/2013

Oltre il 12 % in piu di morti solo x neoplasie e il 474% per tumore la pleura questo non solo è un genocidio senza senso, ma dire che non siamo alla catastrofe è un bugia invereconda. posto il video del Ministro della salute Balduzzi a Taranto potete sentire con le vostre orecchie i numeri del genocidio in atto e che solo una persona che vive fuori non puo capire https://www.youtube.com/watch?v=ZLPPLThEsh0

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