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Comasia Palazzo: Il colore su due punte

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

5
MAG
2012

Comasia, come e quando è iniziata la tua passione per la danza, che si è poi trasformata in una professione a tempo pieno?
«…In realtà non lo ricordo neanche! Ricordo, però, il giorno in cui ho deciso di andare a lezione di danza: avevo 9 anni, quindi, rispetto agli standard, ero anche piuttosto grande. Presso una sala della Chiesta di Sant’Antonio ai Cappuccini, a Martina Franca, si tenevano lezioni di danza: è lì che è iniziato tutto. Conservo ancora un ricordo bellissimo della mia insegnante, che arrivava dalla Fondazione “Piccinni” di Bari (dove, più tardi, sarei finita anch’io per continuare a studiare): lei non incarnava esattamente lo stereotipo dell’insegnante di danza, almeno per quel che riguarda il fisico, ma nello spirito sì, era meravigliosa, ogni suo movimento trasudava amore per la danza, aveva un’energia straordinaria! È stato, probabilmente, anche grazie al suo modo di fare danza che ho scelto di fare quel che faccio: il primo approccio è importante, direi che è fondamentale! Ho iniziato quindi a studiare con lei; successivamente mi sono iscritta alla scuola di danza di Pino Carrieri, che ha tirato su diverse persone che, come me, hanno fatto della danza la loro professione.»

Il desiderio di studiare danza ti è stato inculcato da qualcuno (come, ad esempio, una sorella o una compagna di scuola, come spesso accade tra bambini) o è stato del tutto naturale?
«È stato un mio desiderio, una scelta che i miei genitori hanno sostenuto ben volentieri, ma mai, nel modo più assoluto, hanno forzato. Tra l’altro, nessuna delle mie compagne di scuola o delle mie sorelle seguiva lezioni di danza, quindi è stato, sin dall’inizio, un cammino personale, libero, istintivo, che ho intrapreso da sola e che mi ha portato a fare non pochi sacrifici, compensati, comunque e sempre, da grandissime soddisfazioni.»

Come hai affermato poco fa, il tuo percorso professionale, iniziato a Martina Franca, ha poi avuto seguito a Bari presso la Fondazione “Piccinni”: quanti anni avevi allora?
«Avevo 11 anni quando sono entrata a far parte della scuola, dopo una dura audizione! Mi hanno permesso di accedere a un livello superiore rispetto a quello consentito alla mia età, perché - a detta degli insegnanti - avevo un talento straordinario e sarei riuscita a lavorare tranquillamente con gli allievi più grandi; di fatto, così è stato!»

Che ricordo conservi degli anni trascorsi alla scuola del “Piccinni”?
«Ho un ricordo splendido perché allora la scuola del “Piccinni” vantava grandi nomi della danza; molti docenti provenivano infatti dal Bolshoi di Mosca, che era ed è tuttora un punto di riferimento essenziale per il balletto nel mondo. Ho trascorso lì due anni, viaggiando in treno da Martina Franca a Bari, ogni giorno di pomeriggio, dopo la scuola, quindi ti lascio immaginare che non è stato proprio semplicissimo… Era una routine piuttosto stancante e io ero comunque una ragazzina di 11 anni! Ciononostante, posso assicurarti non c’è stato un solo giorno in cui sono andata a Bari controvoglia, priva dell’entusiasmo di fare lezione!»

Non faccio fatica a crederti: è lo stesso entusiasmo che conservi ancora oggi, quando parli della danza mentre ti si illuminano gli occhi! È un entusiasmo quasi…contagioso! [Sorridiamo] D’altronde, la stessa scelta di affrontare a 11 anni quotidianamente il viaggio da pendolare dopo la scuola penso che la dica lunga sulla tua grande passione per la danza, ma anche sulla determinazione che, suppongo, ha da sempre guidato il tuo cammino…
«Credo che la determinazione sia del tutto necessaria nel mondo della danza classica, perché la strada non è semplice ed è facile scoraggiarsi… Ma se sai che quello è il tuo mondo e se (come me) sei consapevole che è esattamente ciò che vuoi, allora ogni sacrificio diventa in un certo senso “naturale” e non pesa poi così tanto!»

Talento, entusiasmo e determinazione ti hanno portato a studiare a Milano: dopo due anni trascorsi alla scuola del “Piccinni”, hai superato l’audizione per entrare nella prestigiosa scuola diretta da Renato Greco, lo Studio Danza Internazionale di Via Macedonio Melloni. Com’è stato lasciare il piccolo centro cittadino di Martina Franca per trasferirsi nella metropoli milanese?
«Il distacco dalla mia famiglia non è stato certo divertente, ma per quanto riguarda il mondo della danza, il passaggio da Martina Franca a Milano è stato come una ventata d’ossigeno, come respirare di colpo in alta montagna! Attenzione, non è che stessi male in Puglia, però in un certo senso me la sentivo “stretta” come realtà! Avevo estremo bisogno di vedere, conoscere, imparare, sperimentare la danza, e a Milano ho trovato tutto ciò che cercavo.»

L’approvazione dei tuoi genitori immagino che sia stata determinante in questo tuo percorso di vita: senza il loro consenso, data la tua giovanissima età, sarebbe stato praticamente impossibile per te studiare dapprima a Bari e poi a Milano…
«È chiaro! Avere dei genitori “aperti” e disponibili rispetto alle mie scelte di vita è stato fondamentale: loro non mi hanno mai ostacolato, hanno riposto in me totale fiducia e mi hanno lasciato fare, probabilmente perché percepivano quanto per me fosse importante la danza, e per questo (…e per molto altro ancora!) non posso che essergli grata.»

Il tuo, Comasia, è un percorso professionale alquanto eclettico, in cui l’attività didattica si mescola a quella performativa, passando dai più importanti teatri d’Italia fino ad arrivare alla televisione: qual è (ammesso che ci sia) l’elemento che accomuna esperienze così diverse, anche se comunque riconducibili al mondo della danza?
«Credo sia la voglia di scoprire. Sono una persona estremamente curiosa, sempre disposta a mettere in discussione “la strada trovata” per cercarne delle nuove; d’altronde, come diceva la grande Pina Bausch, sono convinta che «la curiosità fa crescere», perciò ho cercato di non mettere mai a tacere la mia insaziabile curiosità! Al contrario, le ho dato spazio, tentando, dove possibile, di creare dei punti d’intersezione tra i diversi settori dell’arte. Questo mi ha portato, quasi naturalmente, dal teatro alla televisione e viceversa, senza divisioni nette né passaggi drastici, poiché sono del parere che si possano trovare delle strade interessanti anche nel commerciale; quello che conta e che bisognerebbe preservare sempre è la qualità: credo che l’importante sia cercare di dare un colore al proprio racconto, sia esso danzato oppure, semplicemente, vissuto.»

 



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