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Walter Scotti :«Metto in mostra la mia terra»

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

11
MAG
2012

 

Da Via Margutta a Taranto, l’artista rievoca i momenti  salienti della sua carriera e ci conduce all’indietro nel tempo tra arte e cultura, lasciandoci assaporare il ricordo della dolce vita romana
 
Prima che i lettori si accingano alla lettura di questa intervista sarà bene avvertirli di mettersi comodi: anche questa volta Extra non ha tralasciato i dettagli e nonostante il clima si faccia sempre più rovente a pochi giorni dal ballottaggio, non poteva non riservare uno spazio speciale per toni più leggeri e distesi, ottimo rifugio dalla kermesse politica. A deliziarci con le sue vicissitudini e la vita piena di avventure è il maestro Walter Scotti, parte integrante del patrimonio artistico meridionale e non solo. Non me ne vogliano i lettori di Extra, se mi lascio sfuggire che conoscerlo di persona ha rappresentato un vero e proprio privilegio come pochi. La figura distinta, animata da un’ammirevole creanza e la voce ferma e decisa, ci accompagnano per più di un’ora, rievocando con aria trasognata gli anni più belli della sua vita a Roma attraverso vari flashback dal sapore denso di nostalgia. Il suo impegno culturale, dapprima con la fondazione dei ‘100 pittori di Via Margutta’ e in seguito con la pubblicazione di una Rivista d’arte, l’hanno sempre distinto nell’ambiente romano dei suoi anni, portandolo alla conoscenza di grandi artisti del passato che con il loro charme e la loro bravura impreziosivano le piazze più famose d’Italia. Dall’anima provocatoria, uno dei più grandi pregi da attribuire a questo indiscusso maestro è l’assoluta fedeltà alla sua terra: una passione smodata che domina protagonista in tutte le sue tele, dove il bianco della calce rimanda alla purezza di tempi mitici, immortali nel gioco delle luci e dei vividi colori che animano la sua pittura. Il ‘magico sud’ come ama definirlo lui, che supera tutti i pregiudizi, in silenzio, senza polemiche né proteste, ma servendosi solo della sua immortale bellezza.
Maestro Scotti, crescendo all’interno di una famiglia profondamente radicata nel campo dell’arte, non sarà stato difficile per lei, riconoscere quale dote scorresse nelle sue vene.
«Provengo da una famiglia con forti radici artistiche, infatti, mio nonno era specializzato in affreschi e decorazioni e i miei fratelli, sulla scia dei suoi insegnamenti, divennero dei bravi pittori. Io invece, a differenza  loro, mi sono reso conto più tardi del fascino emanato dall’arte: amavo tanto giocare a calcio, dedicandomi prevalentemente a questo sport e solo dopo una dura squalifica di cinque anni mi trovai di fronte alla necessità di dover assolutamente trovare un nuovo interesse, fu in questo modo che inizia ad avvicinarmi sempre di più alla pittura, riscoprendo l’incanto e l’attrazione che l’arte suscitava in me.»
Ha sempre avuto un legame particolare con suo fratello maggiore: il suo nome compare spesso tra i suoi ricordi più importanti.
«Sì, provavo una profonda ammirazione e una grande stima per lui. Mio fratello Alberto è stato sempre un punto di riferimento: più grande di me di quattro anni, anche lui aveva seguito le lezioni di mio nonno, diventando non solo un bravo pittore, ma anche un poeta, uno scultore e soprattutto un valoroso generale dell’esercito. La sua vita venne stroncata da un cancro, ma di lui è vivido un bellissimo ricordo rievocato costantemente da alcuni libri che compose. Era molto affezionato a Martina Franca, infatti, scrisse un libro di poesie su questa città e la scelse per la presentazione di un volume dedicato alle forze armate che convogliò al Palazzo Ducale, illustri militari italiani, provenienti anche da Napoli e Roma.»
È stata anche l’influenza di suo fratello a determinare il bellissimo rapporto che ha con la città di Martina Franca?
«Sì, non posso negare che mio fratello mi ha aiutato a conoscere meglio le bellezze di questa città: muniti di una macchina fotografica, ci incamminavamo spesso per i vicoli del centro storico, immortalando angoli e scorci stupendi. Il mio legame con Martina dura da tantissimo tempo, qui ho tenuto trenta mostre e ormai posso dire di conoscerla abbastanza bene in tutte le sue sfaccettature, inoltre negli ultimi tempi ho anche scoperto una giovane artista martinese, Enza Zizzi, che mi ha molto colpito per la sua bravura e per la sua serietà, perciò ho deciso di aiutarla ad affermarsi, sia dandole qualche consiglio e suggerimento, sia organizzando alcune mostre con lei. Tuttavia non posso non parlare del mio amore smodato per la cultura della calce che impreziosisce il comune di Martina: adoro camminare nel centro storico e ammirarne la bellezza.»
A giudicare dalle sue tele, la materia della calce può definirsi una componente onnipresente.
«Io impazzisco per la calce, amo le città bianche come Ostuni e da quando ho scoperto questa mia passione non l’ho mai più abbandonata: è da cinquant’anni che le mie tele rappresentano il Sud acceso di bianco. Una delle questioni sulle quali mi sono dibattuto spesso, riguarda la salvaguardia della purezza della calce nei centri storici delle città: a Grottaglie sono stato più volte protagonista di qualche litigio con le istituzioni, perché non concepivo che alcuni palazzi venissero colorati di rosso, dal momento che lì è più utilizzata la tempera e si sottovaluta la funzione utilitaristica della calce che brucia gli insetti e non si stacca facilmente.»
Il suo approdo a Roma avviene durante gli anni più belli dal punto di vista culturale: si affermano numerosi artisti e lei stesso contribuisce ad alimentare questo clima frizzante e prolifero.
«Ho vissuto a Roma durante gli anni più belli, quelli della dolce vita in cui si respirava un contagioso fermento culturale e artistico. La mia permanenza lì è durata trent’anni ed è tutta legata a Via Margutta, dove avevo una casa, uno studio e il mio progetto editoriale. Con la fondazione dell’Associazione “100 pittori di Via Margutta” allestivo delle mostre che erano seguite da tutti i giornali e mi capitava spesso di illustrare i nostri lavori a grandi personaggi dello spettacolo tra cui attori e cantanti che venivano a vedere la mostra. Ricordo che Lucio Dalla fece di tutto per inaugurarmi una mostra a San Severo, a dimostrazione del bel rapporto che spesso si veniva a creare con queste celebrità. L’unico intralcio che dovetti affrontare fu la lotta per rendere Via Margutta un’area pedonale: sono sempre stato un po’ provocatorio nella mia vita e in quell’occasione decisi di stendermi sulle strisce pedonali bloccando il traffico e destando lo scalpore di tutti, tuttavia non fu quel gesto a realizzare il mio intento, ma la conoscenza di Amintore Fanfani, all’epoca Presidente del Senato ed esperto in disegni danteschi, fu grazie a lui che ebbi la tanto attesa isola pedonale. Mi rattrista pensare che attualmente, di tutto quel mondo pieno di arte, non sia rimasto più nulla.»
Nella capitale più bella del mondo avviene anche il suo incontro con il mondo della letteratura e della critica d’arte.
«Come ho detto prima, a Roma c’era un clima culturale contagioso, perciò era inevitabile lasciarsi influenzare da ogni forma d’arte, io entrai a contatto con il mondo della critica e fondai la rivista artistica ‘Il Marguttone’. Dopodiché ho curato la stesura di alcuni volumi d’arte e l’ultimo di questi è la ‘Rassegna dell’arte italiana contemporanea’ all’interno della quale c’è prima la presentazione di una trentina di artisti famosi che hanno contribuito molto ad arricchire il nostro patrimonio culturale e la nostra civiltà, tra cui Giorgio De Chirico, Renato Guttuso, Antonio Ligabue e tanti altri; di seguito, invece, c’è una carrellata di artisti emergenti, ma di grande talento e bravura che sull’esempio dei grandi dovranno impegnarsi per fare carriera.»
All’interno delle sue pubblicazioni e delle sue mostre è stata sempre presente la voglia di proporre nuovi artisti: potremmo definirla come una ‘missione del sue mestiere’?
«Sì, queste pubblicazioni sono uno strumento per far conoscere e apprezzare giovani artisti per i quali è più complicato l’accesso alle pagine dei periodici d’arte, io non ho mai pensato di trarre un guadagno da questi progetti editoriali e non ho mai provato invidia per nessuno dei miei colleghi, ecco perché mi impegno costantemente affinché possa emergere chi davvero ha le potenzialità per farlo. A proposito di questo mi balza alla memoria, un episodio dei miei anni a Roma: in occasione di una mostra di Guttuso alla galleria Gabbiano di Roma, molti intellettuali accorsero numerosi e pensai di parteciparvi anch’io, quando arrivai mi accorsi che c’erano una trentina di ragazzi dell’Accademia di Belle arti di Ripetta, che richiedevano in omaggio il catalogo redatto dal maestro Guttuso; senza badare a spese acquistai circa venti testi e li lanciai verso i ragazzi, scatenando la reazione della moglie di Guttuso che mi accusò di essere un provocatore. Io mi difesi dalle accuse evidenziando come quei ragazzi non fossero altro che allievi del maestro e quindi quel testo poteva servire più a loro che a qualcun altro. Passò un po’ di tempo da allora, ma alla fine Guttuso mi diede ragione e fece di tutto per approfondire la mia conoscenza, instaurando con me un bel rapporto.»
Nella città in cui la sua professione ha raggiunto piena affermazione, è avvenuto anche l’episodio che ha cambiato la sua vita.
«È proprio così! Mentre ero in via Margutta un mio amico mi avvisò dell’arrivo di una delegazione da New York, giunta a Roma per scegliere il quadro che avrebbe dato vita alla nuova cartolina Unicef, io ero molto titubante, tuttavia il mio amico fece giungere questi distinti signori d’America anche nel mio studio; improvvisamente rimasero colpiti da un mio lavoro che riproduceva alcune abitazioni tipicamente meridionali, tra cui anche una Chiesa. Mi chiesero se era possibile raffigurare delle colombe, da sempre uno dei simboli dell’Unicef, io risposi che sarebbe stato un po’difficile dal momento che c’erano da rispettare delle proporzioni, ma loro fiduciosi mi diedero del tempo per rimediare nel migliore dei modi ed esattamente dopo un mese tornarono per vedere il quadro, non saprei descrivere il loro entusiasmo nel vedere che ero riuscito a inserire le colombe, rappresentandole come piccoli puntini attorno al campanile della Chiesa. Fu così che cambiò la mia vita: quel quadro fu riprodotto in 35 milioni di cartoline Unicef, che girarono per tutti i paesi e con loro iniziai a spostarmi anch’io lì dove non ero mai stato, girando il mondo con le mie tele.»
Nonostante si tratti di tele che rappresentino paesaggi tipicamente meridionali, ottengono molti apprezzamenti positivi anche oltreoceano?
«Sono stato a New York, Caracas, Tokio, Parigi e tante altre città, in ognuna di queste ho sempre proposto le immagini della Puglia e posso dire con sicurezza che all’estero piace tantissimo l’esasperazione della calce e se capita qualche cittadino italiano, questo cerca sempre di scorgere i suoi luoghi natii nelle tele.»
Maestro Scotti ci faccia una confidenza: è stata la nostalgia del suo ‘magico sud’ a farla tornare nel suo paese di origine?
«Sicuramente avevo nostalgia dei paesaggi della mia terra e non nascondo che ora ho un po’ di nostalgia degli anni romani, tuttavia, appena rientrai a Taranto, avendo ottenuto un po’ di notorietà, ricevetti parecchi inviti per tenere delle mostre e fu così che mi inventai una biennale e una quadriennale al Castello aragonese di Taranto con 160 pittori: il sindaco fu molto contento dell’iniziativa e in questo modo acquistai anche più stima e credibilità in Puglia. Ma anche quei bei tempi sono solo un ricordo, perché nessuno ha mai pensato di proseguire questa attività e con me è finito tutto.»
A proposito del grande artista Carlo Maria Mariani, lei ha citato una frase del celebre archeologo Winckelmann:«Il solo mezzo per diventare grandi è l’imitazione degli antichi». Lei che modelli ha seguito nel suo mestiere?
«Tutti i grandi artisti, non ho un modello di riferimento in particolare, ma cerco di seguire le tecniche e gli insegnamenti di tutti coloro che hanno davvero diffuso l’arte nel mondo. Nel mio atelier ho tantissimi libri d’arte che hanno accompagnato il mio percorso artistico. Mi rammarica un po’ che attualmente al gusto per i grandi maestri del passato, si stia affiancando il mondo degli avanguardisti. Non ho nulla in contrario con le correnti figurative, come l’espressionismo o il surrealismo, in grado davvero di comunicare delle sensazioni forti e precise, infatti anch’io agli esordi della mia carriera prediligevo l’astrattismo, ma non sono molto d’accordo con chi si propone di fare arte semplicemente assemblando oggetti casuali o addirittura dei rifiuti: sarà anche un modo per fare denuncia o comunicare qualcosa, ma per favore non la si chiami ‘arte’.»
In programma ha ancora molti progetti da realizzare?
«Assolutamente sì! Ho la bellezza di settantotto anni, ma c’è ancora tanta voglia di continuare a organizzare delle mostre e soprattutto c’è anche l’idea di fondare una nuova rivista d’arte sempre con l’obiettivo di promuovere nuovi artisti.»



Commenti:

Giuseppe 17/DIC/2014

HO AVUTO L'ONORE DI CONOSCERE IL MAESTRO SCOTTI DURANTE UNA MIA PERSONALE DI PITTURA IN TARANTO, RICORDO CHE FU LA MIA PRIMA PERSONALE A TARANTO, PRESENTO' LE MIE OPERE ALLA INAUGURAZIONE COME UN POETA SA LEGGERE LE SUE POESIE, POI EBBI MODO DI FREQUENTARE IL SUO STUDIO A TARANTO E COSì DIVENTAMMO AMICI NELL'ARTE, E STATO ANCHE UN MIO CRITICO, WALTER SCOTTI E' UN GRANDE ARTISTA E LA CITTA' DI TARANTO DEVE TANTO A QUESTO MAESTRO. GIUSEPPE GIANNOTTI PITTORE

Maria pia 23/APR/2013

Improvvisamente ho avuto nostalgia di via margutta ho fatto una passeggiata e sono tornata indietro nel tempo. . .

Foti Norma 1/MAR/2013

Sono meravigliata di tuoi dipinti! Non speravo altro di un anima cosi forte,pura e sottile.Ti auguro il meglio per la tua vita e la tua arte!Un abbraccio fortissimo.Norma

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