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Vito Caramia / «Troppi Mojito e troppi inconcludenti»

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

9
AGO
2013

Grandi potenzialità e occasioni mancate: la vocazione del territorio di Martina Franca si può riassumere così. Ne parliamo con un giovane sommelier che afferma una grande verità: non sappiamo fare più gruppo


Nell’ambito della valorizzazione del territorio di Puglia, secondo le parole di Giuseppe Cupertino, delegato per la Provincia di Taranto dell’Associazione Italiana Sommelier, occorre condividere la stessa passione per la Terra d’appartenenza, con il solo ed importante fine di lasciar scoprire questa come area da sempre vocata alla miglior produzione di vini, e di grandi “artisti” dell’ enogastronomia. È con questo spirito, e questa dedizione, che da anni l’AIS collabora a importanti eventi volti alla promozione e alla cultura territoriale valorizzando le più importanti etichette pugliesi con i suoi Degustatori Ufficiali.
Abbiamo incontrato un “degustatore” nostrano, martinese, Vito Caramia, sommelier per professione, che ci parla del nostro paese – in maniera “pepata” e senza infingimenti – e delle occasioni perse in questo settore, in maniera semplice e disinvolta.  Che il monito possa essere utile per chiarire un po’ di cose.
Sembra che Martina Franca sia esclusa dai circuiti enogastronomici. Si pensi alla manifestazione di Grottaglie dello scorso sabato sui percorsi di degustazione e itinerari turistici. Perché lì sì e qui no?
«Penso che in quei comuni vi sia maggiore attenzione al settore enogastronomico e un maggiore senso di responsabilità nei confronti di un settore che può diventare il volano della nostra economia. Pensi che la città di Taranto, grazie  a un consigliere come Francesco Cosa, sta portando avanti ogni anno una grande  manifestazione enogastronomica denominata ''Calici tra i due mari'' organizzata nella splendida  cornice di Piazza Maria Immacolata, dove appunto si nota una città coesa e dove l‘AIS (Associazione Italiana Sommelier) ha fatto un grande lavoro cercando di valorizzare le varie  tipologie di vini presenti abbinandoli a  dei piatti tipici della zona  tarantina. In tutta onestà credo che a Martina si stia enfatizzando troppo l’aspetto ludico a discapito di quel pragmatismo che una volta ci contraddistingueva, in riferimento alla privatizzazione di alcuni eventi che con le nostre tradizioni enogastronomiche non hanno nulla a che vedere, per non parlare del fatto che magari alcuni eventi si sarebbero potuti  organizzare nel centro storico.  Sinceramente credo che una possibilità concreta di sviluppo economico per il nostro paese possa essere garantita dal settore enogastronomico data la crisi del tessile che ha mortificato tutti. Non riesco a capire perché la politica non si direzioni in questo senso: si pensi a paesi come Locorotondo e Grottaglie  che, unendosi in consorzi, raggiungono davvero risultati importantissimi  a differenza di questo paese. Voi direte: “vabbè, ma il capocollo di Martina?”, be’, in verità vi è molta conflittualità tra gli stessi produttori e macellai. Invece a Cisternino c’è il signor Santoro che produce capocolli che stanno avendo riconoscimenti in tutta Europa. Dobbiamo riconoscere che il re è nudo: Cisternino ci ha fatto le scarpe. Letteralmente».
L’associazione AIS Puglia promuove la cultura del vino come volano dell’economia del territorio. Secondo te quale sarebbe la ricetta, per il nostro paese, per  “campare” di turismo ed enogastronomia?
«Prima di tutto occorre cambiare mentalità.  Chi dice che Martina abbia da insegnare agli altri comuni limitrofi dice una fesseria: non sappiamo fare più gruppo. Vi sono troppe fazioni, manco si fosse al Palio di Siena. Li almeno vi è uno spirito competitivo che giova all’evento culturale tipico: qui la competizione si trasforma in odio reciproco, diffidenza e invidia. Le manifestazioni (a parte il Festival, al momento l’unico vessillo della città nel mondo) sono personalistiche, hanno un valore discutibile e pretese culturali che non appartengono alla nostra città per storia e tradizione. Occorre poi riunire i due settori della cultura e del turismo. Quest’ultimo punto è strategico: cercare il dialogo con gli altri comuni limitrofi creando consorzi e marchi di fabbrica. Altrimenti rischiamo, con questo personalismo dilagante sia in politica che nel mondo imprenditoriale, di rimanere fuori dai circuiti enogastronomici. E Martina, le dico, è già fuori! basti pensare a quello che succede a Manduria, Altamura, Carosino, San Marzano dove si festeggiano proprio quest’anno i cinquant’anni delle Cantine San Marco, a Grottaglie dove si organizzano percorsi di degustazione e itinerari turistici. Martina invece è in balìa di se stessa. Il turista, arrivato qui, trova difficoltà ad alloggiare, barcamenandosi in bed & breakfast che, il più delle volte non hanno manco l’autorizzazione e, se cercano prodotti tipici vanno un po’ alla cieca. Be’, non è così che si accoglie il turista vero: quello che “spende”, che compra vini, mozzarelle, capocolli e se li porta su in Germania o in Inghilterra. Peraltro noto, con dispiacere, che molti di questi turisti sono parecchio “attrezzati” rispetto ai nostri giovani e alla classe imprenditoriale: sanno molto di più loro sulle nostre chiese rupestri, sulle nostre caratteristiche storiche che non noi che qui ci siamo nati. Noi non abbiamo capito “cosa vogliamo fare da grandi”. Immagini Lei cosa succederebbe se a Martina vi fossero strutture ricettive di prim’ordine come sulla costa che va da Polignano a Brindisi (Masseria San Domenico, Borgo Egnazia, ecc.), e quanti posti lavoro avremmo: camerieri, sommelier, accompagnatori turistici, ecc. Per non parlare delle piccole imprese vitivinicole che darebbero lavoro a molti giovani disposti a mettersi in discussione».
Il lavoro del “sommelier” comporta un percorso di formazione su “tre livelli”. Può un giovane trovare uno sbocco lavorativo concreto, data la disoccupazione giovanile?
«Credo che a Martina molti giovani si siano montati un po’ la testa. E’ la verità amara purtroppo che nessuno vuole riconoscere. Molti vengono spinti dai loro genitori agli studi accademici di alto livello che nel nostro territorio non hanno concrete possibilità sul risultato occupazionale. Ecco perché poi vanno via da Martina. E quei genitori non comprendono che così inibiscono le stesse possibilità di sviluppo autoctone. Poi parlano di difficoltà a trovare un lavoro. Un po’ perché effettivamente vi sono poche occasioni lavorative, ma c’è un altro grave problema culturale a monte: la difficoltà ad accettare lavori considerati di “bassa lega”. Fare il sommelier, ad esempio, o lo chef, o lavorare nella ristorazione, risulta molto impegnativo, o addirittura “degradante”. In realtà questi lavori possono portare a enormi soddisfazioni sotto il profilo umano. Lei sa quanto guadagna uno chef? O quanto viene remunerato un sommelier chiamato a una degustazione? il futuro economico di Martina si deperisce proprio perché si sta tralasciando la sua originaria vocazione enogastronomica.  Non riesco proprio a capire come mai, invece, i ragazzi di altri paesi vicini (si pensi a Locorotondo e all’Istituto Agrario) riescono bene a comprendere il valore dei sacrifici legati alla terra: sono ragazzi che si stanno formando nelle aziende  più importanti del settore! le faccio  un esempio: un ragazzo di Locorotondo ha fondato un' azienda vitivinicola di successo,  la  “750ml Wine Selection”.  Un vino già riconosciuto come tra i migliori prodotti in Puglia. Qui a Martina invece vedo i giovani affannarsi troppo: si agitano troppo sui social network quando parlano di politica, poi si inventano termini astrusi per inventarsi un lavoro che non ha speranze sul versante della rendita e non si conclude niente».
Quando si parla del vino di Puglia si pensa a Manduria, San Marzano, ecc. Perché Martina Franca, pur avendo origini rurali, è riluttante a cogliere le sue origini contadine?
«Forse perché ci si vergogna di sé stessi. Non riesco a capire perchè. Martina ha vissuto il periodo d’oro del settore tessile, d’accordo, ma aveva una vocazione produttiva legata alla terra. Be’, non l’ha saputa sfruttare. Locorotondo invece ha fatto del vino il suo vessillo: si pensi ai tre vitigni principali della valle D’Itria: la Verdeca, il Bianco D’Alessano, e il Fiano Minutolo. Martina, invece, cos’ha?».
Senti, Vito, obiettivamente: cosa ti ha fatto appassionare al vino e perché hai scelto di formarti come sommelier?
«Mi sono formato come sommelier  prima  di tutto perché la mia famiglia  ha una sua origine agricola, ma anche perché sono nato con sani principi e, con modestia, senza grandi pretese irrealistiche.  O capisci quello che ti può rendere o finisci col vivere il fiore dei tuoi anni immerso “nei sogni”. Per questo ho deciso di intraprendere questa magnifica  avventura che ti riempie di soddisfazioni; anzi,  invito migliaia di giovani a  pensare davvero alla nostra terra, perché quello che è chiamato “primo settore” credo sia tornato a essere una concreta possibilità di sviluppo economico.  Ma ci vuole umiltà, passione e realismo. Io personalmente provo una  grande emozione  partecipare alle degustazioni. Ma ci vuole passione, comunque. Tra i ragazzi noto troppi Mojito, di sera, collassati sotto un bar, e poca voglia di godersi la passionalità della nostra terra».



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