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MAURIZIO MAGGIANI: Come gli occhi del trattore

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

18
MAG
2012

 

L’autore di “Meccanica celeste” racconta di quando, “debole di petto” fin da piccolo, capì che fare il contadino non era la sua vocazione, ma raccontare storie gli riusciva particolarmente bene, come quella volta che un mostro dagli occhi gialli… 
 
 
Ci sono delle volte in cui si rimane incantati da un tramonto sulla spiaggia, dal profumo di un fiore, dalla brillantezza di un diamante. Altre, invece, dal suono di una voce. La voce di Maurizio Maggiani, per esempio, noto scrittore che ho avuto l’onore e il piacere di incontrare presso la Biblioteca civica di Statte in occasione del contenitore culturale “Il Maggio dei libri”. Quello che doveva essere un incontro per parlare del suo libro, “Meccanica celeste”, edito dalla Feltrinelli nel 2010, si è trasformato in una sorta di racconto attorno al fuoco, in un salotto letterario nel quale la voce pacata dell’autore cullava gli ascoltatori trasportandoli all’interno delle storie che egli narrava. Prima che lui arrivasse avevo mille domande da porgli; ma ho finito con il rimanere ipnotizzata dal suo canto melodico, dalle storie sulla sua terra, l’amata Liguria, sulla zia Carla, anarchica e ribelle, e su quel famoso mostro che ha intravisto da bambino e che gli ha fatto capire di essere un ottimo narratore, capace di ricreare le storie nel momento stesso in cui le racconta. Maurizio Maggiani è lo scrittore dai mille premi – Campiello, Viareggio, Stresa, Strega –, ciò nonostante non si considera un vincente, né uno scrittore affermato. Piuttosto parla di se stesso come figlio di contadini, dalle umili origini, che però gli hanno lasciato una ricchezza che va aldilà di tutti gli ori del mondo. 
 
Come è diventato scrittore?
«Per caso. Quando ero un ragazzo scrissi una lettera a una donna con la quale avevo intrattenuto una storia d’amore che però non era finita bene. Un mio amico decise di inviarla a mia insaputa a un concorso letterario. Finì con il ricevere chiamate da diversi editori, i quali mi chiedevano se avessi qualche scritto già pronto. Dopo i primi dinieghi mi convinsi a scrivere qualcosa e quello è stato il momento in cui la scrittura è diventata la mia professione. Anche se in realtà i presupposti perché io lo diventassi c’erano tutti».
 
Cosa intende dire?
«Beh, appartengo a una famiglia di contadini, ma sono nato debole di petto, come si suol dire; coltivare la terra è un compito arduo e faticoso, di conseguenza non avrei potuto ricalcare le loro orme. Anche nelle lotte con gli altri ragazzi, essendo il più magro e piccolo, perdevo sempre. Ecco, avevo bisogno di trovare un terreno nel quale avrei potuto vincere io. Dovevo scegliere la mia strada. Del resto l’uomo ha sempre due destini: quello che gli sceglie il padrone e quello che sceglie egli stesso. Scrivere e raccontare storie mi veniva naturale; me ne accorsi grazie a un evento che mi capitò quando ero un bambino. Ero fuori casa e stava per giungere la sera. Sapevo di dover rientrare di corsa, prima che facesse buio. Ero lì, sul sentiero, quando vidi in lontananza due enormi occhi gialli, come quelli di un gatto quando viene illuminato dai fari di un’automobile. Ma questi erano giganteschi, e inoltre proprio dal punto in cui si trovavano quegli orrendi occhi proveniva un ruggito, un rumore fortissimo. E veniva nella mia direzione. Cominciai a correre come un matto e arrivai in casa in condizioni pietose. Ovviamente alla mia famiglia non dissi nulla, ma la mattina successiva a scuola monopolizzai l’attenzione dei miei coetanei, raccontando a tutti dell’enorme mostro che avevo visto la sera prima. I miei compagni mi ascoltavano rapiti ed era una bella sensazione quella di sapere che con i miei racconti ero in grado di catturare il loro interesse. Della storia ne venne a conoscenza anche il fratello maggiore di uno dei miei amici, il quale ridendo di noi ci convinse a tornare sul posto. Ebbene, scoprimmo che si trattava di un trattore, il primo modello che giunse nella mia città. La cosa bella però è che, anche dopo aver appreso la verità, io e i miei amici preferimmo continuare a pensare che si trattasse di un mostro. Insomma, era più divertente così. Sapete, ho fatto circa venti professioni diverse, prima di divenire uno scrittore, e sicuramente cambierò ancora lavoro. Non ho voglia di morire scrittore. Nel mondo ci sono cose più importanti e più grandi che fantasticare inchiodato a una scrivania.»
 
Nonostante Lei non abbia seguito le orme della sua famiglia, l’amore per la terra lo si evince da tutto ciò che dice. Ci parli della Sua infanzia.
«Sono fiero e orgoglioso delle mie origini. Sono nato nel ’51 da una famiglia di contadini senza terra e di minatori. Non navigavamo certo nell’oro, come si può ben immaginare; si risparmiava il più possibile, la carne per esempio era solo per me, poiché avevo bisogno di crescere sano e forte. Si conosceva il valore di ogni cosa. Ciò nonostante avevamo tutto ciò che ci serviva per sentirci fieri di ciò che eravamo. Nonostante fossimo poveri, non ho mai sentito nella mia famiglia la parola “povertà”, non ho mai provato la sensazione della miseria. Così come, del resto, non ho mai sentito la parola “bellezza”, nonostante attorno a me ci fosse uno spettacolo meraviglioso. Ma quelle sono cose che vedi, che senti, senza bisogno che si dicano. Crescere in quel modo e in quell’epoca è stato straordinario. Forse si pensa che a quel tempo non si avevano tutte le cose che abbiamo adesso, ed è vero; tuttavia erano tempi d’oro, poiché si aveva la certezza che le cose non potevano che andare meglio. Io, rispetto a mio padre e a mio nonno, ero un privilegiato e avevo innanzi a me un futuro roseo. Loro avevano dovuto affrontare guerre e carestie, combattere per avere un mondo migliore; mentre io avevo la fortuna di vivere in un periodo in cui tutti i mali erano passati: basti pensare che in soli dieci anni, nonostante tutto, sono stati debellati l’analfabetismo, la tubercolosi e la poliomielite. Non è mica poco».
 
È stata la Sua famiglia a spronarla a diventare un uomo di lettere?
«Al contrario. La mia era una famiglia di poche parole, non si intavolavano grossi discorsi. Le uniche, o quasi, parole che ricordo di mia nonna sono quelle che mi ha rivolto quando, appena compiuti diciotto anni, decisi di occupare la scuola. Quando rientrai a casa, mi guardò e con fare calmo e rassegnato mi disse: “Tu hai cervello come la gallina della Fernanda!”».
 
La gallina della Fernanda?
«Sì. La Fernanda era una nostra vicina che passò alla storia per quella gallina. Come ben sapete, la gallina prima di essere cucinata va sgozzata, e la testa va poi a insaporire il brodo, non prima di essere aperta in due. Ebbene, quando Fernanda aprì la testa della sua gallina, all’interno non vi trovò nulla. Quando in casa si sparse la voce della gallina senza cervello, non riuscii a crederci. Insomma, sapevo dell’esistenza di molti uomini che ne erano privi, ma una gallina… non l’avevo davvero mai sentito!»
 
Bella storia. Ne ha altre?
«Potrei raccontarne un milione. Come ad esempio la storia della zia Carla, oramai ultra-ottantenne, che fu la prima donna operaia: si fece assumere in fabbrica e lavorava il mattone. Fumava, acquistava a credito, poiché poteva mostrare il libretto della cooperativa, il quale garantiva che avrebbe percepito uno stipendio ogni quindici giorni, cosa impensabile per i contadini. E cosa ancora più rivoluzionaria: indossava i pantaloni. L’unica volta che l’ho vista in gonnella è stato il giorno del suo matrimonio. E poi zia Carla fu la prima persona ad andare al mare per il gusto di rilassarsi e prendere il sole. Prima, nel mio paese, non si andava certo in spiaggia per quel motivo. Mio nonno, per esempio, si recava quasi tutti i giorni al mare, ma si fermava al canneto. Quando per un suo compleanno lo convincemmo a trascorrere una serata sulla spiaggia, lui osservò quell’immensa distesa d’acqua e disse: “E a cosa serve quella roba lì?”. Del resto, era opinione comune che si doveva ricorrere al mare solo nel caso in cui la terra non avesse avuto più nulla da offrire. Ecco di storie come queste il mio paese ne è pieno, così come il mio libro “Meccanica celeste”. Esso parla della mia terra, ma in fondo sono storie di tutta Italia, nelle quali ogni popolazione si rivede e si riconosce, dalla Sicilia al Veneto. E non solo: sono storie che abbracciano tutte le generazioni, quelle di ieri come quelle di domani».
 
L’incontro con Maurizio Maggiani è uno di quelli che ti rimangono impressi nella mente e nella memoria; è uno di quegli incontri che arricchiscono la vita e che lasciano un’impronta indelebile nell’anima. Se un giorno dovesse capitarvi di leggere di una manifestazione con Maurizio Maggiani nella vostra città, o della presentazione di un suo libro, andateci. Non ve ne pentirete. 
 


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