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Raffaello Mastrolonardo /SCOMMETTIAMO CHE…

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

20
SET
2013
Con il suo nuovo romanzo, dopo il successo di “Lettera a Leontine”, riconferma il suo talento di narratore di storie d’amore e di poesia, e offre ai lettori il volto di una Puglia caleidoscopica con personaggi che frugando nella memoria ricompongono gli strati delle loro vite
 
Ci sono almeno tre valide ragioni per scommettere sul  nuovo romanzo di Raffaello Mastrolonardo che dopo il successo ottenuto con Lettera a Leontine, rivelatosi nel 2008 un vero e proprio caso letterario, riconferma il suo talento di narratore di storie d’amore e di poesia. 
La prima ragione riguarda lo scenario, il palcoscenico sul quale si muovono e agiscono i personaggi: la Puglia. Una regione caleidoscopica per storia e paesaggi, regione complessa, costituita da tante realtà, ognuna delle quali reca con sé tracce di un passato che ci chiama a interrogarci sul nostro presente, sollecitando risposte che aprano spiragli di futuro, nuovi orizzonti di sviluppo, nuove visioni. La narrazione delle vicende dei protagonisti, l’architetto Gian Lorenzo Manfredi e Miriam Vettori, si svolge lungo tutta la regione, abbracciandola nella sua interezza, in tutto il suo perimetro fatto di coste, di mare, di cielo e di sole. Mastrolonardo, come già aveva fatto in “Lettera a Leontine” ne coglie i profumi, i colori e i sapori, gli squarci paesaggistici più noti: Bari con la sua cattedrale, il teatro Petruzzelli, il quartiere armeno; la Valle d’Itria costellata da trulli, masserie e muretti a secco; il Salento con Lecce e il Barocco. Ne “La scommessa” entra tutta la Puglia e non solo per le bellezze universalmente riconosciute, ma anche per i muri scrostati, i tratturi polverosi, i luoghi dismessi,  i cancelli corrosi dalla ruggine le cui serrature scricchiolano, la vegetazione spontanea che resiste al tempo. Vegetazione che trova nella pianta della ginestra il  correlativo oggettivo di una regione, di una terra che nel giallo fulgente  trova la sua voce, che è voce di accoglienza e di speranza, di luce e di vita e il giallo è il primo dei colori percepiti dall’iride umana.
La seconda ragione riguarda il nodo poetico, ossia il nucleo essenziale ed imprescindibile di ogni romanzo. E nella “Scommessa” tale nucleo è ben evidente, come del resto lo era anche ne “Lettera a Leontine”. Si tratta dell’amore. Parola che, recando dietro di sé una scia di significati e sensazioni così contraddittori, attrae e spaventa. Dinanzi all’amore siamo tutti nudi. L’amore strappa la maschera  e mostra il volto, attraversa il corpo e tocca l’anima; smonta quelle impalcature dietro le quali ci si corazza e ci chiede di essere persone e non personaggi. Apre il suo cono di luce sulle fragilità e le imperfezioni. Ed è questa la ragione per la quale l’amore spaventa, è terreno minato. Proibito amare nel tempo dei personaggi. Proibito amare nel tempo che non accetta le imperfezioni e le fragilità e considera le lacrime altamente tossiche. Proibito amare nel tempo che ha eretto a cattedrali  corpi dal vuoto pneumatico. 
La “Scommessa” è una storia d’amore. Reale o immaginaria non è questo ciò che conta più di tutto.  Del resto, se non siamo lettori ingenui, sappiamo molto bene che non dobbiamo aspettarci la realtà dai romanzi. Essi sono fatti di parole e le parole sono delle convenzioni. Non avremo mai la piena coincidenza tra le parole e le cose, tra le parole e i sentimenti, tra le parole e gli accadimenti quotidiani. Un romanzo, anche quando narra una storia “vera”, è sempre un’operazione di finzione, un’alchimia, un incantesimo. Per chi i romanzi li scrive, ma anche per chi i romanzi li legge, le storie nascono dal bisogno di caricare di senso l’esistenza, dal bisogno di vedere, scrutare i tanti strati di cui la nostra vita si compone. Nascono dalla sete di vita. 
Una storia d’amore, dunque, quella raccontata da Mastrolonardo. La storia di un incontro fatale fra un uomo, Gian Lorenzo Manfredi, che gli amici hanno soprannominato Maestrale, e Miriam: una donna bruna, sensuale, curiosa (nel senso che vuole conoscere, ascoltare ed anche vedere). Un uomo e una donna che s’incontrano su un terreno oltremodo fertile, quello dell’immaginazione condivisa,  un terreno che si alimenta  rigenerandosi continuamente. Sono molto diversi tra loro, Miriam e Gian Lorenzo ma ad accomunarli è il bisogno di esplorare il passato, di conoscerlo fino in fondo, anche a costo di soffrire, di riaprire ferite che, se pure avevano smesso di sanguinare, sono tutte lì.
La storia di Miriam e Gian Lorenzo è una sorta di studio archeologico della memoria, individuale ma al tempo stesso collettiva perché chiama in causa altri.  I ricordi che nel romanzo emergono dai racconti di Gian Lorenzo e Miriam sono sempre sollecitati dall’incontro con l’altro. Probabilmente se Gian Lorenzo non avesse incontrato Miriam, il suo passato di adolescente che vive il dramma di una madre folle e di un padre egoista e dissipatore, non sarebbe emerso, forse sarebbe imploso con effetti devastanti.  Ed anche Miriam sarebbe andata incontro ad identica sorte. Anche lei ha un passato, legato all’eccidio armeno, alla Puglia, a Bari che nel corso della I Guerra Mondiale accolse una comunità di profughi armeni di cui lei stessa è discendente, anche Miriam reca delle ferite. La reciproca condivisione dei loro ricordi, operazione dolorosa, traghetterà i due amanti ad una svolta che non è il caso di svelare, per non privare il lettore del piacere della scoperta.
La terza ragione per la quale se ne consiglia la lettura è la giustizia che questo romanzo rende ad un poeta armeno e al suo popolo: si tratta di Hrand Nazarianz, candidato al Nobel nel 1953, perseguitato dai Giovani Turchi e morto nell’indigenza. 
 


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