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PASQUALE STRIPPOLI /Il mio momento più bello

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

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OTT
2013
Il teatro a 360 gradi raccontato da un grande professionista del nostro territorio, il quale ci racconta i suoi esordi «passati a osservare» e la sua maturità artistica, che passa dalla recitazione alla regia, dalla scenografia alla direzione artistica
 
Quando si parla di teatro si pensa spesso alla recitazione, al lavoro dell’attore. Lo si immagina provare e riprovare la sua parte per settimane, sbagliare, piangere, disperarsi, esultare quando la memoria non lo tradisce. E poi, truccarsi, vestirsi e calcare il palcoscenico. In quel momento tutti gli occhi saranno puntati su di lui, li sentirà addosso e forse per pochi istanti presterà attenzione a ogni minimo sussurro. Ma poi tornerà a concentrarsi e inizierà a fare ciò per cui si è esercitato tanto a lungo: recitare. Alla fine, poi, a seconda dell’intensità e della durata dell’applauso saprà quanto i suoi sforzi siano stati apprezzati e si godrà il frutto di tanto lavoro. E così il regista e tutti coloro i quali hanno preso parte allo spettacolo. Ma ci sarà una persona che non presterà molta attenzione all’applauso finale, bensì a quello iniziale. Quando il sipario si alza e il palco viene mostrato, lo scenografo attende con ansia la reazione della platea. E se scatta l’applauso, allora potrà definirsi soddisfatto. A dirlo è Pasquale Strippoli, scenografo, attore e regista teatrale, direttore artistico del Teatro “Padre Turoldo” di Taranto e fondatore della Compagnia “I Delfini”. Una persona dai mille talenti e di grande umiltà che ha voluto abbracciare il teatro a tutto tondo e in ogni sua minima sfaccettatura. E pensare che tutto è nato da un altro amore. Quello per la pittura.
 
Ha dedicato la Sua vita al teatro, eppure il Suo approccio al palcoscenico non è avvenuto in veste di attore, dico bene?
«Esatto. Il mio esordio in teatro è avvenuto grazie a quello che considererò sempre il mio primo grande amore: la pittura. Ero un grande appassionato di arte e di disegno, sin dall’età di otto anni mi dilettavo, dipingendo alcuni quadri a olio. Poi al liceo il mio professore di arte, intravedendo in me del talento, mi permise di “lavorare” con lui. In realtà non ero che un ragazzo di bottega, mi recavo al suo studio e lui mi lasciava pulire i suoi pennelli. Non mi spiegava nulla, né acconsentiva a farmi esercitare accanto a lui. Mi diceva: “Osserva, osserva e impara”. E io, senza farmelo ripetere due volte, guardavo. Dopo tre anni ci fece visita un critico d’arte e all’improvviso, di punto in bianco, mi chiese di fargli un ritratto, così: su due piedi. Credo che quello sia stato un momento davvero decisivo per la mia carriera pittorica, perché da lì è cominciato tutto. Poco dopo, quando feci la mia prima mostra personale, mi dissero che la mia arte somigliava troppo a quella del prof. Borriello. L’avevo osservato talmente tanto che avevo finito per assimilare tutte le sue tecniche. Così decisi di puntare sull’iper-realismo romantico, giocando con le luci e le ombre e ricalcando la realtà fotografica. Quello poi è diventato il tratto distintivo della mia produzione artistica».
 
E come è giunto al teatro?
«Molti penseranno che teatro e pittura non abbiano nulla in comune, e invece per me l’esordio sul palcoscenico è stato la diretta conseguenza della mia passione per la pittura. Nel 1965, infatti, un mio amico mi chiese di realizzare la scenografia per una rappresentazione teatrale e mi sono letteralmente innamorato di quel mondo. Devo ammettere poi che creare il giusto scenario dà grandi soddisfazioni, è come dipingere un immenso quadro. Si tratta di ricreare con niente una realtà che è finzione, ma che deve sembrar vera, a differenza del cinema, dove la location e gli oggetti di scena sono reali».
 
È stato anche uno scenografo cinematografico?
«Sì, ho lavorato per il film “Club Vacanze ‘95” di Alfonso Brescia e anche in Rai. Ma il teatro è quello che mi appassiona maggiormente.  E sapete qual è il momento più bello per uno scenografo?».
 
Quale?
«L’applauso iniziale. Quando si alza il sipario e in scena non c’è ancora nessuno, soltanto la scenografia. Se il pubblico sorride e applaude appena la vede, beh: si può essere decisamente soddisfatti del lavoro che si è svolto».
 
Molti pensano al lavoro dell’attore o del regista, alle prove, alla fatica. E invece c’è molto da sapere anche sulla scenografia.
«Non è un compito facile, perché bisogna essere in grado di creare l’ambientazione perfetta e di essere il più possibile fedele al testo. È necessario, inoltre, conoscere tutti i materiali e i segreti della lavorazione. Io ho studiato e insegnato all’Accademia delle Belle Arti, dove si apprendono le varie tecniche. Ho insegnato anche a Sassari, dove ero piuttosto conosciuto, al punto che in teatro mi si riservava spesso una poltrona. Nella mia città, invece, non mi conosceva nessuno e tuttora non sempre si sa tutto ciò che viene realizzato. Io, poi, non sono mai andato a caccia di gloria; non mi interessa».
 
La Sua umiltà Le fa onore. Ma è un peccato che spesso non si conoscano le risorse della nostra stessa città.
«È così, purtroppo. Anche il teatro di Padre Turoldo, di cui sono Direttore Artistico, è una piccola chicca del nostro territorio, davvero una bomboniera. È molto bello, completamente ristrutturato. Non è molto grande e non mi permette di sbizzarrirmi con le scenografie, ma è davvero incantevole. Sfortunatamente, però, sono in molti a non averlo mai visto e a non conoscerne la programmazione della stagione teatrale».
 
Tornando alla Sua carriera, l’avvicinamento al teatro pian piano è diventato sempre più completo, portandoLa a diventare un eccezionale attore  e un ottimo regista.
«Come dicevo, quello del teatro è un mondo che mi affascina moltissimo e che ho voluto abbracciare a tutto tondo. Dal 1991 seguo la Compagnia “I Delfini”, di cui sono fondatore e Presidente, un progetto a cui mi sono dedicato anima e corpo con la collaborazione della professoressa Italia De Gennaro, purtroppo scomparsa; una donna di eccezionale bravura e con un grande bagaglio culturale».
 
Quale genere di rappresentazioni portate in scena?
«Un po’ di tutto, dai classici in lingua a commedie in vernacolo. Quest’ultimo non è da condannare, a mio avviso, purché sia fatto bene e con criterio. Il vernacolo va accettato, ha una sua dignità. Quelle che condanno invece sono le rivisitazioni in chiave moderna dei classici. Ecco, quelle proprio non le accetto, perché si perde la logica dell’epoca, il linguaggio, il comportamento. L’opera cambia completamente il suo significato, perde la sua valenza. Io ritengo che i classici non vadano toccati: sarebbe un sacrilegio».
 
A proposito di classici, quali sono le opere che avete rappresentato?
«Sono moltissime, ma su tutte cito “Gli innamorati” di Carlo Goldoni, che è stato il nostro primo lavoro e, di contro, “Il malato immaginario” di Moliere, l’ultimo portato in scena».
 
E se invece dovessi chiederLe qual è il Suo autore preferito?
«Senza dubbio risponderei Luigi Pirandello. La complessità e la bellezza delle sue opere le rendono magistrali, superbe. Del resto, le maggiori soddisfazioni in qualità di attore le ho avute proprio grazie all’interpretazione di un personaggio pirandelliano: lo scrivano Ciampa, protagonista de “Il berretto a sonagli”. Grazie a lui ho ottenuto molti riconoscimenti».
 
Ma lo sa che è uno dei miei personaggi preferiti? Lo adoro. Quali sono i Suoi prossimi impegni?
«A breve partirà la nuova stagione teatrale di “Padre Turoldo”, con numerose compagnie che vengono da fuori. È un programma molto variegato e piuttosto intenso. Con “I Delfini”, invece, porteremo in scena una rivisitazione di un’opera di Scarpetta, “Tre pecore viziose”, la quale verrà rappresentata in dialetto. In secondo luogo, stiamo preparando un’opera in lingua di mia produzione: ho fatto musicare da un noto artista tarantino “L’antenato” di Carlo Veneziano, un autore del quale desidero fortemente onorare la memoria. Sarà un lavoro molto complesso, con tanti pezzi cantati, ma di sicuro vi lascerà senza parole».
 


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