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La mostra/Elogio della maschera

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

18
OTT
2013
Fotografa e videomaker barese, Natascia Abbattista ritorna a esporre dopo molto tempo nel Museo Nuova Era di Bari con "Màsca - Studi per un teatro della Carne", una riflessione sull'identità e il corpo, la paura e il fascino dell'ignoto 
 
 
“Studi per un teatro della Carne”: il titolo promette bene. Utilizzando appieno l'architettura degli ambienti, la mostra accoglie il visitatore con un trittico fotografico che raffigura l'artista e sua madre con indosso delle maschere, per poi proseguire nel seminterrato con una performance nella quale una modella è seduta con il torso nudo, facendo da contrappunto ad una foto, posta alle sue spalle, dove invece è mascherata e vestita di tutto punto; l’opera si conclude nell'ultima stanza, dove un video mandato in loop raffigura tre bambine mascherate, intente a suonare degli strumenti musicali, un'immagine dove all'armonia ed al candore dei gesti si contrappone una musica atona e disarmonica.
«Stiamo parlando di individualità, di inconscio, di individuo, di soggetto  - ci chiarisce Roberto Lacarbonara, autore del teso critico - ci rendiamo conto che il soggetto non è padrone in casa propria, e quindi la maschera diventa lo strumento con cui costruire delle identità fino a perdere completamente la possibilità di una affermazione dell'io stesso. [..] Se è vero che ogni forma di conoscenza è una forma di approssimazione all'altro, e la verità dell'altro ci sfugge sempre, allora la maschera è quel filtro che ci permette la giusta distanza e ci compromette la riconoscibilità. Allora capiamo cosa è la paura: questa mostra nasce dal concetto di paura, è proprio l'incapacità di mettere a fuoco, noi tutti abbiamo paura di quello che non riconosciamo».
«Nel mio caso Màsca, la maschera, rappresenta una condanna ed allo stesso tempo una paura - ci dice l'artista Natascia Abbattista - in questa mia mostra ho presentato un trittico dove ci sono io, in due autoscatti, e mia madre. Inconsciamente ho scelto questi soggetti, probabilmente, per esorcizzare qualcosa successo nella mia infanzia? Non lo so, sicuramente la maschera per me significa paura, non a caso le maschere che ho scelto sono grottesche rappresentazioni di lupi e scimmie, che incutono un certo timore; nello stesso tempo con la maschera ti proteggi. La maschera è sia paura che protezione, dietro la maschera ci può essere tutto, è qualcosa che conosco e che non conosco, c'è il dubbio, c'è un punto interrogativo».
È stato Friedrich Nietzsche a dire che “tutto ciò che è profondo ama la maschera”, ed è proprio un messaggio profondo che la mostra dell’Abbattista comunica al visitatore, un messaggio perturbante che vuole ghermirlo, un messaggio stridulo che vuole confonderlo, un messaggio urgente che vuole essere ascoltato.
L'artista sembra invitarci ad una seduta di psicanalisi dove la maschera rappresenta sia la paura che la curiosità verso l'ignoto e dove la discesa negli ambienti della galleria rappresenta una ideale discesa nel proprio inconscio, alla ricerca di un'immagine, di un suono, di un ricordo che possa allentare l'angoscia e contenere il caos delle nostre esistenze.
Alla fine comprendiamo la necessità dell’arte contemporanea (e della cultura più in generale). Se contemporaneo, come asserisce il filosofo Giorgio Agamben, è “colui che tiene fisso lo sguardo sul suo tempo per percepirne non le luci, ma il buio”, allora la Abbattista, attraverso la sua opera, ci guida nei meandri oscuri, nei territori in ombra, negli anfratti tenebrosi del nostro tempo, lontani dal conformismo consumista, dalle luci sgargianti delle insegne, dagli spot sfavillanti, dalla politica parassitaria, per mostrarci che anche il buio, la paura, la maschera e l’ignoto risplendono di luce propria.
 


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