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Domenico Pizzigallo: Io e le mie mani fortunate

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

1
GIU
2012

 

Quando la vita ci mostra il suo lato più cruento e ci impone di accettarlo in maniera perentoria, senza nessuna risposta alle mille domande, improvvisamente va via la luce e con essa la speranza. Un blackout improvviso che ci spiazza violentemente sul palco della realtà, ed è proprio in quel momento, quando tutto sembra perduto, che inizia tutto … È così che afferma il dott. Pizzigallo: il suo impegno inizia quando ormai non c’è più nulla da fare e grazie a gente come lui, anche nella disperazione più totale, appare uno spiraglio positivo che dà un senso alla vita. È l’incontro tra la medicina e l’umanità che fa un bravo dottore e Domenico Pizzigallo, gastroenterologo martinese, incarna pienamente questa definizione ippocratica, sia quando parla di lacrime e sudore, sia quando parla di fede, coraggio e prudenza. Per anni al servizio dei suoi pazienti, è con l’arrivo della pensione che decide di collaborare con la Fondazione Luca Torricella, come volontario, prestando le sue cure ai malati terminali e assistendoli nei pochi giorni di vita. Una creanza che assurge a status symbol della sua personalità degna di ammirazione e stima; cordiale e sorridente ci conquista nell’arco di un’ora contagiati dal suo sorriso e dal suo sincero ottimismo.  
Dott. Pizzigallo come nasce la scelta di diventare un medico?
«È un percorso che parte da una scelta molto particolare: quando frequentavo ancora le scuole medie, mi fu diagnosticata una grave malattia cardiologica, per la quale i medici riferirono ai miei genitori che mi sarebbe restato poco da vivere; io origliai queste parole e fu così che decisi di diventare un medico, per assicurarmi una fine meno dolorosa, tramite la conoscenza di bravi amici dottori. Ringraziando il cielo si trattò di una diagnosi sbagliata, ma paradossalmente grazie a essa nacque un nuovo medico e riuscì a scoprire che mondo affascinante fosse quello della medicina.»
Nonostante i suoi studi al Nord, dopo la laurea ha scelto di ritornare nel suo paese natio.
«Sì, negli anni '70 non esisteva una medicina ospedaliera così diffusa e capillare, era tutto in divenire, in fieri, perciò pensai bene di tornare nel mio paese d’infanzia. L'ospedale di Martina all'epoca era una struttura in crescita con numerose professionalità qualificate anche a livello provinciale, basti pensare che i primari di allora erano tutti liberi docenti, a differenza degli altri ospedali. Per quanto riguarda la tradizione oculistica, Martina Franca vantava benissimo il nome dei Motolese, ma aveva anche un eccellente primario di oculistica, laureatosi a Padova, e un ottimo primario otorino ricercato dappertutto. Tuttora il nostro ospedale può ancora vantare un' ottima formazione, fatta da medici e specialisti di elevata levatura, ma ciò che più grava sulla nostra situazione è il deperimento finanziario che negli ultimi anni ha lasciato il fiato sul collo; non a caso recentemente, si è combattuto a lungo contro la chiusura del reparto di ginecologia, non solo molto efficiente, ma anche di buona ricettività alberghiera.»
Quali sono le caratteristiche fondamentali che non devono assolutamente mancare a un bravo dottore?
«È indispensabile essere sempre molto prudenti e avere delle mani fortunate: io le ho avute e sono molto contento di questo e della bellissima armonia che ho sempre creato con i miei colleghi, infatti, anche se sono in quiescenza, torno molto volentieri in ospedale per rivivere dei momenti passati. Altra dote fondamentale è l'umiltà, sorella della prudenza: bisogna creare un bel rapporto sia col paziente, che va costantemente assistito, sia con i familiari, ai quali va detta sempre tutta la verità. Sono stato parecchie volte in una sala operatoria e tenere tra le mani la vita di un'altro uomo è la cosa più difficile che possa capitare: è proprio a quel punto che le lacrime si nascondono col sudore e non si distinguono più.»
Tra le varie esperienze che hanno caratterizzato la sua vita, c’è anche una breve parentesi politica.
«Sì, nel 1987 mi sono candidato nelle liste del Partito Democratico e venni subito eletto come consigliere: si trattò di una bella esperienza, ma terminò quando iniziarono a sollevarsi i primi dibattiti sulla messa in discussione delle varie ideologie dei partiti anche a livello nazionale, in concomitanza con gli anni di 'Mani pulite', fu così che posi fine a questa travolgente parentesi politica.»
In virtù della sua esperienza e delle ultime novità giunte dal fronte delle recenti elezioni amministrative, che ne pensa della situazione politica odierna?
«Dico spesso ai giovani che è loro compito riprendere in mano la politica, appassionarsi a essa e crederci seriamente. Negli anni '80 nelle scuole si insegnava cosa fosse la mafia, adesso andrebbe insegnato ai ragazzi come combattere il cattivo costume, cos'è la costituzione civica, aiutarli ad appassionarsi all'amministrazione dei popoli, dei paesi e delle città: ogni uomo viene chiamato alla gestione delle proprie risorse umane, perciò questo non rappresenterebbe altro che uno dei tanti gradini della nostra crescita. L'attuale situazione martinese è riconducibile a quella che si vive in altri paesi di tutta Italia, il problema di base è l'aver consumato più di quanto si aveva a disposizione e prima tra tutte, sul banco d'inquisizione c'è la Sanità: i ticket sono usciti da poco, prima non c'erano e un medico era bravo nella misura in cui prescriveva i farmaci, a questo proposito ci si ricorderà del medico della mutua; tutto questo dispendio non ha fatto altro che aumentare il debito pubblico, aggravato ulteriormente dalla corruttela di cui si è sempre circondata la politica.» 
Giunto alla pensione, ha deciso di collaborare con la “Fondazione Luca Torricella”: quali sono, nello specifico, le attività di cui vi occupate?
«La fondazione si occupa sia di prevenzione che di assistenza a domicilio per i malati oncologici, perciò è dotata di un corpo di volontari molto nutrito, tra cui medici di elevata professionalità e numerosi infermieri, psicologi, fisioterapisti, che arricchiscono l’equipe e donano un grosso contributo per quanto riguarda l’assistenza domiciliare. Il nostro lavoro è tutto gestito dalla fondazione, però ci avvaliamo della grande collaborazione con l’associazione martinese per terapia oncologica, A.m.o.d. formata da volontari che si autofinanziano attraverso la creazione di prodotti artigianali che vengono poi venduti per sostenere quest’opera meritoria dell’assistenza. I malati terminali hanno tutti i tipi di sostegno e ci tengo a ribadire come questo impegno non debba essere considerato un lavoro garantito da un compenso economico, ma come una missione che ci faccia sentire appagati: grazie a questa attività mi sento davvero realizzato e quando mi trovo a dover tirare le somme della mia vita, è un vero piacere sentirsi soddisfatti per un’azione fatta col cuore.»
Trattandosi di un grande impegno che offre numerosi servizi, ci sono alcuni finanziamenti economici che sostengono la Fondazione?
«Sì, la fondazione è retta da una convenzione stabilita con l’Asl, che concede per ogni paziente la somma di 1200 euro, una cifra destinata a supportare tutti i giorni di malattia del malato indipendentemente dalla sua durata, il che risulta abbastanza conveniente se si pensa che la stessa Asl sia tenuta a concedere 1200 euro al giorno, se il paziente è ricoverato in ospedale: ciò significa che se il malato rimane in ospedale per dieci giorni, l’Asl avrà speso complessivamente 12000 euro. Inoltre l’Asl fornisce i farmaci, le flebo e tutto il materiale necessario. L’importanza di questa associazione sta anche nel grande lavoro di prevenzione che effettuiamo, perché grazie alla sottoscrizione di una tessera adatta si può prenotare qualsiasi forma di esame al costo di venti euro senza pagare il ticket sanitario, il servizio è garantito e i risultati si hanno in tempi molto brevi. La nostra associazione copre le zone di Martina Franca e Crispiano: i due paesi che rientrano nel distretto 5 dell’Asl di Taranto.»
La Fondazione porta il nome del suo fondatore?
«Sì, perché la fondazione è stata creata dal notaio Luca Torricella, che precedentemente ha collaborato per tanti anni con la LILT (lega italiana per la lotta contro i tumori) per la prevenzione oncologica e successivamente, attraverso operazioni regionali con le onlus, ha deciso di fondare una propria associazione che tutt’oggi porta il suo nome.»
Negli ultimi tempi il numero delle persone affette da malattie oncologiche è aumentato?
«Purtroppo sì, il tumore rappresenta un malattia in continua crescita e su tutti i giornali che fanno capo alla provincia di Taranto, si legge costantemente della diffusione del mesotelioma pleurico, una forma tumorale che riguarda i polmoni e colpisce un paziente al mese. Mi duole tantissimo dirlo, ma in realtà tutto ciò che si sta combattendo riguardo i danni provocati dall’Ilva, è vero: Patrizio Mazza, ematologo e candidato sindaco per queste elezioni, ha ragione quando afferma che questa situazione non  rappresenta un fenomeno di etichetta ambientale, ma un grido di allarme che deve spingere tutti noi a prendere dei provvedimenti e a costituirci parte civile. Non dobbiamo dimenticare che i venti fanno sì che questi gas e fumi arrivino anche a Martina e in altri paesi limitrofi, perciò si tratta di una situazione estremamente difficile,  interessata anche da persone costrette a morire per vivere e il che è a dir poco paradossale. Quando negli anni ’70 si costruì il vecchio Italsider con maestranze che provenivano anche dalla Liguria e da Genova, Martina si urbanizzò completamente e tutti aspiravano a questo colosso industriale che assicurava uno stipendio mensile, a differenza della grandine, del cattivo tempo e della peronospora che facevano languire i poveri contadini, e adesso di convesso, si paga lo scotto di tutta quella mobilitazione al lavoro. Chiaramente l’aumento dell’incidenza tumorale è un fenomeno che si è sviluppato nel tempo, di pari passo con l’ammodernamento delle apparecchiature più sofisticate e fatiscenti. Tuttavia, non dimentichiamo, che questo serio problema, riguarda anche chi lavora nelle centrali nucleari, da poco chiuse in Giappone.»
Entrando più da vicino nel suo settore, quali sono le neoplasie dell’apparato digerente più diffuse?
«Per questo tipo di neoplasie sono più frequenti quelle che riguardano soprattutto l’intestino. Fortunatamente con l’avvento di nuovi farmaci per la cura dell’ulcera gastrica, si è ridotta del 95% l’insorgenza di tumori gastrici, mentre si assiste a un grave aumento dei tumori colici e questo può dipendere molto probabilmente dal tipo di alimentazione e dagli stili di vita, indipendentemente dal sesso. Sarebbe consigliabile aumentare l’uso di vegetali, cambiare stili di vita e fare tanta prevenzione: semplice e facile, grazie a essa si riuscirebbe a sconfiggere l’80% dei tumori del colon.»
Rimanendo in tema di prevenzione, quali sono gli esami a cui è bene sottoporsi periodicamente per dei controlli generali?
«Dopo i 45 anni l’esame da effettuare periodicamente, in quanto è previsto proprio dalla legge, è la ricerca del sangue occulto nelle feci e poi naturalmente la colonscopia, che se fatta in mani esperte non è assolutamente da temere, perché indolore: io ne ho fatte tante anche senza anestesia. È necessario ribadire che la prevenzione è fondamentale soprattutto nelle famiglie dove è stato già presente un episodio di tumore al colon, non è ereditario, ma in questo caso si tratta di una predisposizione più accentuata: se è stato colpito un padre, i figli sono obbligati a fare questo tipo di esami.»
Quanto stanno andando avanti la scienza e la ricerca, per combattere questi mali?
«Stando alle ultime dichiarazioni del prof. Veronesi, tra  circa vent’anni si dovrebbe arrivare ai cosiddetti ‘farmaci intelligenti’ mirati a riportare le cellule tumorali alla normalità, attraverso un intervento sui geni alterati del Dna. Il problema del tumore è nella definizione e qualora non sia dovuto a fattori ambientali o di altro tipo, scatta il fattore genetico. Il tumore è la crescita cellulare afinalistica e senza scopo che non soggiace al meccanismo della regolazione, perciò si verifica quando non si arresta più la produzione cellulare: ogni giorno siamo minacciati dal tumore, ma per fortuna abbiamo dei meccanismi di difesa che si occupano della morte programmata delle cellule, meglio conosciuta come ‘apoptosi’.»
Di cosa ha bisogno un malato terminale?
«Innanzitutto va preservato dalla sofferenza fisica e dal dolore, a questo proposito, lo Stato italiano nel maggio 2010, si è fatto interprete di una legge che da la possibilità di prescrivere gli oppiacei legalmente e su ricettario comune, quindi un bel passo in avanti per le cure palliative; inoltre, in questi giorni, alcune regioni italiane stanno provvedendo all’utilizzo della cannabis. Un’altra cosa importante è non mentire mai al paziente, perché sa bene a cosa va incontro e lo accetta, bisogna sempre rispondere alle loro domande e non dimenticare di sperare nel miracolo: in alcuni casi di malattie di urgenza ho assistito a dei miracoli e questo non solo mi ha molto forgiato, ma ha rafforzato ulteriormente la mia fede.»
Stando a contatto quotidianamente col dolore di tante persone che soffrono, dove trova la forza e la speranza per assistere questa gente e di conseguenza condividere la loro tribolazione?
«Nella maggior parte dei casi, il mio temperamento ottimistico condiziona il mio carattere, però il condizionamento empatico è sempre presente: mi metto nelle condizioni del paziente, ne soffro, ma riesco a mascherarlo; non sarebbe possibile il contrario. Non si dica mai che un medico come me possa ‘farci l’abitudine’: a condizioni così difficili, non ci si abitua mai. Bisogna anche essere innamorati della propria professione e nel mio caso oltre a questo, c’è anche una forte spiritualità e religiosità che mi sostiene, io entro in azione quando gli altri dicono che non c’è più niente da fare, ed è proprio lì che per me inizia tutto: non si cura più la malattia, ma la persona e la mia esperienza può solo essere d’aiuto.»


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