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Nunzio Tria/Chiamatemi pure maledetto

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

22
GIU
2012

 

Nunzio Tria
 
Chiamatemi pure maledetto
 
Non lo disturba essere considerato un poeta maudit, anche se il suo più grande desiderio è invecchiare in Portogallo e imparare a pescare
 
Nunzio Tria nasce a Castellaneta nel 1956, vive e lavora a Laterza. E’ considerato un “poeta maledetto” per il suo slang ruvido e dissacrante.
 
Nunzio, sei ideatore e curatore della Prima Antologia di Poeti Laertini “Di Noi le Urla e i Canti”, nonché fondatore e direttore de “Il mal’occhio”, volantone di disinformazione locale: di che si tratta esattamente?
«La prima riguarda una pubblicazione corale che ho curato nel 2006. Un anno di lavoro nello scoprire talenti laertini e raccoglierli in una piccola antologia poetica, “Di Noi le Urla e i Canti” appunto, della quale vado particolarmente fiero. “Il mal’occhio” invece è stato, per circa due anni, l’organo di “disinformazione” più irriverente e “scomodo” che la città di Laterza abbia mai tollerato, attorno cui avevo raccolto le penne e le matite più taglienti della zona con cui approfondivamo argomenti di politica, società, letteratura e costume in maniera del tutto “sacrilega” rispetto al giornalismo tradizionale».
 
Come nasce in te la passione per la poesia?
«Passione? Certo. Ma credo sia più un fatto di necessità. Che io ricordi, da quando ho acquisito l’uso della scrittura, non faccio altro che imbrattare fogli; poi, che si tratti o no di poesia, davvero non saprei dirlo. So soltanto che se dovessi trascorrere un intero giorno senza scrivere qualcosa, mi verrebbero foruncoli e verruche su tutto il corpo. Insomma, mi piglierebbe una sgradevole crisi d’astinenza dallo scrivere».
 
Ti hanno definito il “poeta maledetto”. Ti ci ritrovi in questa veste di Baudelaire pugliese?
«Magari! No, Baudelaire è troppo, anche se non è tra i miei preferiti. E’ un simpatico nomignolo che mi porto addosso da sempre, immeritatamente, avendo mostrato simpatie per Rimbaud, per la Beat Generation, per Bukowski ecc. Francamente non so dire se l’aggettivo “maledetto” faccia al mio caso, ma non mi disturba per nulla».  
 
Nel 1994 esce la prima delle tue tre raccolte di poesie “Io Contro” edite dall’Amministrazione comunale di Laterza. Una silloge di protesta?
«Sì, ma contro me stesso. “Io contro” nasce per caso. Benché, già a quell’epoca, avessi scritto un armadio zeppo di fogli, non avevo nessuna intenzione di pubblicare alcunché. Fu una mia amica, Barbara Lomagistro (oggi docente universitaria a Roma), a convincermi e a farmi anche da prefatrice. Sono molto affezionato a quel libro, anche se tanto rozzo e artigianale. In quelle pagine però c’è parecchio istinto e ingenuità. Insomma, quel volumetto è scritto con la pancia, senza tanti fronzoli».
 
Il 1997 è invece l’anno di “Sconcetti”, Edizioni Poiesis, Alberobello. Perché “Sconcetti”?
«Quando mi resi conto che gli armadi traboccanti di fogli erano diventati due, decisi di avventurarmi in un’altra pubblicazione. Il titolo di questa seconda raccolta non poteva essere che “Sconcetti” dacché in tutti i testi in essa contenuti, non ero mai riuscito a mettere assieme uno straccio di idea o pensiero che avesse un minimo di ragionamento logico e di sanità mentale».
 
Infine nel 2004 è la volta di “Enucleo”, Campanotto Editore Udine…
«“Unucleo” chiude definitivamente un lungo periodo della mia vita in cui ho tentato costantemente e caparbiamente di scrivere qualcosa che si avvicinasse a ciò che convenzionalmente chiamiamo “poesia”, senza riuscirvi ovviamente. In buona sostanza  “Io Contro”, “Sconcetti” ed “Enucleo”  avrebbero potuto essere un unico libro dal titolo “La trilogia del vizio solitario”».
 
 
Hai progettato e diretto la rassegna poetico-teatrale “Disfonie, pura azione poetica urlata sottovoce, per dare fiato alla nostra terra”, Laterza. Poesia e teatro si intrecciano fino a fondersi…
«“Disfonie” è un progetto tuttora in vita, che mi restituisce buone energie e soddisfazioni. Consiste nell’andare in giro con attori, musicisti e poeti, per locali, luoghi all’aperto, piccoli teatri e scuole a raccontare, in versi, in prosa e in musica, di noi uomini e donne del sud».
 
Sei presente in diverse antologie “L’Anemone e la Luna” quaderni dei Poeti La Vallisa, 2003; “Settanta voci dall’Eros. Nel corpo della Parola – Le parole del corpo”, Edizioni Le Nuvole Teatro, Roma 2011. Sei vincitore di premi nazionali di letteratura e partecipi a numerosi reading di poesia, personali e collettivi, in giro per l’Italia. Dunque vivi la poesia come un canale innovativo di comunicazione capace di unire persone accomunate da una stessa grande passione?
«Per il mio “palmares” provo sentimenti contrastanti. Mi spiego. Se da un lato questi riconoscimenti mi mandano in brodo di giuggiole, dall’altro mi ricordano la mia età non più giovanissima; e lì che cominciano a girarmi un tantino!
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, io credo che la poesia – se di poesia si tratti – sia, dopo l’amore, la più alta e universale forma di comunicazione».
 
Sei fondatore e regista della “Compagnia Teatro Instabile” di Laterza. E dal 2008/2009 progetti e dirigi laboratori di lettura poetica nelle scuole medie inferiori e superiori. Insomma… l’arte è parte fondamentale della tua vita!
«Beh, si fa presto a dire arte. L’arte è sicuramente uno stock basilare della mia vita, ma non so se sono mai riuscito a produrne almeno un po’».
 
E attualmente stai curando l’”Antologia dei Poeti Jonici”. Che finalità ha questo interessante progetto?
«Certo, è un progetto su cui sto lavorando da circa due anni e nel quale credo molto. Si tratta di ripetere l’esperienza dell’antologia “Di Noi le Urla e i Canti”, ma su scala territoriale più ampia stavolta per far conoscere a un più vasto pubblico i grandi poeti (e non esagero) della nostra terra. L’antologia è pronta, mancano solo i fondi per la pubblicazione. Le nostre case editrici non mostrano molto coraggio nello scommettere su operazioni letterarie di tale genere».
 
Prossimi traguardi?
«Invecchiare sulle rive dell’Algarve, in Portogallo, imparare a pescare e a scrivere finalmente una vera poesia».


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