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ALESSIA AMATO/Come pezzi sparsi

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

22
GIU
2012

 

ALESSIA AMATO
 
Come pezzi sparsi
 
Ha da poco pubblicato la sua prima raccolta di poesie, “Più a sud del tempo”, nate per il bisogno di superare un evento traumatico. Ed ecco come i versi sono stati prima terapeutici, poi consolatori, infine rivelatori
 
Spesso si racconta che uno dei più grandi misteri della vita sia la nascita dell’universo, la scoperta del posto dal quale proveniamo e la nostra destinazione. Il senso della vita, insomma: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Credo che sia vero, in parte. Soprattutto credo che uno dei più impellenti bisogni dell’uomo sia quello di capire se stesso, di cercare delle verità dentro di sé, di darsi un’identità e delle caratteristiche ben definite. Un lavoro di ricerca, questo, che spesso dura per tutta la vita e che utilizza mille espedienti per raggiungere la piena consapevolezza. Alcuni studiano i maggiori trattati filosofici, altri scalano montagne sperando di trovare il significato dell’esistenza sulla vetta. Altri ancora si armano di penna e lasciano che da essa fluisca tutto ciò che si ha dentro, nel cuore e nell’anima. Come Alessia Amato, giovane e promettente poetessa tarantina, che nelle scorse settimane ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie “Più a sud del tempo”, svelando una maturità personale e artistica decisamente fuori dal comune. I suoi versi – come lei stessa racconta – nascono dalla necessità di esternare i propri sentimenti, gli stati d’animo e le emozioni, e da quella voglia, quel bisogno di comprendere gli eventi che accadono apparentemente senza una ragione.
 
Prima di essere una scrittrice sei stata, e lo sei tuttora, un’accanita lettrice. So di un certo aneddoto che ami raccontare e che riguarda un trasloco…
«Sì, esatto. Avevo circa sei anni e la mia famiglia stava cambiando casa. Ricordo che mentre i miei genitori riponevano la roba negli scatoloni, io mi sono diretta a passo svelto verso alcuni libri, intenzionata a portarli con me a ogni costo. In particolare si trattava di “Casa Russia”, “L’Antologia di Spoon River” e “I Malavoglia”. Non so di preciso cosa mi abbia spinto a salvare quegli oggetti prima ancora di bambole e giocattoli. Credo che si trattasse di una coscienza intima, profonda, che mi portava ad attribuire al libro maggior valore rispetto al resto. Forse perché inconsapevolmente sentivo che aveva importanza per la mia famiglia. Del resto, devo dire che mia madre mi ha sempre indirizzata sulla strada del libro, sin da piccolissima a partire con semplici scelte che mi chiedeva di compiere quando andavamo in giro per negozi o per mercatini: “Preferisci un libro o un giocattolo?” e io optavo sempre per il primo».
 
Dunque la lettura ha avuto un ruolo fondamentale nel tuo percorso artistico.
«Assolutamente. Sono sempre alla ricerca di significati e di risposte. Mi piace carpire dai grandi autori gli insegnamenti e i messaggi che attraverso i loro scritti hanno voluto trasmettere. È un costante lavoro di ricerca».
 
Da divoratrice di libri a scrittrice: il passo è stato breve.
«È stato un percorso naturale, perché credo che la scrittura sia parte di me e della mia personalità. La poesia, in particolare, diventa lo strumento per comunicare le mie sensazioni ed emozioni. Mettere su carta le mie riflessioni e tutto ciò che sento dentro, mi aiuta a esplorare me stessa, a comprendermi e a conoscermi meglio».
 
Sei sempre stata una poetessa o ti sei cimentata anche nella narrativa?
«In realtà sono partita proprio dalla narrativa. Da piccola mi divertivo a immaginare tante storie, a rifugiarmi nella fantasia. Essendo poi una grandissima appassionata di gialli, mi dilettavo scrivendo piccole storielle o brevi fumetti, anche attraverso l’utilizzo di un apposito programma al computer:  inventavo un caso – furto o delitto – e arrivavo pian piano alla soluzione. Era uno dei miei passatempi preferiti, mi sentivo una piccola Agatha Christie».
 
Come sei arrivata, quindi, alla poesia?
«Quando scrivevo racconti per partecipare ad alcuni concorsi letterari, mi rendevo conto che tutti i commenti dei critici vertevano attorno al fatto che la mia prosa, il mio stile di scrittura, era molto più incline ai versi poetici che alla narrativa. Ho pensato quindi di seguire il consiglio e di tuffarmi nella poesia».
 
Poche settimane fa c’è stato il tuo esordio letterario. La tua prima pubblicazione “Più a sud del tempo” è stata presentata presso la libreria Mondadori a fine maggio. Raccontami come è nata questa raccolta.
«Premetto che tutte le poesie raccolte all’interno del volume sono state scritte in un lasso di tempo di circa tre o quattro anni, e non miravano assolutamente alla pubblicazione. Non sono nate con l’idea di far uscire un libro, bensì da un bisogno di esternare delle emozioni e di affrontare un percorso intimo e personale, in seguito a un evento drammatico che ha scosso la mia vita. Avevo la necessità di lavorare su me stessa e di trovare un modo per elaborare quanto accaduto».
 
Partendo dal titolo, estremamente originale a mio avviso, c’è una tua riflessione che mi ha particolarmente colpito e che ha a che fare proprio con il tempo.
«Sì. Ho ingaggiato una vera e propria lotta contro il tempo, perché lo consideravo responsabile della mia perdita, perché mi aveva privato di qualcosa troppo presto e improvvisamente. In ogni poesia ho cercato di trovare una mia verità, una spiegazione per gli avvenimenti ai quali non sapevo dare risposta».
 
Sei uscita vincitrice da questa lotta?
«Al contrario. Ne sono uscita sconfitta, ma va bene così, perché ho capito che il tempo non è un nemico e che, pur avendomi tolto tanto, mi ha anche regalato dell’altro. Bisogna solo lasciare che gli eventi facciano il loro corso. A tal proposito, occorre specificare che la raccolta di poesie si divide in due tempi: quello iniziale strettamente intimistico, quasi ermetico direi, nel quale emerge il mio sentirmi frantumata. Mi sono paragonata, infatti, a dei pezzi sparsi e inizialmente ho trovato grosse difficoltà nel rimetterli insieme. Nel secondo tempo, invece, vi è una sorta di accettazione e di confronto con l’Altro. Alcune poesie, anzi, sono persino il risultato di viaggi onirici».
 
E il Sud, è un omaggio alla tua terra?
«Assolutamente. Tra l’altro mi è stato fatto notare che ho unito nel titolo due elementi che fanno parte di mondi diversi: uno appartenente alla sfera diatopica e l’altro a quella diacronica. Il tempo e il luogo. Non ci avevo neanche fatto caso».
 
La tua raccolta, oltre a essere estremamente significativa per te in quanto rappresenta la tua prima fatica letteraria, si inserisce all’interno di un progetto più ampio, o sbaglio?
«Non sbagli. Il mio volume dà il via a una nuova collana della casa editrice Edit@ di Domenico Sellitti, curata dal bravissimo Rolando Vernaglione, un uomo di grande cultura. La collana si chiama “I chicchi del melograno” e non riguarda in senso stretto la poesia; al contrario si apre a ogni genere, dalla raccolta di racconti, al romanzo breve, alla saggistica. Insomma ce n’è per tutti i gusti; proprio perché la letteratura è ampia e variegata si ritiene che ogni forma, ogni scritto debba avere il suo spazio nel campo editoriale».
 
Inaugurare una nuova collana editoriale deve essere stata una gran bella soddisfazione.
«Indubbiamente. Già il fatto stesso di vedere il proprio libro nelle vetrine delle librerie è un’emozione unica. Durante la presentazione quasi non respiravo, ero in un tale stato di agitazione! Temevo che non sarei riuscita a proferire parola. Fortunatamente, dopo il “battesimo” iniziale parte della tensione è svanita e mi sono sentita decisamente più rilassata, merito anche delle due moderatrici: Mara Venuto, che ha curato l’introduzione della raccolta, e Silvana Pasanisi, le quali hanno fatto l’impossibile per mettermi a mio agio; sono state davvero splendide. Sapere poi che la mia pubblicazione apre un progetto più ampio e non rimarrà fine a se stessa è una grande gioia per me, oltre che una bella responsabilità».
 
Non è la prima volta che collabori con Edit@, vero?
«No, infatti. Nel 2010 ho partecipato a un concorso letterario da essa indetto, che riguardava la letteratura erotica. La mia poesia è rientrata all’interno dell’antologia “Il peccato tra le righe” e l’anno successivo ci ho riprovato con la seconda edizione, e anche in questo caso ho avuto l’onore di far parte del volume “La notte del peccato”. Inoltre faccio parte del Caffè Letterario, un circolo culturale costituito dagli amanti della letteratura e da chi ha voglia di discutere di libri, versi e quant’altro».
 
Quale sarà il tuo prossimo progetto?
«Più che di un progetto, parlerei di desiderio. Mi auguro di continuare a scrivere, e di cercare sempre nuovi modi per esprimermi. Non disdegno neanche un ritorno alla narrativa, non si può mai sapere dove questo percorso mi porterà. Non ho l’ambizione né la voglia di insegnare qualcosa a qualcuno; al contrario il mio unico obiettivo è quello di trasmettere agli altri le mie sensazioni. Se sarò riuscita a far emozionare, nel bene o nel male, anche una sola persona attraverso un mio scritto, allora avrò raggiunto il mio scopo».


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