MENU

Ezechiele Leandro/Nuova vita per l´opera sommersa

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

14
MAR
2014
Nessuno è profeta in patria: è questo il bizzarro destino che spetta spesso agli artisti. Così, talvolta per loro riconoscimento e apprezzamento giungono prima e più facilmente fuori, piuttosto che dentro la comunità d’appartenenza. Questo è quanto è successo al salentino Ezechiele Leandro, la cui vita, accidentata e piena di contrasti, sarebbe degna di un romanzo.
Trovatello, nato a Lequile (Le) nel 1905, gli fu dato il nome Ezechiele Leandro. Per alcuni anni frequentò la scuola elementare, in seguito lavorò come pastore, e nel 1916 Giovanna Ciurlia lo riconobbe come proprio figlio (senza tuttavia dargli il cognome). Negli anni Trenta sposò Francesca Martina e si trasferì a San Cesario di Lecce; dall’unione nacquero Maria Pia, Ines, Anna e Angelo, affetto da sindrome di Down. Per mantenere la famiglia lavorò come minatore dapprima in Africa, e successivamente in Germania. Nel 1939 fu richiamato alle armi e assegnato a Matera prima, e a Galatina (Le) poi. Nel ‘46 avviò un’officina di affitto, riparazione e vendita di biciclette, lavorando contestualmente come cementista e rottamaio. Dopo aver acquistato un terreno in via Cerundolo, a San Cesario, iniziò a costruire la sua casa. 
A fine anni Cinquanta succede qualcosa che segna radicalmente la sua vita, imprimendole una direzione ben precisa: è il periodo, questo, in cui Leandro si cimenta con la scultura prima e con la pittura poi. Dopo aver preso parte a numerosi concorsi, nel ‘62 attirò l’attenzione della tv italiana avendo intrapreso la realizzazione del Santuario della Pazienza, uno spazio visionario e anticipatore popolato di teste, grovigli, piccole tessere musive, stille di colore incastonate nella roccia, mucchi di pietre accatastate, scolpite, lavorate. Il tutto in un tripudio di forme e spirali, concrezioni e accumulazioni, così definito da alcuni: «un magma delirante di santi, pupi, musicanti, sentinelle, a inghiottire il visitatore come nel mezzo di una fiaba. Horror vacui gotico, surreale, primordiale […] Un’architettura utopica, come un tempio pagano, tributo al paesaggio e alle forme ancestrali, al regno dei morti e dei vivi, alle cose sacre e a quelle rotte, bucate, ferite, trovate».
La produzione di Leandro, costituita da quadri oltre che sculture, costituiva l’emblema di un primitivismo ante litteram, in cui racconti di fuoco e di terra si fondevano con la durezza della roccia e la minuzia della decorazione, con l’ambra e la porpora del pigmento e con piccole figure stilizzate (alberi, animali, uomini e donne) che ricordavano antichissime incisioni rupestri. A queste si aggiunsero le opere monumentali a tema biblico, tra cui la Fine del Mondo e la Divina Commedia, popolate da peccatori, angeli e demoni, trasformati in folle brulicanti di soggetti tridimensionali.
Mescolare e riciclare erano le parole d’ordine del suo lavoro, la cui materia prima erano, di volta in volta, legno, creta, stoffa, ossa, copertoni, ferro, piastrelle e materiali di risulta. «Cose cucite insieme per miracolo, per istinto e per perizia, praticando quel gusto per il residuo, per lo scarto e il frammento, che tra i primi, Ezechiele Leandro, non capendone né di estetica né di art brut, espressionismo, informale o new dada, aveva afferrato e cavalcato, facendone la propria cifra poetica».
Nel ‘70 Leandro subì la perdita della moglie, l’anno seguente espose a Londra, alla Galleria ‘70 di Lecce, e prese parte a svariate diverse  collettive e personali in giro per l’Italia. La Gazzetta del Mezzogiorno lo intervistò e fu in questa occasione che nacque l’amicizia con l’intellettuale salentino Antonio Verri. Nel ‘72 fu inaugurata a Lecce la Galleria Leandro, a cui seguì l’esposizione alla galleria comunale leccese Il Sedile. La Rai s’interessò nuovamente a lui, ma contestualmente i rapporti con alcuni concittadini si inasprirono al punto che nel ‘73 dovette rinforzare il muro di cinta del giardino per difendere se stesso e le sue opere dalle continue aggressioni di chi lo considerava un folle, un personaggio pericoloso in quanto creatore di figure perturbanti e inquietanti, contro le quali venne promossa addirittura una petizione. Eppure l’uomo non permise a nessuno di mettere a tacere il suo demone interiore: a tal proposito infatti dichiarava: «io faccio quello che loro non sanno fare. Ma non potranno distruggermi, perchè quando me ne rompono una, io ne faccio dieci». 
Di segno opposto le reazioni a livello internazionale: Leandro espose infatti le sue opere a Lione, Londra, Parigi, Bruxelles, Strasburgo, Berlino e Marsiglia. Recensito da prestigiose testate giornalistiche e addetti ai lavori, gli venne conferito il titolo di Accademico dell’Accademia Tiberina di Roma, vinse molteplici premi e nel ‘77 diede alle stampe il suo primo libro, La creazione degli angeli e il peccato di Adamo ed Eva, cui seguì, nel 1980, Sentite questo, che gli valse la nomina di Accademico d’onore a vita da parte dell’ Accademia Internazionale di Lettere Arti e Scienze di Bologna. 
Morì il 17 febbraio 1981, mentre preparava, in collaborazione con il Comune di San Cesario e il Quotidiano di Lecce, la mostra presso il Museo d’Arte Contemporanea di San Cesario, curata da Toti Carpentieri. 
Ingrata. Non si può definire altrimenti la sorte toccata alle opere di  Leandro anche dopo la sua morte. Figli e nipoti hanno chiesto più volte, invano, che il Comune di San Cesario e la Regione intervenissero per tutelare quel patrimonio artistico da nemici come le intemperie e gli atti di vandalismo. Fino a quando il nipote, Antonio Benegiamo, ha portato via alcuni gruppi scultorei per metterli al sicuro, causando proteste da parte di estimatori e studiosi. A oggi il giardino di Via Cerundolo ha un aspetto spettrale, il che ha fatto temere una sorta di prematuro requiem per la generosa e anticipatrice eredità di Leandro. 
Tuttavia, qualcosa sembra muoversi, timidamente, in direzione opposta: recentemente infatti il Santuario della Pazienza è stato il punto di riferimento di numerose iniziative e riflessioni promosse dal collettivo Lu Cafausu, che proprio a San Cesario celebra da quattro anni La festa dei vivi (che riflettono sulla morte). 
E’ inoltre in corso presso il Palazzo Ducale di San Cesario la mostra La stanza di Ezechiele, a cura di Lorenzo Madaro e con il contributo di Luigi Negro. «Si è preferito – spiegano gli organizzatori - prediligere le opere e i documenti provenienti da collezioni private di San Cesario,  per rinsaldare un rapporto troppo spesso frainteso e difficile».
«Dopo il lancio in ottobre dell’appello per la salvaguardia del Santuario della Pazienza sottoscritto tra gli altri da autorevoli esponenti del panorama culturale e artistico internazionale, questa mostra, proprio perché realizzata con le opere possedute dai cittadini, ha l’obiettivo di stabilire una sorta di ideale riconciliazione tra la comunità e l’artista», sottolinea l’Assessore alla Cultura Daniela Litti. «In tanti, infatti, hanno risposto con entusiasmo al nostro invito e prestato le opere che avevano nelle loro case, sentendosi in questo modo partecipi di questo ambizioso e importante progetto culturale di rilancio e valorizzazione dell’artista Leandro».
Che proprio onorando il nome dell’opera più famosa di Ezechiele Leandro si sia giunti, finalmente, a un punto di svolta che consenta di recuperare e tramandare ai posteri i frutti della sua creatività?
 
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor