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Questionario proustiano: RISPONDE/GIUSEPPE GIRIMONTI GRECO

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

18
APR
2014
Il questionario proustiano di questa settimana è bene che venga “raccolto” (il verbo leggere è derivazione dal latino lègere, che significava, appunto, raccogliere) senza la consueta nota introduttiva che potrebbe “inquinare” la limpidezza e l’originalità  delle risposte di Giuseppe Girimonti Greco, traduttore sì ma innanzi tutto Lettore Forte (le maiuscole sono un richiamo di senso). L’effetto suscitato dalle risposte di Girimonti Greco è stato quello  di un orizzonte che si apre in modo del tutto inatteso, rivelando senza alcun espediente retorico le ragioni per le quali non dobbiamo stancarci di promuovere e sollecitare la lettura di opere che ci permettano di vedere oltre gli steccati delle nostre abitudini: noi in primis correremo a leggere “L'uccellino azzurro” di Maurice Maeterlinck, definito il “custode dei sogni”, nonché premio Nobel per la Letteratura nel 1911.  Del resto, lo spirito di questa rubrica è proprio questo: diffondere il contagio della lettura e Giuseppe Girimonti Greco lo ha ben interpretato. 
 
Qual è oggi la sfida più difficile per un traduttore? 
«Tradurre un classico premoderno (che poi è anche la cosa più bella che possa capitarti)».
Quanto tradisce un traduttore? 
«Poco. Si spera. “Fedeltà” e “infedeltà”, però, forse sono termini un po’ fuorvianti. Spesso, per ricreare una frase, un’atmosfera, degli effetti di stile… diciamo, in generale, il ‘tono’ di un testo (in particolare il parlato e il tono dei dialoghi), è necessario allontanarsi molto dalla lettera. È una cosa che i lettori forti di letteratura straniera tradotta sanno bene». 
Qual è l'aspetto più creativo di un traduttore? 
«Non saprei indicarne uno specifico. Tradurre è un’attività molto creativa, tutto sommato, checché se ne dica; e la cosa più interessante è che il traduttore ha il vantaggio di poter essere abbastanza creativo. Perlomeno in alcuni casi, senza neanche accorgersene. Detto in altri termini: non ha il ‘blocco’ della pagina bianca; parte da un testo che esiste già e può, senza esitazioni, ‘attaccare’ a scrivere. Ma bisogna fare attenzione al malinteso della cosiddetta co-autorialità’. I traduttori più bravi sono quelli che restano davvero invisibili, quelli che riescono a non far sentire la propria voce… a parte una leggera inflessione; quello è un ‘inconveniente’ inevitabile… ma in realtà non è esattamente un inconveniente; il doppiatore di un attore (se vogliamo prendere un parallelo utile per descrivere l’atto del tradurre) può anche avere un “petit accent”, magari anche regionale, perché no? È una cosa che non dà fastidio». 
Qual è il testo da te tradotto col quale sei entrato in maggiore empatia? 
«Forse l’ultimo, Un’estate con Montaigne, di Antoine Compagnon, che ho tradotto per Adelphi insieme a Lorenza Di Lella. Una specie di breviario laico, composto di citazioni (commentate) tratte dai Saggi di Montaigne. Si tratta di un libro tradotto a quattro mani, quindi si tratta di una duplice empatia… Montaigne è un autore che amo molto. È un autore difficile; tradurlo, anche solo parzialissimamente, è stata un’esperienza decisamente ansiogena. Temo molto il giudizio degli specialisti. Ma anche il penultimo mi è piaciuto molto (Julia Deck, Viviane Élisabeth Fauville, sempre per Adelphi, e sempre in tandem con L. Di Lella), perché poneva problemi linguistici, stilistici e narratologici particolari. Peraltro, a quanto vedo, sta diventando un piccolo caso letterario». 
Qual è invece quello che proprio non avresti voluto tradurre ? 
«Non si può dire…».
Quale sarebbe una traduzione che ti sarebbe piaciuto fare un secolo fa? (traduzione impossibile) 
«Di nuovo Montaigne, Dell’amicizia, ma non un secolo fa; diciamo intorno al 1595, all’indomani dell’edizione postuma dei Saggi. Oppure il primo volume della Recherche, esattamente un secolo fa, all’indomani della sua pubblicazione (1913)».
Cosa rappresenta Proust nella tua vita? 
«Tante cose; riprendo le parole che usa Proust a proposito dell’oggetto-libro: un gigantesco “strumento ottico”. Cito Lui: “In realtà, ogni lettore, quando legge, è il lettore di se stesso. L’opera dello scrittore è solo una specie di strumento ottico offerto al lettore per consentirgli di discernere ciò che forse, senza quel libro, non avrebbe potuto intravedere in se stesso”. E ancora: “Il solo vero viaggio, il solo bagno di giovinezza, non sarebbe andare verso nuovi paesaggi, ma avere occhi diversi, vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, vedere i cento universi che ciascuno di loro vede, che ciascuno di loro è”. A questo servono i grandi romanzi, a imbarcarsi per questa traversata».
Il tratto principale del tuo carattere? 
«L’estroversione».
La qualità che desideri in un uomo? 
«La bontà».
La qualità che desideri in una donna?
 «Idem». 
Quello che apprezzi di più nei tuoi amici?
«Di nuovo la bontà, la generosità».
Il tuo principale difetto?
«La suscettibilità». 
La tua occupazione preferita? 
«Parlare, fare conversazione. Vedere bei film. Due occupazioni (ehm) incompatibili…».
Il tuo sogno di felicità?
«Rispondo come rispose Proust: non lo dico per paura che il solo dirlo possa portarmi sfortuna. Proust per la precisione rispose: “ho paura di distruggerlo dicendolo”».
Quale sarebbe per te la tua più grande disgrazia? 
«Come sopra (col passare del tempo divento superstizioso)».
Quello che vorresti essere?
«Un tipo creativo, nel vero senso della parola, questa volta».
Il paese nel quale vorresti vivere? 
«La Francia (Parigi); o il mio (se solo non fossimo sull’orlo della guerra civile)».
Il colore preferito? 
«Il verde, per ovvi motivi; e il colore del caffè».
L'uccello che preferisci? 
«L’Uccellino Azzurro di Maeterlinck, ovvero la felicità a portata di mano».
Il fiore che ami? 
«Tutti, ma in particolare quelli di campo». 
Gli autori in prosa che preferisci? 
«Applico la regola del tre, per evitare di fare la lista del salumiere: Boccaccio, James, Proust». 
I poeti che preferisci? 
«Applico di nuovo la regola del tre (e così anche per le risposte successive): Petrarca, Pascoli, Palazzeschi».  
I personaggi letterari che preferisci? 
«Rinaldo nell’Orlando Furioso; Robinson Crusoe (che forse è anche il primo personaggio letterario che ho ‘incontrato’ da bambino); il protagonista della Recherche».
Le eroine letterarie che ami? 
«La Lisabetta da Messina del Decameron; Félicité, la “santa idiota” di Un cuore semplice di Flaubert; la nonna del protagonista della Recherche».
I compositori che preferisci? 
«Monteverdi, Bach, Rossini… e sarebbe bello che nel questionario ci fosse anche una domanda dedicata agli interpreti preferiti, ai cantanti, agli strumentisti…». 
I tuoi pittori preferiti? 
«Pontormo, Carpaccio, Vermeer». 
I tuoi eroi nella vita reale? 
«Non c’è risposta; preferisco limitarmi all’universo letterario, visto che il gioco del questionario lo consente». 
Le tue eroine nella storia? 
«Come sopra».
I tuoi nomi preferiti: 
«I nomi semplici: Francesco, Maria. I nomi biblici: Esther, Giuditta. E poi mi piacciono i nomi letterari antichi e in particolare quelli della tradizione cavalleresca: Ariodante, Ginevra, Olimpia, Doralice, ecc. E tutti quelli degli eroi e delle eroine del melodramma».  
Quello che detesti più di tutto? 
«Il sadismo, specie se accompagna la tendenza a prevaricare, ad approfittare di una posizione di potere, per esempio nella relazione maestro-allievo. Quando invece è (per così dire) ‘allo stato puro’ mi fa meno orrore. Ma è difficile che si presenti allo stato puro… Proust ha scritto cose importanti sul sadismo, ed è stato il primo a distinguerlo nettamente dalla malvagità (pur senza conoscere Freud)».  
I personaggi storici che disprezzi di più? 
«Non c’è risposta».
Il dono di natura che vorresti avere? 
«Intonazione perfetta e grande agilità di movimenti (e di voce)». 
Come vorresti morire? 
«Non c’e risposta». 
Stato attuale del tuo animo? 
«Una vaga inquietudine, e anche un po’ di disagio per aver risposto un po’ alla carlona a tutte queste domande (così più o meno rispose Queneau a questa domanda del questionario)». 
Le colpe che ti ispirano maggiore indulgenza? 
«Sono indulgente sempre e con tutti».
Il tuo motto? 
«Contre mauvaise fortune bon cœur».
 
Traduttore letterario e insegnante, ha tradotto e curato, per Adelphi, libri di Vladimir Pozner, Henri Michaux, Julia Deck, Antoine Compagnon; e ancora: Régis Jauffret (Clichy), Bernard Quiriny (L’orma), Alain Mabanckou (66thand2nd), Michael Uras (Voland), ecc. Nel 2013 ha curato, con Sabrina Martina e Marco Piazza, un dizionario tematico dedicato a Proust (Proust e gli oggetti, Le Càriti). Si è addottorato in Teoria della letteratura con una tesi su Proust e si occupa di letteratura francese del Novecento, di critica tematica, di letteratura e cinema, di autori del Cinquecento.
 


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