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Cervelli in fuga: «Cosa (non) mi manca di Crispiano»

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

20
LUG
2012

 

Andarsene dall’Italia non è facile, ma necessario se si vuol trovare la propria strada. Lui si chiama Adriano Clemente ma a New York è conosciuto come Duke Emerlust. Ecco la storia di un talento multiforme che sta conquistando gli Stati Uniti, dove gli italiani sono amati. Tranne uno
 
Si chiama Adriano Clemente e ha compiuto 30 anni qualche giorno fa. Crispianese doc, ha lasciato il paese delle Cento Masserie appena maggiorenne per andare a studiare a Roma. Di recente è approdato a New York dove si sta facendo strada nell’ambito della tecnologia applicata alla musica. Nel suo curriculum, tra le altre cose, leggiamo di una laurea in Psicologia alla Sapienza, di una borsa di studio all’Istituto Europeo di Design, dell’attestazione di Ableton Certified Trainer (Ableton Live è un software per produrre musica, performare e fare DJing) oltre ad anni di studio del pianoforte classico. Nonostante ciò, il ricco bottino di titoli ed esperienze maturate non è bastato per farlo rimanere in Italia.
 
Potresti spiegarci in parole povere di cosa ti occupi?
«Io sono un Sound Designer. Un musicista laureato in Psicologia che lavora come Ableton Certified Trainer. Lavoro con tecnologie di ultima generazione per ripensare costantemente il ruolo dell’artista, adattandolo all’avanzamento degli strumenti. Uno dei miei recenti lavori si chiama “Body Instrument” e consiste nella possibilità di suonare musica, controllando il computer con il movimento del corpo. Il tutto avviene usando un sensore 3D chiamato Kinect».
Quando e perché hai deciso di partire per gli Stati Uniti?
«Dopo aver vissuto 18 anni a Crispiano e 10 a Roma, ho deciso di partire alla volta degli Stati Uniti nella primavera del 2010. Ero in una fase di rinnovamento e ho pensato che un’estate in America a perfezionare l’inglese sarebbe stata un ottimo investimento. Quell’estate ormai dura da oltre due anni».
Come è stato il primo impatto con la Grande Mela?
«Molto interessante e intenso. Dopo due settimane ero già sul set a prestare le mie doti di tecnico del suono a una troupe di amici che giravano un documentario per la New York Film Academy. Da lì, poi, una catena di eventi che mi hanno portato qui adesso».
Quando è nata la passione per la musica?
«Credo proprio che sia nata ancor prima di essere nato, visto che i miei genitori usavano farmi ascoltare musica classica quando ero ancora nel grembo. Credo che la cosa abbia aiutato parecchio. A livello più pratico ho cominciato a suonare la Farfisa all’età di 5 anni e a studiare pianoforte a 10 anni. Per quel che riguarda invece la passione per i computer, e quindi la musica elettronica, devo dire grazie a mio padre che sin da piccolo mi ha introdotto al Commodore 64 e supportato sempre la mia passione per computer, tecnologia e sintetizzatori».
Quali sono i progetti che al momento hai in piedi?
«Al momento sto lavorando con diversi progetti: porto avanti un evento chiamato Ableton Open Session, un party che raccoglie moltissimi produttori di musica su computer che è stato presentato a New York, Tokyo, Osaka e Los Angeles. In più sto lavorando alla mia ricerca sull’uso di controller alternativi per produrre musica (iPad, iPhone, Kinect) e faccio il Music Director per l’artista Ana Lola Roman. Tra le altre cose insegno musica elettronica e produzione musicale su Ableton Live».
E' corretto dire che la tua figura si avvicina a quella di un maestro d'orchestra di musica elettronica?
«La mia figura si occupa anche di dirigere altri musicisti e strumenti. Quando lavoro sulle colonne sonore e Sound Design per la pubblicità, ad esempio, faccio esattamente questo: penso all’orchestrazione, la scrivo parte dopo parte, registro, faccio il mixaggio, il mastering e ho il prodotto finito. Si tratta di una serie di operazioni che negli anni ‘60, ai tempi dei Beatles per intenderci, erano svolti da sei-otto diverse persone con diverse professionalità e mezzi a disposizione. Oggi, con tanta perspicacia e lavoro sodo, tutto ciò è possibile usando un computer e un’ottima attrezzatura da studio».
Sulla scena newyorkese sei conosciuto con lo pseudonimo di Duke Emerlust. Come mai questo nickname?
«Duke Emerlust è un mio progetto del 2002. Era un omaggio a George Duke and Keith Emerson, grandissimi tastieristi jazz and prog, famosi per essere virtuosi dei sintetizzatori».
Sappiamo che sei anche un'insegnante. Ti piace questo lavoro?
«Lo adoro, forse perché mia madre è un’insegnante. I maestri, i professori universitari per anni mi hanno dato informazioni, aiutato a correggere il tiro, tirato le orecchie, premiato e tutto ciò con diversi stili, strumenti e tecniche. La cosa mi ha sempre appassionato e sono convinto che sia uno dei lavori più belli al mondo perché i risultati non sono semplici prodotti tangibili, ma la possibilità di arricchire la mente di qualcun altro e darli gli strumenti per costruire qualcosa in più migliorando la propria vita».
Hai anche all'attivo alcune composizioni di colonne sonore per film. Parlaci di questi lavori.
«In Italia ho collaborato per la prima volta a un cortometraggio con il regista crispianese Mauro Magazzino per il suo lavoro chiamato “Acqua”. Quel film vinse il premio Spazio Italia al Torino Film Festival del 2005. Dopo quel progetto ho lavorato al “Canto delle Nuvole Amare” di Giacomo Francia che ebbe successo in vari festival internazionali e ho scritto, insieme a Michele Braga, due tracce per il film “Tutto l’Amore del Mondo” con Nicolas Vaporidis e il pugliese Sergio Rubini. Qui a New York ho fatto molti corti e firmato come sound consultant la colonna sonora del documentario “New York in Motion” prodotto dalla School of Visual Art».
La tua prossima sfida?
«È il lavoro con l’Epoch della Emotiv. Si tratta di un casco neurale che permette di insegnare al computer specifiche azioni da compiere con il solo uso del pensiero. Non parlo di fantascienza, è un prodotto di un’azienda di San Francisco che cambierà letteralmente il modo in cui le persone interagiscono con il pc».
Dovessi indicare le tre differenze più notevoli tra Stati Uniti e Italia, cosa ti viene subito in mente?
«In Italia se non sei nessuno resti nessuno, qui c’è sempre la possibilità di ribaltare la situazione; in Italia il cibo è molto più buono che negli Stati Uniti; in Italia siamo tutti per lo più italiani e ci spaventiamo degli immigrati, qui la multiculturalità è all’ordine del giorno».
In linea di massima cosa pensano degli italiani gli americani?
«Loro amano gli italiani. Amano la nostra arte, il cibo, il nostro cinema (quello di una volta). Però sono un po’ confusi perché la prima cosa che ti chiedono sempre è: “Siciliano?”. E tu lì a spiegare loro che non esiste solo la Sicilia, ma come potete immaginare la serie di film “Il Padrino” li ha confusi. Posso dire che ridono di Berlusconi e lo prendono in giro in continuazione, cosa che da italiano per bene mi imbarazza parecchio».
Stai già pensando al giorno in cui tornerai in Italia o è un'idea che non ti sfiora neppure?
«È uno dei miei sogni a lungo termine. Spero di poter  apprendere dagli Stati Uniti tutto ciò che mi serve e un giorno poter tornare in Italia e godermi il Bel Paese. Nei miei sogni c’è quello di aprire una scuola di arti visive e Sound Design in Puglia, da una parte per dare la possibilità ai creativi di crescere artisticamente e dall’altra per aprire anche qualche finestra di respiro sull’economia della nostra regione».
Cosa ti manca e cosa non ti manca affatto di Crispiano?
«Faccio pubblicità occulta se dico che mi mancano i pasticcini del nonno? Mi manca tanto l’aria di grande famiglia che si vive in un paese, soprattutto in un paese come Crispiano dove, in fin dei conti, un sorriso non manca mai e non ti senti mai completamente solo. New York è un posto in cui, anche se ci sono ogni giorno mille relazioni con tantissime persone nuove, alla fine ti lascia un retrogusto un po’ plastico. La genuinità di rapporti relazionali plurigenerazionali, tipica del mio paese, non ha paragoni. Mi mancano i miei amici, la mia famiglia e la cantina del mio amico Francesco, posto dove sono nate tantissime idee e che per anni è stata la casa di un collettivo di creativi. Ah, dimenticavo: mi manca tantissimo la lasagna con le polpettine della nonna Maria».
Un messaggio che vorresti mandare ai giovani crispianesi?
«Non ascoltate mai le voci di coloro che possono limitarvi o scoraggiarvi nel portare avanti un idea e nel perseguire i vostri obiettivi. Siate liberi da imposizioni politiche e ricordatevi che trovare la propria strada è un percorso che richiede tempo ed energie».
 
 



Commenti:

Liliana 26/LUG/2012

Grande Adriano!!!!!

Grazia 22/LUG/2012

Bella intervista al ns concittadino Adriano Clemente. Complimenti per la tua vita lavorativa e sono molto orgogliosa per il tuo successo.

Maria giovanna 21/LUG/2012

Sono orgogliosa di te

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