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Elio Scarciglia/Cogli l´attimo (giusto)

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

6
GIU
2014
Il fascino della vita e del tempo in uno scatto. Il poeta della fotografia mette a nudo il suo animo, attento alla conservazione e valorizzazione della memoria come patrimonio fondamentale del Sud 
 
La sua arte è contrassegnata passione, maestria e amore viscerale per luoghi e protagonisti di questo lembo di terra. Nei suoi scatti c’è il vissuto di questa terra, il fascino del tempo che scorre, immortalato nei tratti di rughe contadine; nei colori della terra  raccontata come entità viva e pulsante, a partire dalla maestosità  dei nostri ulivi che sembrano assumere le sembianze di sculture viventi che conservano nei loro profili nodosi, nelle loro rughe profonde e nelle forti radici, la nostra  storia.  Attraverso la luce sapientemente colta, ogni pietra, ogni particolare, emana bellezza, poesia  e autenticità e questo rende ogni fotografia una vera opera d’arte.
 
Elio Scarciglia, come nasce la sua passione per la fotografia? 
«Non lo so dire. So che le immagini hanno sempre esercitato un fascino particolare su di me. Esse mi sono servite per fantasticare. Le ritrovo nei miei giochi di bambino quando mi recavo nella cabina del cinema del mio paese per raccogliere i fotogrammi tagliati dall’operatore, perché rovinati, e con quelli costruivo storie. Mi ricordo, ancora oggi, che ogni libro letto si trasformava in immagini nella mia mente e ogni singola parola mi serviva per costruire ambienti e situazioni».
 
Fotografare vuol dire trasmettere un messaggio cercando di comunicare sensazioni ed emozioni. Una fotografia non è mai una mera riproduzione della realtà ma interpretazione di essa. Cosa vuol dire per lei utilizzare  le immagini come espressione comunicativa?
«Di solito rifuggo dalla foto cartolina o descrittiva, amo l’analisi e cerco sempre un elemento che mi porti a conoscere più in profondità il soggetto. Anche in un volto, in una postura o in una semplice pietra cerco una storia. Molto probabilmente le storie che ne vengono fuori appartengono semplicemente al mio bagaglio culturale, ma trovo estremamente interessante la ricerca compositiva che ne viene fuori per mettere a fuoco quella porzione di realtà che serve ad interpretarne la sua interezza. Per me è l’unico modo di fare fotografie, altrimenti si cade nel banale o semplicemente nel già visto». 
 
Le sue immagini raccontano storie, volti, sentimenti, luoghi e tempi utilizzando un punto di vista poetico, quasi volesse  accompagnare lo spettatore verso una visione più autonoma e libera da forzature e schemi. Quali obiettivi rincorre nella sua attività creativa?
«Nella composizione fotografica ho bene in mente tutte le regole del linguaggio iconico e le uso a volte in modo palese altre invece no. Guido l’occhio dell’osservatore, lo conduco sul punto per me importante ai fini della narrazione e indico lui il mio punto di vista, ma la mia composizione fa sì che egli possa avere la possibilità di una visione personale, di una narrazione autonoma o di una interpretazione che si discosti dalla mia o, semplicemente, di una lettura a diversi livelli». 
 
Fotografare significa “disegnare con la luce” (dal greco phos – photòs, luce e grapho, disegno, rappresento). Si tratta dunque di  percepire una luce, un istante e fermare l’attimo irripetibile. Le immagini che propone cercano di  trasferire le sue emozioni all'osservatore. Usa la luce per raccontare storie, visioni o più semplicemente, un sentimento?
«Difficile, per me, distinguere le tre cose. Uso la luce per modellare, esaltare o nascondere alcuni elementi della realtà, scegliendola secondo il suo colore e la sua incidenza. Esalto un  chiaroscuro e individuo una posizione per il soggetto: questo mi permette di modellare e raccontare storie molte volte frutto delle mie visioni oltre che del mio pensiero e delle mie emozioni. In questo discorso, però, deve entrare  in gioco un altro elemento: il cuore. Solo guardando attraverso di esso si possono trasferire emozioni in una foto».  
 
Spesso uno scatto fotografico riesce a descrivere una situazione meglio di tante parole. Cosa occorre per poter cogliere l’attimo giusto?
«Intanto saperlo riconoscere e saperlo prevenire, poi una buona dose di fortuna e, infine, una perfetta conoscenza del mezzo fotografico a tal punto da renderlo un prolungamento di se stessi».
 
I suoi documentari descrivono un forte interesse per il concetto di terra e natura come parte del nostro essere. Perché ricorre spesso il  connubio terra/poesia nelle sue immagini?
«La necessità di porre attenzione verso la terra nasce dalla consapevolezza che si deve tutto a essa. E’ la natura che ci insegna a distinguere i colori, gli odori e che ci regala a piene mani tutti i sapori che conosciamo. Considero la terra come una madre e, in quanto tale, ne riconosco la maestosità e l’armonia che essa ha in sé. Se, ad esempio, pensassimo al rumore dell’acqua che scorre, al canto di un uccello o, semplicemente, al rumore del vento mentre gioca con le foglie degli alberi, il tutto sarebbe così perfettamente dentro di noi da risultare irrinunciabile. Non sono io che con la telecamera faccio poesia, metto solo in evidenza, sottolineandolo, quello che già esiste».
 
Perché chiede alle parole di spiegare la profondità delle immagini che si offrono nell’immediatezza? Come mai  questo binomio immagine/ poesia? 
«Sono estremamente convinto che unire due linguaggi come quello della poesia e quello dell’immagine serva ad ampliare la comunicazione. Alfonso Gatto lo fece negli anni ’70 e fu considerato un vero innovatore. Ancora oggi alcuni pensano che abbinare le poesie alle foto significhi abbassare il livello della poesia, ma queste sono espressioni che mi fanno sorridere e mi fanno capire che ognuno è chiuso all’interno del proprio orticello. Non sempre, infatti, le parole servono a spiegare un’ immagine: a volte, è vero il contrario. L’immagine aiuta a entrare nei significati con equilibrio e creatività».
 
Quando e come ha deciso di unire all’immagine statica della fotografia, la dinamicità del video?
«Avendo come obiettivo la comunicazione visiva, ricerco tutti gli elementi che possono concorrere alla formazione del messaggio. L’immagine statica la uso come se fosse un quadro senza cornice, perché deve dare la possibilità allo sguardo di spaziare senza sentirsi rinchiuso in un limite. L’immagine in movimento mi da la possibilità di narrare anche il tempo che scorre e il mutamento delle cose. Per questo, l’immagine statica della fotografia e la dinamicità del video sono, per me, elementi inscindibili».
 
Antonio Verri sostiene che il rapporto con la terra sia  un rapporto destinato a non cambiare tanto che, se tendiamo l'orecchio nel silenzio circostante, seduti all'ombra di un albero d'argento, possiamo sentire il grande respiro di madre terra.
Da qui la necessità di abbellire e vestire la terra con i versi dei grandi poeti?
 
«La terra dove siamo nati e vissuti l’abbiamo respirata e mangiata, quindi fa parte del nostro essere. Difficile dimenticarla o non amarla, poiché il suo respiro è il nostro respiro. Per esempio, quando stavo lavorando a “I colori del Salento” dove compaiono proprio i versi di Antonio Verri che lei ha citato, mi trovavo, un po’ prima del sorgere del sole, a Vaste e più precisamente sulla collinetta della Cripta dei Santi Stefani. Mentre ero seduto su un masso sotto un albero d’ulivo e tutto intorno era silenzio nell’oscurità in attesa del primo raggio di luce, all’improvviso, suggestionato dai versi di Verri che per giorni andavo ripetendo pensando alla trasposizione in immagini, mi  sembrò di udire come un rumore di vento che proveniva da tutto intorno, ma senza che si muovesse una foglia sugli alberi. I grandi poeti hanno saputo trovare il modo di narrare la nostra terra: una terra difficile da raccontare senza cadere nel banale». 
 
 
Qual è lo stimolo che la porta a creare nuovi documentari? A quale è intimamente più legato? 
 
«Il piacere di conoscere e raccontare le biografie: quella di Edoardo De Candia è quella che più mi ha affascinato. Un artista sensibile e bravo, scambiato per pazzo semplicemente perché amante della liberta. Un animo poetico da pochi riconosciuto. In cantiere ho nuove idee: un libro, un nuovo documentario e portare nel Salento la mostra “Antologica” esposta in Grecia nell’agosto 2013».
Fotografare può essere un pretesto per entrare in contatto con l’essenziale,con il grande mistero che è la vita nelle sua reale essenza, per tuffarsi in una dimensione ove il tempo rallenta il suo fluire e ci costringe  a riflettere su noi stessi, è così?
«La fotografia ci costringe a vedere una porzione di realtà che rimane immutata. Proprio questa sua caratteristica ci permette una analisi  più mirata e attenta che la fretta della quotidianità non rende possibile. La fotografia, in modo univoco, pone davanti all’osservatore tutti gli elementi della narrazione, mantenendo il bisogno di essere osservata. Più è lenta l’osservazione e più l’immagine rivela e, di conseguenza, l’occhio si sofferma a lungo sul soggetto. Naturalmente, questo gioco di sublime costrizione può esserci solo se l’immagine crea bellezza e armonia». 
La  invito a proporci un suo scatto con  poesia per salutare i nostri lettori.
 
“perché il sole si ferma sempre
davanti alla porta chiusa
e aspetta
una fessura del tempo”
(Mariangela Ruggiu)
 


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