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Liliana D´Arpe/Affresco al femminile

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

13
GIU
2014
Discorrere con  Liliana D’Arpe è sempre un grande piacere, trattandosi di una persona delicata, sensibile, raffinata.
 
“La Contessa di Lecce” è il suo primo romanzo, edito da Lupo Editore, ma la sua vena artistica spazia dal canto alla stesura di sceneggiature e spettacoli. Come nasce in lei  la passione per l’arte?
«Credo sia nata insieme a me e si sia manifestata a scuola con le prime recite. A 7 anni mio padre mi iscrisse alle selezioni per lo Zecchino d'oro con il Mago Zurlì (non ridere troppo …). Poi non mi sono più fermata. Ho vissuto da giovane cantante i mitici anni ‘70 e poi gli ‘80 e ‘90, con i più bei gruppi musicali del mio Salento; ho inciso diverse raccolte di musicassette, LP e CD distribuite in tutto il sud Italia. A quarant'anni, con la maturità ho iniziato a pensare a qualcosa di diverso per estrinsecare la mia voglia d'arte e ho scoperto di riuscir a scrivere con molta facilità».
 
Lei ha scritto diverse commedie musicali e sceneggiature  andate in scena al teatro Politeama di Lecce, riscontrando un buon successo di critica e di  pubblico. Come nascono i suoi spettacoli e cosa si porta a casa uno spettatore dopo aver assistito a una sua commedia?
«Dal mio amore per la musica e l'esperienza di tanti anni di spettacoli. So ciò che piace alla gente. Spero comunque ogni volta di riuscire a comunicare ciò in cui  credo e cioè che non necessariamente la cultura debba essere somministrata sotto forma di polpettoni indigeribili, si può scrivere e fare teatro trasmettendo valori, tradizioni, storia e introspezione psicologica anche attraverso testi che facciano  divertire. Il mio ultimo lavoro “Quandu nascìu Lecce” narra di 2.200 anni di storia della mia città che io amo profondamente. Il più bel commento che  abbia ricevuto è stato che sarebbe stato proficuo proporre il mio lavoro agli Istituti scolastici».
 
 
Il  romanzo “La contessa di Lecce”,  è un contenitore di personaggi affascinanti, emozioni, sentimenti. Una storia che ripercorre antiche leggende in un delicato intreccio di fantasia e realtà, e sullo sfondo, l’incanto e la magia di una città calda, accogliente, misteriosa e mediterranea. A cosa si è ispirata per descrivere tutte le meravigliose  sfaccettature della sua città?
«Ai miei sensi. Sono nata e vivo in un palazzo del '500 nel cuore della Lecce più antica. Sin da piccola ho respirato i profumi della sua storia, mi sono beata del garrire delle rondini a primavera e delle voci dei venditori ambulanti, ho ascoltato le chiacchiere delle comari e le novene per la Madonna nel profondo e nell'intimità delle vecchie corti, mi sono divertita a smarrirmi con la bici nei dedali dei contorti vicoli, memorizzando ogni particolare dei ricami della pietra leccese».
 
 
Il suo romanzo  è una finestra aperta  sul meraviglioso e complesso mondo femminile. Sembra essere un molteplice affresco composto da diverse generazioni di donne che hanno in comune coraggio, determinazione, fascino e  dignità. In questo romanzo viene sottolineata la vera alleanza  tra donne, è così?
«E' un valore in cui ho sempre creduto. Le donne insieme costituiscono una forza che fa paura anche… al diavolo, credo. Il mio mondo familiare e di amicizie l'ho sempre visto e vissuto così: ho avuto come  maestra mia madre, una grande donna».
 
Dalila, la protagonista del racconto,  scova un quadro che ritrae la Contessa di Lecce, antenata della stessa ragazza, iniziando così un dialogo  tra le due che solidifica un forte legame. Qual è  il ruolo che assume la Contessa?
«A questo splendido prototipo di donna realmente esistita, che ho scoperto tra le pagine della  vita vera di Lecce,  non potevo che affidare il ruolo di deus ex machina, una sorta di magico alleato delle protagoniste del romanzo che interagisce con Dalila, indicandole un'avventurosa strada che la porterà a trovare la risoluzione dei suoi problemi … ma non posso svelare fino in fondo il  mistero che le si dipana intorno. I tuoi lettori dovranno scoprirlo da soli se gliene verrà voglia dopo aver letto questa intervista».
 
Sullo sfondo un personaggio mitico della Storia leccese: Maria d'Enghien, la Contessa di Lecce, vissuta a cavallo tra il 1300 e il 1400. Ha dovuto  effettuare approfondite ricerche circa questo eclettico personaggio; una donna guerriera che indossò l'armatura per difendere i suoi figli e la sua contea. Una personalità affascinante, con indiscusse doti di sicurezza, fierezza, forte personalità e bellezza. Un carisma salentino e un modello femminile di indiscussa attualità. Può essere definita una donna d’altri tempi ma icona di questi tempi, è così?
«Quando mi capitò per caso di leggere la biografia di Maria d'Enghien ebbi realmente una specie di folgorazione, come se tra me e questo spendido esemplare di donna ci fosse un legame indissolubile. Incarnava quanto io ho sempre ammirato e contemporaneamente desiderato essere. E' sulla sua personalità che ho disegnato quella delle altre donne del romanzo, che pure si muovono nella Lecce dei nostri tempi. Questo perché, secondo me, qualità come la dignità, il coraggio, la forza morale, l'amore per i figli non hanno tempo né spazio, ma sono peculiarità che incarnano la più nobile figura femminile».
 
Figure di intensa bellezza artistica , anche se marginale, è il personaggio di Nonna Nzina, una sorta di matriarca d’un tempo, la Saggezza che parla a chi sa ancora poco dei misteri del mondo e della vita. Cosa ha rappresentato questa figura per lei?
«Ciò che mi piacerebbe divenire da grande. Ciò che stimo nella donna del sud di un'altra epoca. Freschezza ed entusiasmo intrise di giudizio. Nel personaggio di nonna Nzina  ne ho sottolineato la sapienza e quell'arguzia popolare che viene dall'esperienza, dal lavoro, dalle ristrettezze, dalle sofferenze, ma che in lei è stemperata  e condita da una notevole vena ironica. Un simpatico e potente grillo parlante».
 
Lavorando da anni nel panorama artistico salentino, quali sono le difficoltà maggiori che incontra chi vuole cimentarsi  in attività artistiche e culturali (musicali, teatrali o letterarie)?
«Nella mia ultima commedia, in bocca al suo protagonista, ho versato a piene mani il mio eterno disappunto, che alle volte sconfina nell'amarezza, per la mentalità ancora diffusa della mia gente del sud, asservita fino alla fine dell'800, anche dopo l'unità d'Italia, alla rassegnazione per l'oppressione delle baronie, al giogo del vassallaggio. Nel nostro dna, dopo cento anni,  non si è ancora sciolto questo veleno che ci fa considerare normale chiedere sempre “per favore”, cercare le vie traverse e mai rivendicare un diritto sacrosanto. Così che il merito, l'innovazione, l'originalità, più che in altre zone del nostro Paese, viene relegato in fondo alla lista dei curricula per qualsiasi progetto. Mi duole dirlo ma la penso così. Ciò non toglie però che si riescano a realizzare le idee in cui s'investono tante delle proprie forze. Occorre essere molto tenaci e testardi, anche per raggiungere piccoli traguardi, e io ne sono un esempio, altrimenti non sarei neppure qui a parlare con te».
 
Dopo il successo de “La Contessa di Lecce”, quali sono i suoi prossimi obiettivi?
«Ho iniziato a scrivere il mio secondo romanzo e sono intenzionata a ultimarlo entro l'estate.
Spero inoltre di riuscire a rappresentare la mia ultima commedia nella degna cornice dell'anfiteatro di Lecce e, in ultimo, non tralascio la speranza di mettere a frutto due sceneggiature che ho nel cassetto per altrettante fiction, anche se questo progetto necessita di un bel po' di finanziamenti,  ma ... mai dire mai!».
 


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