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Ricercando felicità/Sulla rotta del coraggio

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

20
GIU
2014
Cosa succede quando ci si rende conto che le aspettative della società hanno preso il posto dei sogni? Succede che si va incontro a se stessi, come nel romanzo d’esordio di Teresa Laterza e Daniele Bellucci. Noi abbiamo intervistato l’autrice, siciliana ma di origini martinesi
 
 
Partiamo con una domanda che ravviva il fondo dell'anima di ogni scrittore, cosa rappresenta l’esperienza della scrittura per Lei? Quando nasce l’esigenza di affidare alla scrittura i suoi pensieri e il suo sentire più profondo? 
«Scrivere, nel mio caso, è una necessità, un bisogno dell’anima. Attraverso la scrittura riesco a sentirmi pienamente me stessa, ad assaporare quel gusto pieno della libertà che è per me l’essenza della vita. Non nasco come scrittrice di romanzi, bensì di pensieri. La penna era mia amica già dall’età di sei anni, quando ho composto i primi versi in occasione della festa della mamma. Ricordo che la maestra rimase stupita, tanto da non credere che fossi stata io, data la tenera età, l’artefice di quelle parole. Col tempo, crescendo, ho voluto sperimentarmi anche in altri generi e così ho scoperto che mi piaceva inventare, disegnare personaggi che, con grande stupore, ad un certo punto sembravano venir via dal foglio e animarsi di vita propria, come se volessero raccontarmela loro la storia…».
 
Quali sono state le letture  più significative nel suo percorso di vita?
«Indubbiamente quelle psicologiche. Sono sempre stata attratta dalla mente umana, dalle sue potenzialità, dalla capacità di sorprendere, da quell’alone di mistero che affascina e incuriosisce, dalle intuizioni o illuminazioni». 
 
La realizzazione di “Imprevisti di primavera” vede la collaborazione di due personalità diverse, due scrittori al loro esordio. Lei, Teresa Laterza, è  insegnate, autrice di poesie e racconti  e  Daniele Bellucci, responsabile della filiale ACI di Bologna. Com’è nata la vostra collaborazione e quanto si è arricchito il romanzo della collaborazione di due anime diverse?
«Io e Daniele siamo amici, nel significato più vero e profondo che questa parola può racchiudere, fin dai tempi universitari. L’idea di scrivere insieme un romanzo è nata per scherzo, inizialmente. Man mano che la storia veniva fuori abbiamo cominciato ad affezionarci a questi personaggi. Non volevamo narrare esclusivamente una storia di sentimenti, né solamente una storia d’azione. Volevamo raccontare qualcosa di diverso, con la speranza di lasciare un messaggio positivo. Speriamo di esserci riusciti».
 
“Imprevisti di primavera”  è stato presentato al 27esimo Salone Internazionale del libro di Torino. Cosa ha rappresentato per voi  questa importante partecipazione?
«La partecipazione di “Imprevisti di primavera” al Salone di Torino ha rappresentato per noi motivo di grande gioia e soddisfazione. Dobbiamo ringraziare la Kimerik, la nostra Casa Editrice che ha permesso ciò».
 
Il libro si apre con una bellissima citazione di  Jean-Jacques Rousseau:
“Inutilmente cercheremo la felicità lontano e vicino, se non la coltiviamo dentro di noi stessi”.
 Cosa rappresenta  la ricerca della felicità per Teresa? La piena realizzazione della propria essenza? Il saper godere delle piccole cose che, attimo per attimo, si presentano sul nostro cammino, pur con la consapevolezza che questo è solo appagamento temporaneo? Oppure è vivere inseguendo l'attimo felice? 
«Credo che la felicità sia qualcosa di soggettivo, qualcosa che non deriva dall’esterno ma che possiamo cercare e trovare solo dentro noi stessi… La definirei come uno stato di armonia interiore che permette di sperimentare il tutto con occhi diversi, più ricettivi».
Storie intrecciate in questo romanzo, esistenze che rinascono a nuova vita quando si rendono conto che le loro maschere sociali hanno preso il posto dei loro volti, che la luce dei loro occhi non splende più; solo allora trovano il coraggio di abbandonare le proprie false certezze ed andare incontro al possibile, perché"la vita è un sentiero imprevisto, qualcosa di incontrollabile ma certamente non casuale", è così?
«Esattamente così. Non possiamo sapere cosa la vita ci riservi, inoltre, non ne abbiamo il controllo, tuttavia, penso che qualsiasi evento, sia positivo o negativo, non si concretizzi mai per caso. Ogni accadimento porta con sé qualcosa da comunicarci. Sta a noi essere ricettivi, coglierne i significati, farne tesoro ed utilizzarli in positivo».
Citando una frase di uno dei protagonisti del romanzo, il commissario Ceriello afferma: "Ognuno può dare un senso finito alla propria vita se riesce a cogliere le occasioni che il destino offre". Qual è la sua personale visione del destino e del coraggio delle scelte non facili?
«Il sentiero della vita offre diverse occasioni. Spesso non siamo abbastanza ricettivi per coglierle o, semplicemente, non vogliamo vederle, poiché guardandole temiamo di non aver abbastanza coraggio per lasciare la vecchia via per una nuova. Personalmente credo che bisogna vivere la vita pienamente e che ciò non può avvenire collocandoci in disparte come spettatori o rinviando decisioni, ma semplicemente agendo, rischiando, osando, sperimentando».
 
Gli uomini e le donne messi in scena in questo romanzo, rappresentano ognuno di noi con le proprie  paure di cambiare, di mettersi in gioco seriamente, di guardarsi allo specchio e non riconoscersi più. C’è quasi  una visione freudiana della vita dei personaggi. Il vostro può essere definito un romanzo introspettivo, psicologico, un percorso che scava nel profondo di ognuno di noi. Come avete analizzato questi aspetti?
«Scrivendo si è creato un rapporto empatico con i protagonisti. Un rapporto che ci ha sorpreso. Si sono quasi creati da soli questi personaggi, con i loro dubbi, le paure, il coraggio di mettersi in discussione, le scelte». 
 
Sta lavorando a un nuovo progetto?
«Per ora vi è solo l’idea di un nuovo progetto comune. Lasciamo che ciò che ancora non è molto chiaro prenda forma». 
 
 Essendo una scrittrice esordiente, quali sono le difficoltà maggiori che incontra chi vuole cimentarsi  in attività letterarie?
«Credo che esse siano soggettive. Ciò che rappresenta una difficoltà per me può non esserlo per un altro. Quello che conta, invece, maggiormente, è crederci fino in fondo. Se si crede in ciò che si fa, qualunque cosa essa sia, sorprendentemente qualcosa accade… Incoraggio, quindi, tutti coloro che hanno desiderio e necessità di sperimentarsi in qualsiasi forma comunicativa. Abbiamo tutti qualcosa da raccontare… e se questo raccontare può essere utile in qualche modo agli altri…».
 


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