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Paolo Bruni/Lo spazio interpretato

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

27
GIU
2014
Quanto è importante per Lei l’architettura nella quotidianità e in che modo essa si esprime?
«Dal mio punto di vista è fondamentale, perché essa quotidianamente ci ospita, pur non manifestandosi sempre consona. Vivere in un contesto architettonicamente valido migliora il benessere pisico-fisico dell’individuo, genera piacere, voglia di stare bene e di godere di uno spazio, di un luogo o di un costruito».
 
L’architettura è sempre accessibile o è solo privilegio di pochi?
«Deve essere accessibile a tutti e deve rappresentare il privilegio della collettività, mettendosi al servizio di una comunità come espressione di civiltà e cultura, divenendone l’orgoglio. 
In Italia come imprudenti viviamo questo orgoglio, generato dalla architetture del passato, e limitatamente sperimentiamo le architetture dell’oggi: siamo disabituati nel vedere le nostre città cantierizzate per il bene futuro e comune».
 
Almeno nel suo campo l’architettura è sempre accessibile o è solo privilegio di pochi?
«L’architettura è il privilegio di molti ma rimane la scelta di pochi, perché manca la piena consapevolezza del ruolo del progettista e delle sue specifiche competenze.
Diviene più semplice percepire questo concetto quando ci si riferisce un contesto più “domestico” rispetto ad un contesto urbano, anche se per un architetto l’approccio progettuale è identico».
 
La dimensione estetica in un progetto esprime la capacità di ascoltare, guardare, guardare l’altro da sé, leggere gli scenari, le loro evoluzioni, i loro attori. È sempre possibile per Lei trovare un’intesa con i committenti?
«Il committente innanzitutto va guidato, anzi educato al rispetto dell’idea progettuale espressa dal progettista. Quando mi rivolgo ai miei committenti cerco di dialogare con loro di forma e funzioni con giusto dosaggio, loro si fidano e mi commissionano soluzioni per soddisfare esigenze, sempre cariche di desiderose aspettative. Lavoro dando ascolto alle loro vivaci  richieste cercando di dare contenuti e giustificazioni progettuali pensate per loro».
 
L’educazione all’arte e alla cultura architettonica, di quali strumenti possono avvalersi, almeno nel Suo settore?
«Di esempi significativi in architettura, che non siano solo richiami del passato ma anche ad espressioni più attuali, anch’esse futuri patrimoni culturali ad incremento di quelli più  consolidati e noti».
 
Siamo prossimi a una nuova visione del mondo, che passa attraverso l’emergenza nonché alla diversità e alla creatività. Abbiamo perso i canoni estetici di riferimento o possiamo sempre contare su di essi?
«Il passato specie quello italiano è un grande bagaglio di partenza e di riferimento. Ma come tutte le arti anche la nostra richiede nuove riflessioni, interiorizzazioni, sperimentazioni che danno un senso nell’andare avanti cercando soluzioni, applicazioni e stili che meglio rappresentano un determinato periodo e contesto».
 
La progettualità politica quanto ha a che fare con l’esperienza estetica e creativa?
«Rare e poche eccezioni, forse per la poca o assente conoscenza in questo vitale e indispensabile settore delle arti, un vero e proprio controverso se pensiamo al paese Italia».
 
 


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