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La sfida/L´arte che vuole essere viva

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

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LUG
2014
Contro la (ri)valutazione postuma: “Buy my art before I’m dead”, ovvero sei artisti in mostra a Lecce per dimostrare che l’arte può (e deve) essere contemporanea
 
 
Ciò che contraddistingue l’arte è il suo sguardo visionario e provocatorio, costantemente in anticipo sui tempi, una sorta d’istantanea lucida e disincantata delle speranze e delle inquietudini della società. Ne consegue che il ruolo dell’artista nella vita della comunità è prezioso, eppure, l’esistenza di molti di loro è stata caratterizzata dall’indifferenza, se non addirittura dall’isolamento e dall’aperta ostilità dei contemporanei, il che inevitabilmente si traduceva in gravi ristrettezze economiche. Per un crudele scherzo del caso, spesso il riconoscimento dell’influenza esercitata  sui coevi e sulle generazioni successive è avvenuta solo dopo la morte, con ovvie ripercussioni anche in termini di valutazione monetaria delle opere. Così, per superare questo macroscopico paradosso, è nata l’iniziativa Buy my art before I’m dead («compra la mia arte prima che io muoia») che, scaturita da un tormentone su Facebook, si è sviluppata attraverso una mostra collettiva in corso a Lecce presso la galleria Maccagnani fino al 20 luglio prossimo.
Il progetto ha preso le mosse dal bisogno, avvertito da artisti e cultori dell’arte, di contrastare e spazzare via l’odioso luogo comune radicato nella cultura collezionistica italiana, secondo cui le uniche opere da acquistare sarebbero quelle storicizzate, e, meglio ancora, realizzate diversi secoli fa.  Un gruppo di artisti, insieme ad alcuni appassionati di arte locale, ha quindi allestito delle mini esposizioni personali all’interno di un più ampio evento autogestito, così da rendere possibile il contatto diretto tra le opere, e il potenziale pubblico. Ne derivano quindi tanti piccoli solo show ambientati in una sorta di grande bazar d’arte, in cui osservare i lavori esposti con attenzione e curiosità, concedendosi tutto il tempo necessario; mosaico, ceramica, pittura sono solo alcune delle tecniche utilizzate dagli artisti. 
L’allestimento site-specific si caratterizza per il fatto che le pareti della galleria sono riempite da opere d’arte e fluttuanti manichini-fantasma di artisti del passato (Salvator Dalì, Andy Warhol, Keith Haring, ecc); il tutto è finalizzato a focalizzare l’attenzione dei visitatori, dimostrando come l’arte sia un “pretesto” per riflettere su molteplici temi legati al rapporto tra arte e comunità. Il motto dell’evento è: «support living artists, the dead ones doesn’t need it» (supportate gli artisti viventi, quelli deceduti non ne hanno bisogno), perché, se come sosteneva Baudelaire, «l’arte è la domenica della vita», chi crede nell’arte è disposto anche a puntare economicamente su di essa. 
Ma chi sono gli artisti che hanno dato vita all’iniziativa? Molti i nomi, estremamente variegate le esperienze e i percorsi da cui provengono. Barbara Cellini, per esempio, che ha lavorato come aiuto restauratore al recupero dell’ex Monastero delle Clarisse a Lecce, dichiara di prediligere la realizzazione di ritratti e la resa dell’incarnato, giocando con le espressioni somatiche, intriganti o passionali che siano. L’opera che presenta in quest’occasione è Marilyn, il fascino di un mito intramontabile, a proposito della quale ha precisato: «dipingo volti, per la maggior parte volti di donne, perché forse è nell'armonia del volto umano che c’è la bellezza e la bellezza è l’ideale che tutti perseguiamo nella vita. Qualcuno ha detto che la bellezza salverà il mondo e in questo io credo, perché in qualcosa di bello c’è sempre il bene, l’espressione della natura, tutto il buono del mondo. Una delle donne più belle oggi, è anche uno dei miei miti preferiti per la sua personalità, per i sui numerosi aforismi che molto spesso tengo a mente, per la sua carriera di attrice (uno dei miei film preferiti è A qualcuno piace caldo) e per la sua morte misteriosa: Marilyn Monroe. L’ho sempre ritratta volentieri insieme a tante altre donne che porto d’esempio per quello che hanno fatto e detto nella loro vita».
Annamaria Di Maggio presenta così Il mare da toccare: « nella mia personale ricerca creativa ho voluto misurarmi con materiali e supporti diversi definendo la mia, una pittura polimaterica. Nascono così gli habitat, i fondali marini, i paesaggi fittizi che rappresentano le nostre radici, le calde terre del sud». Dario Ferreri invece vede il mondo come una commedia  grottesca, senza per questo disperare nel fatto che l’etica un tempo smarrita possa essere recuperata. Partecipa alla mostra con La mia anima è lowbrow, il mio cuore pop surreal, che commenta così:  (si tratta di) «un viaggio di personale evoluzione artistica che parte dai lavori su carta e cartoncino del 2013 e arriva agli ultimi dipinti del 2014, decisamente lowbrow: tecniche miste e uno spirito che, in ambivalenza tra il dark e il fanciullesco, nell’ultima produzione, si accosta in modo personale e originale al movimento lowbrow/pop surreal che, nato alla fine degli anni Settanta nell’area di Los Angeles negli ambienti che ruotano attorno alle riviste di fumetti underground, alla musica punk e a altre sottoculture californiane, anche in Italia inizia ad affermarsi e trovare i suoi estimatori».
Claudia Greco espone Suggestioni femminili, in cui «ha concentrato la sua creatività nella realizzazione di bassorilievi in terracotta che concretizzano l’impulso di dare vita, in qualche modo tridimensionale, a quadri, foto, fiori e immagini che via via hanno catturato la sua attenzione; un punto di vista artistico originale che indaga e interpreta in modo suggestivo il macrocosmo femminile e offre spunti di riflessione e interpretativi». Harvey Norman Douglas partecipa invece con Salento per me - Salento for me: «vivo in Puglia ormai da 5 anni, e i colori e la luce, qui, sono meravigliosi e diversi dal mio paese, la Scozia. La mia interpretazione degli scenari urbani e campestri salentini mi consente di divertirmi molto con i colori; la mia passione per questo fantastico lembo di territorio italiano si traduce in sempre nuove possibilità di sperimentare l’intera gamma cromatica su tela» 
Opus tesselatum è il titolo del lavoro esposto dalla mosaicista Donatella Nicolardi: «tessere in marmo e calcari si rincorrono e si sposano con gemme di vetro colorate, con loro la luce gioca, saltella, scivola, si insinua e poi riemerge da fughe, separazione e unione di tutto ciò che è diverso e che nella sua diversità ci unisce. Il mosaico, un’arte antichissima rivisitata in chiave moderna, ed ecco un andamento, segno ed indice di una tecnica d’altri tempi, che all’improvviso scompare lasciando il passo al caos che, a guardar bene, tale non è». Revenge è il nome dell’opera di Patrizia Spada: «gli albori della mia vita artistica mi hanno vista impegnata a riprodurre fedelmente immagini della natura in tutte le sue forme. Acquisendo sempre maggiore padronanza pittorica, ho sentito la sempre più pressante necessità di andare oltre le apparenze filtrando la natura attraverso un’indagine introspettiva. Ora vivo questo percorso artistico riuscendo a identificarmi nelle mie opere, e ogni nuova produzione è una pertinenza di me che racconta raccontandomi». 
Ancora una volta, le acute provocazioni dell’arte sollevano una questione cruciale, che riguarda il ruolo che la società è disposta a destinare, più in generale, ai frutti del lavoro creativo. Riusciremo a liberarci dallo stereotipo secondo cui,  chi dedica la propria vita allo studio e alla ricerca in ambito culturale in realtà non sta “proprio” lavorando ma, più che altro, per dirla con un eufemismo, oziando gioiosamente?
 
 


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