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ILVA da rileggere/MARCHIATO A FUOCO

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

24
AGO
2012

 

Cosimo Argentina, nato e vissuto a Taranto fino alla fine degli anni ’80, ci racconta, attraverso la sua produzione letteraria, del silenzio armato della diossina e  di una città nervosa e indolente, stretta al cappio dell’acciaio. Nel 2013 il suo nuovo romanzo: protagonisti tre folli professori
 
Come annunciato, apriamo il nostro ciclo di interviste  con Cosimo Argentina, autore di numerosi romanzi, che dal suo esordio, avvenuto nel 1999 con “Il cadetto” (opera prima che attese dieci anni per essere pubblicata), ha incentrato il suo narrare, teso sul filo dell’ironia, della follia e della rassegnazione, su Taranto e la spinosa questione dell’industria siderurgica. I 27 anni vissuti nel capoluogo ionico hanno marchiato a fuoco questo scrittore che dal ’90 vive in Brianza, dove insegna, da precario, Diritto. “Credo che ognuno parta con le stimmate del luogo in cui è cresciuto, per me la scrittura è legata a quello che si sa e poi tende ad allargarsi. Conosco due realtà: quella tarantina di cui scrivo è una realtà datata, circoscritta agli anni ’70-90;  dal ‘90 conosco la Brianza. Ecco, quando scrivo mi muovo su questi due scenari. Mi considero non uno scrittore, bensì un narratore:  parto da una storia forte, quando  mi viene un’idea la faccio mia, la tengo acquattata dentro fino a quando non capisco che è giunto il momento in cui quell’idea, quella storia deve venir fuori.”
Quelle narrate da Cosimo Argentina sono, appunto,  storie,  per molti aspetti visionarie, estreme, ma sono storie che, lette in questo particolare momento storico, possono contribuire a dare di ciò che sta avvenendo a Taranto una lettura meno di superficie, una lettura forse irritante, non facilmente digeribile, in quanto mette in luce le contraddizioni, le ipocrisie, le debolezze della condizione umana. La Taranto descritta da Argentina è una città ripiegata su se stessa, che procede per moto d’inerzia, incapace di sottrarsi al destino.
In un’intervista, riferendosi a “Vicolo dell’acciaio”,  disse che il romanzo avrebbe chiuso la quadrilogia su Taranto. Era il 2010.  Considerando l’esplosione mediatica, che soprattutto a seguito del dramma-Ilva sta portando quotidianamente la città sulle prime pagine di tutte le testate nazionali, nei TG e negli editoriali di penne prestigiose, terrà fede a quel proposito o sta pensando di tornare  letterariamente  a scrivere su Taranto?
«Se dovessi tornare, com’è possibile, non sarà certo per ricalcare questo canovaccio.  Mi piacerebbe scrivere una cosa più intimista, più legata al paesaggio e all’essenza di Taranto. Quello di scrivere libri di denuncia  pare  sembra essere diventato uno sport nazionale, quindi credo che continuerò  a scrivere di Taranto ma non sulla falsa riga di “Vicolo dell’acciaio”. Penso che quel romanzo  sia esaustivo  sia dal punto di vista sociale che ambientale».
Il dramma che sta tenendo Taranto e gli operai dell’ILVA con il fiato sospeso, a suo parere potrà essere superato da un’opera  di bonifica ambientale?
«In realtà io credo che con i costi che si dovrebbero sostenere per mettersi al pari con le norme europee, l’acciaio italiano diventerebbe troppo costoso e quindi non riuscirebbe a reggere la concorrenza dell’acciaio che c’è nel mondo, quindi secondo me l’Ilva è destinata a chiudere. Magari non sarà adesso, ma avverrà tra tre, quattro anni. E’ un’esperienza di fabbrica ottocentesca, fordiana, che in Italia sta bene o male venendo meno. Un po’ come gli Olivetti di una volta che vedevano nella fabbrica la grande famiglia, anche con trentamila persone. Una sorta di sciacallaggio imprenditoriale, dove l’utile  è stato l’unico verbo, di conseguenza  se conviene fare una cosa, uno spillo, fino all’ennesima potenza lo facciamo, altrimenti no.  Il fatto che l’ILVA si debba adeguare a queste fantomatiche norme secondo me porterà via del tempo, per ora perciò l’adeguamento andrà avanti. Naturalmente io lo spero ma mi sembra molto difficile . Alcuni esperti avevano detto che la bonifica può esser fatta solo spianando tutto. Mi sembra una scelta che dà un colpo alla botte e una al cerchio».
Quale alternativa proporrebbe per Taranto?
«Io vedo che ci sono delle realtà pugliesi che riescono a vivere anche senza acciaio, ho presente cos’era il Salento trent’anni fa: era molto più indietro del tarantino e loro si sono rimboccati le maniche e piano piano sono riusciti a raggiungere degli standard economici pari e superiori ai nostri».
Ma non sono sufficienti il turismo, la tutela dell’ambiente e il settore della ristorazione per  andare a compensare i posti di lavoro che si perderebbero chiudendo l’Ilva.
«No, infatti, se noi parliamo di 12 mila persone che perdono il lavoro. Non sono un economista, ho solo scritto un romanzo su un quartiere che viveva di Ilva. In realtà nel momento in cui smantelli un sistema industriale, un polo produttivo, perdi i pezzi per strada, su questo non c’è dubbio. Ci sono molti ventenni che sono stati assunti all’Ilva e questa è stata una politica larvatamente ruffiana, per potersi giocare la carta successivamente. Non lo so, non conosco le dinamiche. Undicimila posti di lavoro non li trovi dalla sera alla mattina, devi fare un lavoro sul territorio lento e inesorabile. Poi magari i posti potrebbero diventare anche 50 mila. Ci vorrebbe un’onestà intellettuale che, al momento, non mi sembra di scorgere». 
Sia in “Vicolo dell’acciaio” che in altri suoi interventi se la prende con gli ambientalisti. Eppure per un certo periodo lei ha fatto parte di un’associazione, “Taranto Viva”, che tra le altre cose ha prodotto un bel libro, “Un nodo d’acciaio”. Da cosa nasce la sua sfiducia nei confronti degli ambientalisti?
«Ci sono due categorie di ambientalisti: quelli che lo fanno seriamente e votano la loro vita alla salvaguardia ambientale 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno e li apprezzo. E poi ci sono gli ambientalisti della  domenica che rovinano l’immagine degli ambientalisti veri. Ci sono quelli che magari leggono sul giornale uno studio che è stato fatto da un’agenzia x e lo sbandierano come dati ufficiali e questi tolgono credibilità a chi lo fa bene. Molti ambientalisti della domenica dovrebbero fare altro:  il giovedì il torneo di burraco».
Torniamo al suo pane quotidiano: la letteratura. Lei crede nella funzione civile della letteratura? Un romanzo può salvare il mondo?
«Credo nella funzione indiretta. Un romanzo non può salvare il mondo, però la buona letteratura  offre spunti di riflessione che indirettamente hanno un valore sociale. Nel momento in cui io leggo un libro e mi rendo conto che quello che è stato scritto ha un senso, sono portato a riflettere su un certo argomento, secondo me in quel momento la funzione sociale è operativa. Non credo nel romanzo civile per etichetta (scrivo questo perché voglio dirti che l’Ilva è un sozzo bubbone che va estirpato da Taranto), questa presa di posizione ideologica non fa parte dei romanzieri. Fa parte di  un certo tipo di intellettualismo di quart’ordine che  si  aggrappa a questo anche per avere un po’ di visibilità».
In questi giorni è in vacanza a Taranto. Che aria  si respira?
«Osservo una città nervosa. Sul piano culturale abbastanza inaridita, rispetto a qualche anno fa ci sono meno iniziative, c’è meno attenzione. Sicuramente c’è un  impoverimento culturale, come del resto sta accadendo anche a  Milano: quindi è un trend nazionale.  Sul piano sociale questa tensione di cui si parla sui giornali è parzialmente visibile, nel senso che da una parte Taranto è una città indolente, che se ne frega, dall’altra c’è un nervosismo proprio urbano che si avverte. Una tensione sottocutanea che avverto andando in giro per strada, parlando con persone che conosco, Di solito il tarantino non produce quello che apparentemente potrebbe realizzare, Taranto è stata sempre una città che ha respinto le vere ribellioni, quelle anche pericolose, tranne in alcuni casi storici. Però effettivamente nell’aria c’è questa agitazione underground».
Da un paio d’anni ha un romanzo storico, particolarmente visionario, nel cassetto. “Come in terra”, il titolo. Lo vedremo pubblicato?
«Forse lo faccio partecipare a un premio letterario per inediti.  Vorrei pubblicare questo libro ambientato nel 1863, anche se occorrerà cambiare il titolo,  c’è stato un autore  che ha esordito con “Così in terra”, qualche mese fa. Tra l’altro è  andato benissimo».
La sua è una posizione molto marginale, poco salottiera. E’ una scelta? O una conseguenza del suo porsi in maniera netta, decisa su determinate posizioni?
«No, è venuta così, anche  caratterialmente, non ho cercato di far comunella, né sono stato tirato dentro a comunelle. Il lavoro dello scrittore è un lavoro molto solitario, ognuno lo deve fare per sé. Quando vedo assembramenti  letterari, vedo di più l’aspetto intellettuale che non quello relativo alla scrittura. Se penso ai grandi scrittori, ognuno stava per conto suo. Sono arrivato a 50 anni, se già a 30 anni non facevo parte di comunità letterarie figuriamoci adesso».
In uscita c’è comunque un nuovo romanzo.
«Sì, è in uscita con Minimum Fax un romanzo non ambientato a Taranto ma a Ginosa, ed è ambientato nel mondo della scuola, con tre insegnanti  che si cacciano in un guaio. L’argomento principe della mia scrittura è quello della follia quotidiana o atomica. Dovrebbe uscire fra la fine del 2012 o la metà del 2013».
 
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“Armando Trizio” disse, “ ‘u barese, era di turno all’altoforno del laminatoio numero cinque e una colata di bramma l’ha investito: à muerte. Mo’ stanno organizzando un picchetto davanti all’Italsider, la moglie è su a chiangere; già stanno arrivando i parenti da Putignano.”
Le colate incandescenti di metallo fuso mietevano periodicamente vittime; due o tre volte l’anno un operaio veniva inghiottito da un altoforno, qualcun altro veniva schiacciato da una matassa di lamiere…
Sul finire degli anni Sessanta l’impianto siderurgico era stato salutato con enfasi da tutta la cittadinanza. Ma poi i fasci di tubature curvilinee cromate avevano violato l’habitat; nubi nuove, rosse di scarti di metallo erano comparse lungo la costa ionica. Accanto alle crocchie di mitili avevano preso a brillare le ciminiere; l’acciaio aveva portato con sé lavoro, speculazione, mafia e disastri ambientali…”
ESTRATTO DA “IL CADETTO” – Marsilio (1999)
 
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 “I fumi dell’Ilva entrano in cucina, in salotto, nel cesso. Aspiriamo diossina sotto forma di silenzi armati e il Generale stappa una birra dietro l’altra e credo che quella sia la strada migliore per andarsene alle cozze.”
ESTRATTO DA “VICOLO DELL’ACCIAIO” – Fandango (2010)
 
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