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Emozioni su tela/FOLGORATI DAL "LUME DI MATILDE"

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

10
OTT
2014
Nelle pazienti e accuratissime pennellate di Grazia Maria Lonoce l’inafferrabile e insondabile mistero della bellezza si rivela nella perfezione di dettagli che riconfigurano il reale estraendone, tra luci ed ombre, la verità che stiamo cercando 
 
C’è un aspetto della creatività artistica che si nutre, cresce e diviene fecondo in un’esistenza fuori dal tempo, nascosto nell’ombra. E’ lì che il talento dell’artista e il suo slancio trovano il proprio spazio: in quella linea di confine che separa la lentezza quasi immobile del tempo dalla frenesia delle scadenze che ci incalzano. Solo nei momenti in cui l’artista avverte questa lentezza temporale diventa consapevole dell’essenza che anima gli oggetti e gli spazi  per ricrearli sulla tela ed eternarli.
Sono state queste riflessioni ad affacciarsi nel corso della chiacchierata con Grazia Maria Lonoce (per la scheda biografica si rimanda al riquadro) che abbiamo voluto incontrare a pochi giorni dall’evento promosso dal Comune di Martina Franca, “Il fascino delle ‘nchiostre e degli archi di transito”, organizzato in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio. Nell’ambito di tale iniziativa, che ha visto il Centro Storico di Martina disseminato di tele, animato da una fecondità infinita e da un’inesauribile forza vitale, il nostro sguardo è stato catturato da alcune opere della pittrice, in particolare dall’olio su tela “Il lume di Matilde” (nella foto), una copia dal vero ospitata lo scorso anno a Parigi presso l’Esposizione d’arte Contemporanea Au Carrousel du Louvre. La tela s’impone all’attenzione per l’accuratezza nella riproduzione dei dettagli, la piena padronanza della tecnica pittorica e la sapiente distribuzione delle luci e delle ombre in uno still life che carica di vita gli oggetti raffigurati animandoli a tal punto da preferirli a quelli reali.
Durante il nostro incontro con Grazia Maria, avvenuto nei giorni scorsi nella sua abitazione, mentre         ci raccontava delle sue esperienze, delle fasi della sua produzione artistica, dell’incontro, il 2 ottobre 2003, presso la Bottega del Chiostro, con il Maestro Filippo Cacace che ha saputo    cogliere e far crescere il talento e lo slancio espressivo della nostra pittrice, avevamo di fronte, nella penombra del salotto dove siamo stati accolti, l’opera “Il lume di Matilde” e, un po’ più in basso, su una mensola di pietra gli oggetti originali riprodotti sulla tela. Il nostro sguardo dopo aver altalenato  dall’uno all’altro piano (quello della realtà e quello della sua rappresentazione) si è fermato inesorabilmente sull’opera. Folgorato. E in questa folgorazione nella mente si è fatta strada la citazione di Veli Can (un pittore di Istanbul del XVI secolo) riportata  dallo scrittore Orhan Pamuk nel suo “L’innocenza degli oggetti”: “La bellezza è l’occhio che scopre nel nostro mondo ciò che la mente già conosceva”. E cos’ha visto il nostro occhio in quel lume bianco che dà il titolo all’opera? Ha visto l’intenzionalità di uno sguardo che vuole andare in profondità, all’essenza, come abbiamo detto in apertura. Uno sguardo che supera la fissità fotografica, per ricostruire la durata temporale del lume, renderne la doppia polarità (tempo/spazio), la sua multiforme accezione. Il lume infatti è una fonte di illuminazione artificiale, contrapposto al sole (fonte naturale), esso scandisce il tempo e si colloca in uno spazio, in una zona liminare fra interno ed esterno, in un luogo intimo, nel chiuso di una stanza, per rischiararlo e trasformare l’estraneità in familiarità, per rendere riconoscibili i volti e gli oggetti che al buio non sarebbero visibili, quindi resterebbero a noi estranei, preclusi alla vista.
La luce nelle opere di Grazia Maria Lonoce è un motivo ricorrente, un elemento caratterizzante la sua grafia pittorica, la sua personale ricerca, non solo nelle nature morte, ma anche nelle tele che raffigurano interni o precisi scorci paesaggistici. Ci è sembrata l’indicatore di senso della sua produzione, l’elemento determinante per estrarre la verità che stiamo cercando. Il suo sguardo pronto ed accorto, sensibile e paziente, ci è sembrato mosso come da uno stereoscopio interiore che restituisce dettagli di un tutto che non abbiamo mai indagato ma che custodiamo dentro di noi senza rendercene conto.
Avevamo incontrato Grazia Maria Lonoce per un’intervista che non c’è stata. Il nostro incontro si è trasformato in un percorso guidato nella sua abitazione, vera galleria di bellezza, dove è stato possibile seguire le fasi della sua ricerca artistica, dal fatidico 2 ottobre 2003, giorno che per la prima volta entrò “in bottega” – come ci dice, per uscirne dopo poche ore con la sua prima tela firmata: “Barche” che il Maestro Cacace volle restasse nella fase della grisaglia, con cui si individuano le zone di luce ed ombra di un dipinto allo scopo di modellare i volumi per passare alle successive fasi della colorazione. In questo imprimatur ci sembra di cogliere l’elemento  caratterizzante della ricerca di un’artista che non indulge  in richiami nostalgici né si concede ad una narrazione stereotipata ed oleografica, anche quando sceglie di raffigurare gli interni delle semplici abitazioni rurali che caratterizzano il nostro territorio, come nella tela dal titolo “Antico splendore”, scelto nel 2006 come copertina della rivista “Riflessioni” del Gruppo Umanesimo della Pietra.
 


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