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Nicola Lagioia/LETTERATURA COME SABOTAGGIO

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

31
OTT
2014
Il suo nuovo romanzo “La ferocia” sorprende il lettore/falena con un intreccio ipnotico, illuminando e rendendo visibile un mondo con un realismo che non esaurisce la realtà e spinge ad andare oltre. L’autore: «Scrivere per me è un’esperienza conoscitiva» 
 
 
“La letteratura è un atto di sabotaggio”, lo ha ripetuto spesso Nicola Lagioia nel corso delle presentazioni, nelle interviste o nei suoi interventi giornalistici, anche radiofonici. 
Durante la prima rivoluzione industriale i tessitori licenziati gettavano nei telai a vapore i loro zoccoli di legno (sabots, in francese) per spezzare gli ingranaggi: un atto istintivo e disperato. Anche questo gesto è feroce, ma qui la ferocia trova la sua ragion d’essere nel tentativo di difendersi da una realtà che non piace, alla quale ci si vuole sottrarre, anche a rischio di andare incontro all’esclusione, alla follia o alla morte. 
Il nuovo e quarto romanzo di Nicola Lagioia, “LA FEROCIA” (Einaudi) è un libro che presenta tante chiavi d’accesso, che sfida il lettore e lo attrae, come se il lettore fosse una falena (insetto che troviamo  nell’incipit e che può essere   interpretato come una delle chiavi di lettura del testo): insetti, appunto, attratti e storditi dalla luce. Nel nostro caso  la luce è irradiata da un intreccio stratificato su diversi piani narrativi e temporali e sorprende il lettore/falena, assorbendolo in quella ipnosi notturna (il romanzo si apre con uno splendido squarcio notturno) che rende visibile un mondo che di giorno non lo è per le sue dimensioni minuscole o perché non se ne percepisce il movimento. 
Possiamo anche aggiungere che la lettura di questo romanzo ci conduce lungo quella linea di confine, bene/male, vita/morte, ragione/follia, facendoci indugiare su di essa per scorgere attraverso le sue pagine un mondo brulicante di animali e insetti, fantastico e verminoso (anche metaforicamente) al tempo stesso. E così questa lettura illuminante spinge il piacere fino all’estremo, al cupio dissolvi. Proprio come accade alle falene che, attratte dalla luce, ebbre di luce, ne muoiono intrappolate in essa. E qui torniamo al concetto di partenza espresso da Lagioia: “la letteratura come sabotaggio”, come vettore di un movimento a rischio, come atto sovversivo contro i confini di una realtà che, proprio perché non può mai essere completamente rappresentata e descritta, chiede di essere forzata, superata con un atto di ribellione. E nel romanzo di atti di ribellione ce ne sono tanti, uno per tutti:  l’incendio che Michele appicca alla villa della sua famiglia.
Ne “La ferocia” il lettore/falena batte anche contro i confini della morte e contesta l’irreparabilità della separazione, nello specifico quella fra Clara e Michele, che continuano a vivere all’unisono anche dopo la morte di Clara, perché, come afferma Lagioia “le persone che ci lasciano e che ci sono state vicine, che ci hanno amato, è come se avessero depositato su di noi la loro forma”. Con questo romanzo sembra che l’autore abbia voluto mettere tra parentesi la morte, facendo vivere Clara nelle intermittenze, nei ricordi che Michele, splendido personaggio, evoca di continuo convocando la sorellastra dall’aldilà all’aldiqua. 
 
 
 


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