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Femminile plurale/ Il cinema visto dalle donne

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

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DIC
2014
Si chiama “Alice e le altre” la rassegna che si terrà dal 12 al 14 dicembre al Cineporto di Lecce. Ospiterà 15 pellicole e documentari con una serie di dibattiti incentrati sul mondo femminile
 
 
Il cinema è una sorta di cannibalismo non violento.  Nutrendoci degli sguardi, delle ossessioni e dei desideri altrui, sviluppiamo un nostro, peculiare sguardo. Per questo, coltivare la curiosità anche e soprattutto verso pellicole distanti da noi, culturalmente, emotivamente, o anche solo geograficamente, può essere stimolante quanto viaggiare. E, scegliendo film al femminile, si tratta di un vero e proprio viaggio nel viaggio, doppiamente stimolante perché ci offre l’occasione di confrontarci, tra l’altro, con stereotipi e retaggi ancora resistenti, sottotraccia, all’interno della società. Così, Lecce ospiterà dal 12 al 14 dicembre “Alice e le altre”, una rassegna cinematografica che si propone come omaggio alle donne che fanno cinema, a quelle che se ne nutrono e, in definitiva, a tutte quelle che ne sono appassionate. Il nome scelto per l’iniziativa vuole essere un tributo ad Alice Guy, accreditata come la prima regista donna della storia, nonché tra i primi autori a occuparsi di finzione cinematografica.
«Questa piccola rassegna», spiega Simona Cleopazzo (direttrice artistica della rassegna, nonché scrittrice e operatrice culturale), «è senza riflettori, né tappeti rossi. Ci farà però conoscere da vicino i racconti, i sogni, le visioni di otto registe italiane. Siamo partite da un dato: solo 7 registe su 100 registi. Eppure il cinema delle donne non è più legato a una questione di genere, ma è un cinema di qualità e merita di essere prodotto. Un racconto personale che diventa universale (come i temi della maternità, dell’aborto, del lavoro...). Un cinema che ci fa recuperare il senso di appartenenza a una collettività femminile, perché fare film è fare qualcosa per tutte le donne».
L’iniziativa, che si snoda lungo tre temi “Femminismo e dintorni”, “Donne, ritratti” e “Lotte”, alternerà la proiezione di 15 film e documentari con una serie di dibattiti all’interno dei quali interverranno, offrendo la loro testimonianza, donne che operano in ambito culturale e sociale. 
Il menù proposto da “Alice e le altre” è davvero ricco e variegato: si parte venerdì 12 con il documentario Vogliamo anche le rose, di Alina Marazzi. Le tre protagoniste, Anita, Teresa e Valentina non si sono mai viste, ma sono testimoni preziosi del cambiamento attraversato dall’Italia svezzata dal boom economico. «Ho voluto ripercorrere la storia delle donne tra la metà degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta per metterla in relazione, a partire dal caso italiano, con il nostro presente globale, conflittuale e contraddittorio. Con l’intenzione di offrire uno spunto di riflessione su temi ancora oggi parzialmente irrisolti o oppure addirittura platealmente rimessi in discussione». Così la regista ha spiegato la genesi del documentario, che ci ricorda come eravamo in tempi neanche troppo lontani, sebbene oggi possano apparire tanto irreali da risultare quasi fantascientifici. 
La rassegna proseguirà quindi con Le storie che so di lei, nato da un’idea della Casa Delle Donne di Lecce con l’intento di ricostruire il ruolo giocato dal movimento femminista in una piccola città di provincia del Sud. Il documentario riannoda i fili della storia del femminismo leccese con il racconto dell’attuale condizione della donna, e nel farlo si avvale delle voci di figlie e nipoti delle “cattive ragazze” degli anni ’70. 
Eyes wide open di Elisa Mereghetti e Marco Mensa aprirà invece una finestra sull’Africa, attraverso la storia di Catherine Phiri. La donna, un’infermiera quarantenne madre di due figli, scoprì  di essere sieropositiva dopo la morte per AIDS del marito. Nonostante vivesse in un contesto conservatore, “inquinato” da pregiudizi, Catherine non si fece schiacciare dalla vergogna, e anzi condivise con la comunità la sua esperienza, per spezzare il circolo vizioso di tabù e disinformazione che circonda l’AIDS. Così, fondò un’associazione (SASO) e si impegnò in prima linea nell’assistenza di quanti avevano perso i genitori a causa del virus, e dei malati in fase terminale. La sua figura ha offerto alle donne africane una testimonianza genuina e diretta, dimostrando che niente (o quasi) è impossibile, se si ha la voglia di reagire alle difficoltà. 
“Alice e le altre” vuole essere quindi, il “pretesto” per accendere un confronto aperto sulle tante questioni, le tante declinazioni e accenti dell’essere donna. Qualcosa che non riguarda solo i soggetti di sesso femminile, ma anche (e soprattutto) il contributo di consapevolezza e complementarietà che, auspicabilmente, si può raccogliere dall’universo maschile. Un modo in più per scoprire che non apparteniamo a squadre avversarie, ma che giochiamo, fianco a fianco, la stessa partita.
 


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