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UNIVERSITA´ DEL SALENTO/CREATIVAMENTE ITALIANI

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

19
OTT
2012

 

Il professor Francesco Sabatini, linguista e filologo,  nell’Ateneo leccese dimostra l’energia creativa della lingua italiana nata in un contesto storico di grande frustrazione politica durato 1400 anni. Solide   competenze linguistiche,  uso consapevole della lingua italiana,  conoscenza dei fortissimi legami tra la storia e la lingua sono  vettori di responsabilità, identità e creatività 
 
 
Il momento è grave ma, come non solo la storia in generale ma anche in particolare la storia della lingua italiana ci insegna, è proprio nei periodi di crisi che, contemporaneamente alle forze regressive o disgreganti,  nelle profondità si muovono dei rivoli di energia che, come un fiume carsico spuntano di qua e di là; esistono virtù rigeneratrici e creative che, passando attraverso la lingua,  trovano espressione nei linguaggi artistici. E allora, è proprio questo il momento buono e giusto per rilanciare la “questione della lingua” in un’Italia alla deriva,  immobile, perché paralizzata da molteplici paure, e smuovere il pensiero e, quindi, orientare l’agire, sollecitando la riflessione sull’articolato processo del riconoscimento dell’identità nazionale in un contesto mondiale. Ne sono consapevoli le scuole, innanzi tutto, e fra queste l’Istituto Professionale “De Pace” di Lecce che da quattro anni coordina il progetto “Nella rete dei PON”, che coinvolge ben 26 istituti della provincia salentina impegnati in quella che è la specificità del ruolo della scuola: volano culturale orientato alla crescita del territorio, non in termini quantitativi ma qualitativi di emancipazione.  Ed è stato in questo contesto che si è manifestata la volontà di invitare presso l’Istituto “De Pace”, appunto, il professor Francesco Sabatini, linguista, filologo, studioso a 360 gradi di fama internazionale, autore di un corposo numero di pubblicazioni che, pur avendo come focus principale la conoscenza e la tutela del patrimonio linguistico italiano, spaziano, in una dimensione pluridisciplinare con una visione critica e aperta, sui temi dell’innovazione e della didattica.  Una presenza, quella del professor Sabatini, che a Lecce non poteva passare inosservata, anche perché è stato dal capoluogo salentino che nel 1965 ha preso avvio la  sua carriera accademica universitaria, dapprima come libero docente di Storia della Lingua Italiana e poi Ordinario.
 “Una ragione in più  - come ci ha spiegato Prof. Rosario Coluccia, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Lingue e Beni Culturali dell’Università del Salento, Ordinario di Linguistica italiana, Accademico della Crusca – per offrire anche agli studenti e ai docenti dell’Ateneo leccese l’opportunità di un confronto con uno studioso di grosso calibro e di straordinaria umanità, quale il Professor Sabatini”.
“Perdonatemi, vi ho fatto aspettare, ma vengo da una scuola, la scuola ha la priorità sull’università: è la scuola il luogo dal quale proveniamo tutti noi”. E’ stato con queste parole che il professore Francesco Sabatini ha dato l’avvio al suo intervento, rivolto ai docenti e agli studenti dell’università leccese, nell’aula 4 dell’Edificio Sperimentale “Tabacchi”, con una buona mezzora di ritardo rispetto al programma. Un attacco forte e deciso, con quel “scuola” ripetuto per ben tre volte e non a caso, con l’intento di caricare di energia gli animi decisamente fiaccati e rassegnati di quella dolente umanità che nella scuola, come nell’università, cerca di resistere, di sopravvivere, individuando le ragioni, il senso del proprio operato in un contesto che sta franando paurosamente. Poi è stata la volta di un’altra parola: “responsabilità”. Un appello altrettanto forte e deciso che ci chiama tutti in prima persona a compiere delle scelte, a prendere delle decisioni individuali, certamente, ma che inevitabilmente hanno ricadute nel contesto civile, collettivo. E qui ad essere chiamati in causa sono i docenti che, in una scuola  ridotta all’osso, strattonata, disorientata e spaventata, difendendo a spada tratta il primato della conoscenza e il diritto ad un’istruzione pubblica di qualità, sono consapevoli della responsabilità civile che il loro ruolo riveste. “Occorrono aspirazioni, miraggi, sogni e desideri – sostiene il prof. Sabatini, citando il poeta Mario Luzi – per alimentare la creatività necessaria nei periodi di crisi”.  A questo punto l’aggancio con la questione della lingua viene quasi da sé: sono infatti le solide competenze linguistiche, gli usi consapevoli della lingua italiana, la conoscenza dei fortissimi legami tra la storia e la lingua,  vettori della responsabilità prim’ancora che dell’identità e, appunto, della creatività. 
Per il professor Sabatini non solo le parole hanno un peso, un ruolo e un significato, ma anche i numeri, gli indicatori temporali. “Lo stato italiano si è costruito in 11 anni , dal 1859 al 1961, dopo 1400 anni di frustrazione politica. 1400 anni di frustrazione, di immobilismo o di inutili tentativi hanno avuto un peso determinante in quel che è accaduto in soli 11 anni. In 11 anni dal punto di vista formale e sostanziale, (bene o male non sta a me dirlo)  le strade, le  ferrovie, la nascita dell’ istruzione obbligatoria,   hanno cambiato  la storia italiana. Purtroppo nello studio scolastico  dell’unificazione si parla sommariamente: pertanto sfugge l’analisi delle profonde trasformazioni avvenute in  11 anni in un contesto caratterizzato da spaventose disparità sociali e geografiche, di condizioni di vita, di abitudini e costumi, di frammentazione culturale”.
“I numeri non sono un dettaglio inutile – ha proseguito - i numeri contano. E di questo il linguista deve tener conto. Nell’arco di 1400 anni di frustrazioni sono state due le insorgenze forti che hanno segnato la storia: la formazione linguistica letteraria e i linguaggi artistici. E’ il linguaggio che dà forma ad una cultura e la rende riconoscibile dagli altri. E questo in Italia è avvenuto nel ‘200 mentre tutto il resto franava.” 
L’identità italiana si condensa in un tratto: la creatività. Ed è stata  proprio la lingua a permettere che la creatività si potesse esprimere attraverso  linguaggi artistici riconosciuti in altri contesti geografici. “Quella italiana – spiega il professor Sabatini -  nasce come  una lingua debole perché la usano in pochi, solo gli scrittori e  per finalità esclusivamente letterarie, non scientifiche né economiche, è debole perché è lontana dal parlato, e, quindi, carente sul piano della comunicazione sociale, ma è anche una lingua forte perché si impone in Europa dove ha un’ampiezza e una riconoscibilità straordinaria.”
Ed oggi invece? In Corea si studia l’Italiano perché lì molti  studiano il melodramma e aspirano a diventare cantanti, ancora una volta ad essere riconoscibile fuori dal nostro territorio è un linguaggio artistico, proprio come avveniva nel Trecento e nel Quattrocento. Per il resto a dominare linguisticamente lo scenario europeo è l’inglese anche se, ci racconta il Preside Coluccia, “recentemente ero ad un Convegno a Nancy e  a noi relatori sono stati consentiti  solo interventi nelle  lingue  romanze e non in inglese. Così come in Spagna da un collega mi è stato fatto notare che avevo usato troppi anglicismi. E a me che meravigliato chiedevo lumi è stato risposto che per più di una volta avevo usato la parola leader!” Ride il professor Coluccia, che ai “capi” e ancor più al “furher” è allergico e precisa  “non mi sognerei mai di eliminare la parola computer, anche se, devo dirlo, in Francia lo chiamano ordinateur:  si tratta  semplicemente di evitare inutili anglicismi quando abbiamo il corrispettivo termine italiano.” Non si tratta di essere reazionari, antieuropei, o richiamare illusori e per certi versi  sconcertanti scenari di purezza. La lingua, nessuna lingua, è pura. Essa è sempre il risultato di una mescolanza, di un assorbimento.
Intanto però, per un anno ancora, nella scuola ci sono i PON che diffondono le best practics (buone pratiche)  e il lifelong learning (apprendimento lungo tutta la vita) e si diffondono fra le metodologie il cooperative learning (apprendimento cooperativo), il problem solving (soluzione di problemi) e il role playing (gioco di ruolo), giusto per fare qualche esempio.   Insomma, per il prof. Coluccia e l’Accademia della Crusca ci sarà un bel da fare e  noi italiani dovremo mettere in campo tanta tanta creatività.


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