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Storia e storie/Come gli uomini, meglio degli uomini

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

6
MAR
2015
Fatali, viziate, talentuose ma anche umili, intraprendenti e disposte a grandi sacrifici. Le donne del Tarantino durante la Grande Guerra
 
Domenica, 8 marzo, come è noto, ricorre “La Festa della Donna”, un momento di riflessione a tutto campo sulle conquiste fatte e su quelle ancora oggi negate.
Quest’anno è altrettanto noto che ricorre il primo centenario della “Grande Guerra”; pertanto, abbiamo pensato di offrire ai lettori una pagina storica sulle donne del Tarantino nel corso del I conflitto mondiale.
Ci è stato di aiuto e guida lo storico tarantino prof. Antonio Fornaro che lunedì 9 marzo al “Pacinotti” nel corso del Premio “La Mimosa d’Argento”, a cura del Comitato per la Qualità della Vita, tratterà l’argomento del quale ci ha tracciato ampia sintesi che ben volentieri presentiamo all’attenzione delle nostre lettrici e dei nostri elettori.
La dichiarazione di guerra trovò Taranto pronta a combattere il secolare nemico. Nel corso del confitto ci fu l’oscuramento, benché per tutta la durata dello stesso non apparvero aerei nemici. Dal 1915 al 1918 il Ponte Girevole restò aperto e si transitava soltanto su barche di pescatori adattate al traghetto e su grandi zattere. Non si svolsero nemmeno le processioni della Settimana Santa. Ci fu il razionamento dei viveri di prima necessità, mancava quasi tutto il resto, e ci fu il coprifuoco per cui bisognava rincasare in tempo per non essere fermati dalle ronde con gravi conseguenze.
Gli operai dell’Arsenale, dei Cantieri e delle Ferraie erano militarizzati e dovevano portare al braccio una fascia con una stelletta per avere accesso al posto di lavoro. In questo contesto non certamente felice la donna del Tarantino dovette affrontare un lavoro immane dovendosi sostituire al marito che era impegnato sul fronte bellico.
Soltanto le donne del Centro-Nord d’Italia e anche quelle di Martina Franca sostituirono “in toto” i rispettivi mariti assumendo funzioni che non pensavano mai di poter ricoprire; per esempio, le donne martinesi dovettero interessarsi anche dal punto di vista amministrativo della conduzione di fabbriche di cappotti e di abbigliamento e anche delle non poche, già fin da allora, grandi aziende agricole e zootecniche.
Tutto ciò non lo fece la donna tarantina perché non aveva le stesse opportunità delle categorie sopra analizzate, e anche perché le mancava la necessaria cultura; infatti anche nel 1915 restava alto il tasso di analfabetismo tra le donne tarantine tanto che dovevano far ricorso al lavoro degli scrivani per inviare lettere ai mariti che combattevano al fronte. Inviavano anche pacchi viveri e sigarette ma non sempre arrivavano a destinazione o venivano nascosti dai “soliti ignoti”.
Così, la donna tarantina, che doveva badare a una famiglia numerosa, talvolta anche con 15 figli, era costretta a fare la lavandaia nelle case della ricca borghesia; svuotava, dietro misero compenso, i vasi da notte dei ricchi in riva al Mar Piccolo. 
Se avevano in famiglia un’attività commerciale, si sostituivano al marito in guerra, diversamente si arrangiavano a fare servizi presso altre famiglie, si industriavano a vendere ceci e fave arrostite agli angoli delle strade. Se avevano dimestichezza con i pettini e i capelli svolgevano il mestiere “d’a capère”, la parrucchiera di ieri, pettinando giovani e anziane clienti nei vicoli.
Era lei che in casa preparava il pane e lo mandava al forno, faceva la spesa, curava la preparazione delle provviste stagionali.
Se aveva cognizioni di sartoria adattava gli abiti usati sotto compenso oppure faceva la tessitrice, la filatrice, talvolta si improvvisava anche carbonaia vendendo su un carrettino il carbone che serviva per la cucina e la carbonella che serviva per il braciere.
Le nubili, invece, si improvvisavano “maestre” raccogliendo in uno stanzone bambini che stavano seduti sullo sgabellino dalla mattina alla sera attendendo il ritorno delle madri impegnate in altri servizi. C’era chi vendeva i ferri per lavorare la lana o faceva lavori all’uncinetto.
C’era chi si procacciava un po’ di denaro facendo le iniezioni a domicilio e c’erano tante altre che stendevano la mano per chiedere l’elemosina che, molto spesso, veniva negata. C’era anche chi si inventava il mestiere di sacrestano pur di ottenere un pasto caldo per la famiglia dal parroco. 
C’era anche chi prestava il suo seno, ricco di latte, facendo la nutrice; c’era chi si trasformava in prefica strappandosi i capelli e facendo piangere davanti al cadavere dell’estinto previa ricompensa.
La donna tarantina preparava le nasse e rattoppava le reti dei pescatori e vendeva anche il pane duro agli stessi pescatori che lo acquistavano come esca per la pesca dei cefali.
C’era, infine, chi purtroppo, mercanteggiava il proprio corpo.
In questo contesto la donna tarantina trovava anche il tempo per rivolgersi così alla Madonna: 
“O Madonne, de grazzie sì chiene (O Madonna di grazie sei piena)
fa’ cu nno’ sone maje ‘a serene. (Fa’ che non suoni mai la sirena)
Famme durmè ‘nzigne a dumane, (Fammi dormire sino a domani)
no’ fa passà l’arioplane. (Non far passare gli aeroplani)
Quanne ‘na bomme cade abbasce, (Quando una bomba cade giù)
‘a Madonne cu’ m’ abbrazze. (La Madonna che mi possa abbracciare)
Gesù, Giuseppe e Maria, (Gesù, Giuseppe e Maria)
fa’ ca le nemice sbagliene a mire”. (Fa’ che i nemici sbaglino la mira).
In questo contesto contesto drammatico spiccano figure di alto profilo come: Italia Almirante Manzini, grande attrice cinematografica, nata a Taranto vicino alla Chiesa di San Michele, che fece parlare la critica cinematografica durante la Grande Guerra. Scomparve a soli 51 anni per la puntura di un insetto velenoso. Non ebbe mai alcun riconoscimento dai tarantini.
Anna Fougez, fu la grande attrice, cantante e soubrette a livello nazionale e internazionale, nata a Taranto, in vico Innocentini. Il suo nome era Maria Annita Pappacena Laganà. Fu la più grande attrice italiana e internazionale. Morì a Santa Marinella nel 1966, e spesso veniva a Taranto. Lasciò come testamento il desiderio di essere sepolta nel cimitero tarantino, dove oggi riposano le sue spoglie mortali. Nel libro dal lei scritto: “Il mondo parla e io passo” non ci sono soltanto le sue memorie ma anche uno spaccato della storia d’Italia del suo tempo.
Grande fu Delia Jannelli, crocerossina che lavorò all’interno dell’Ospedale della Marina Militare.  Scrisse un libro di ricordi delle sue missioni di guerra dal titolo: “Per la Patria, 24 maggio 1915-24 maggio 1919”. Il ricavato della vendita andò a beneficio dei bimbi poveri e delle madri vedove di guerra di Taranto.
Filomena Martellotta fu una grande operatrice scolastica che fondò a Taranto la prima Scuola Industriale Femminile.
Anche Maria Luigia Quintieri fu operatrice scolastica e ricoprì la carica di prima ispettrice scolastica delle scuole primarie di Taranto.
Questa la bella realtà fino a oggi sconosciuta.
Ebbene una riflessione conclusiva ci sia consentita e riguarda le donne di oggi, perché possano apprezzare da un lato i progressi fatti nel corso dei secoli, ma al tempo stesso, possa essere motivo di riflessione per scoprire anche oggi le mille e una risorse che ogni donna conserva in sé e che è giusto che metta fuori al momento opportuno, soprattutto in questo periodo in cui la crisi occupazionale non risparmia nessuno.
Auguri, pertanto, a tutte le donne della nostra bella Terra Ionica.
 
 
 


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