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Invaso Pappadai/Vogliamo il lieto fine

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

20
MAR
2015
Un errore della politica che può trasformarsi in opportunità: il caso della più grande opera pubblica del Mezzogiorno del dopoguerra, completamente abbandonata a sé stessa e mai utilizzata per lo scopo della sua progettazione
 
 
Ci sono luoghi capaci di donare un profondo senso di benessere. Basta una luminosa giornata di sole, musica nelle orecchie e voglia di libertà per godere di un posto che la natura ha deciso di premiare per  porre rimedio all’imperdonabile errore umano.
Quel luogo è l’invaso Pappadai, la più grande opera pubblica del mezzogiorno del dopoguerra, completamente abbandonata a sé stessa e mai utilizzata per lo scopo della sua progettazione.
La grande diga Pappadai sorge sull’incrocio della strada provinciale Grottaglie-San Marzano- Fragagnano-Carosino, nel territorio di Monteparano. Il nome deriva dalla famiglia Pappadà, che fu tra le famiglie feudatarie della zona.
Il bacino idrico è stato progettato per contenere 20 milioni di metri cubi d’acqua che sarebbero dovuti essere prelevati in Basilicata. Sono stati spesi circa 250 milioni di euro di denaro pubblico. Soldi di contribuenti sprecati per un’opera mai utilizzata.
Doveva servire ad irrigare 7.200 ettari di terra del Salento e del tarantino, che però di acqua non ne hanno visto. 
I lavori, di quello che doveva diventare un sistema per l’irrigazione di un vasto territorio del Salento e del Tarantino, iniziarono nel 1984. Quello che però mancò all’invaso Pappadai fu un elemento indispensabile: non si trovò mai l’acqua con cui riempirlo. Quando i lavori vennero affidati al consorzio di bonifica dell’Arneo di Nardò, non si era ancora deciso da dove sarebbe arrivata l’acqua.
Attraverso un impianto di tubature si sarebbero dovute irrigare circa 7.200 ettari di campagne nelle zone di San Pancrazio, Salice, Guagnano, San Donaci, Nardò e Veglie. 
L’ipotesi che si era fatta strada era quella di farla arrivare da un invaso sul monte Cotugno nella vicina Basilicata ma gli accordi che regolavano le concessioni d’acqua tra le due Regioni, sottoscritti nel 1999 e validi fino al 2015, non contemplavano questa possibilità. 
In mancanza di alternativa, l’invaso Pappadai non trovò mai una fonte d’acqua che potesse farlo funzionare correttamente. 
Oltre all’irreparabile spreco di denaro pubblico che la costruzione dell’invaso ha comportato, bisogna considerare quello ambientale: la diga è facilmente esposta all’inciviltà umana, non essendo abbastanza vigilato. Capita spesso di imbattersi in rifiuti di varia entità.
Inoltre, occorre tenere conto del consumo di territorio interessato dalla diga, ma soprattutto da 73 chilometri di condotte, un terzo delle quali si è scoperto che è stato realizzato con amianto e cemento; questo problema interessa le zone di Cellino, Erchie, San Pietro, Torre, Villa Castelli, Squinzano, Torricella e Maruggio. Da qui il timore che, man mano che queste condotte inutilizzate si deterioreranno, l’amianto possa disperdersi e inquinare il territorio. Infine, è stato denunciato che nell’invaso di Pappadai negli ultimi anni sono stati rinvenuti anche rifiuti industriali e tossici, probabilmente per opera di qualche ecomafia.
Di contro, la natura si è ripresa ciò che è stato suo ed ha donato al luogo una fauna ed una flora del tutto caratteristiche.
Attraversando la via che costeggia l’invaso, ad occhi inesperti, potrebbe apparire come un lago naturale. 
Una masseria antica con annessa chiesetta, completano la bellezza del posto.
Negli ultimi anni, l’interesse per il posto e la voglia di riscatto hanno spinto numerose associazioni a cercare i finanziamenti necessari per fare dell’invaso Pappadai una vera e propria oasi naturale degnamente attrezzata e protetta, dove al suo interno, possano armoniosamente convivere un parco attrezzato di divertimento, giochi e ristoro per la degustazione di prodotti enogastronomici locali.
Per Legambiente vi è comunque l'urgenza di garantire un maggiore controllo nel sito per impedire la caccia selvaggia attualmente praticata e l'abbandono di rifiuti.
Potrebbe essere una delle poche storie a lieto fine, quella dell’invaso Pappadai se il progetto di renderla un parco attrezzato trovasse il modo di realizzarsi. Una buona lezione della natura all’uomo, con l’augurio che la classe politica non commetta più errori di tale portata.
 
 
 
 
 


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