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I riti a Martina /Quarĕseme e cavaddistre

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

27
MAR
2015
Anche a Martina Franca, come scrive la ricercatrice Teresa Gentile, la Settimana Santa iniziava con la Domenica delle Palme quando venivano benedetti i ramoscelli di ulivo, simbolo di pace tra gli uomini
 
I contadini ritenevano che più vicini fossero stati all’altare, più efficace sarebbe stata la benedizione e per questo fin dall’alba facevano a gara per occupare i primi posti. Le palme intrecciate avevano la forma di lancia, freccia, croci, cuori e venivano abbellite con fiori di carta velina multicolore. I rami benedetti venivano portati nelle case e  nelle campagne e posti al capezzale del letto per propiziare la salute e sui trulli e sui portali delle masserie dove i contadini cantavano. Ma non dimenticavano di lasciare la palma sulla tomba dei propri cari. 
Il Giovedì Santo venivano legate le corde delle campane in segno di lutto e venivano sciolte al mattino del Sabato Santo. Molto belli erano i Sepolcri del Giovedì Santo. Dal 1716 ogni Venerdì Santo di sera si snoda la processione dei Misteri che vede succedersi le statue che rappresentano la Passione e Morte di Gesù e dell’Addolorata. Ai balconi le donne più anziane mettono le migliori coperte e lampade accese. Ogni Confraternita ha un costume penitenziale diverso. Sono lontani i tempi in cui accanto alla Chiesa di San Francesco c’erano monelli pronti a strappare ciuffetti di erbe,  a raccogliere pietre che lanciavano sulla statua che rappresentava il traditore Giuda. Tale uso è stato, per motivi di sicurezza, cancellato.
Ancora oggi il Venerdì Santo i martinesi visitano il Volto Santo nella bellissima Chiesa delle Monacelle. 
Il Sabato Santo, durante la Messa, le campane venivano liberate e suonavano a festa e, prima di uscire dalla Chiesa, tutti si chinavano per dare un bacio ai piedi del Crocifisso. Poi tutti a casa dove c’erano i “cavaddistre”, tipici dolci fatti di pasta all’uovo e a forma di cavallini ingiubellati e cosparsi di palline di zucchero e di anesine. Si mangiavano anche le “pucciatĕdde”, cioè le ciambellette di pasta all’uovo abbondantemente inzuccherate. Le donne battevano con bastoni sulle tavole di casa per scacciare il demonio e spalancavano le finestre in segno di gioia. Si davano in dono monete ai bambini unitamente a uova lesse e grossi taralli. Un esperto cacciatore sparava contro l’ultima pupattola della Quaremma, tra le grida dei ragazzi festanti. La gente partecipava con gioia a tale evento. 
La sera alcuni giovani giravano per le masserie facendo gli auguri e chiedendo uova, dolciumi e un buon bicchiere di vino.
Il giorno di Pasqua le fidanzate dovevano preparare con le proprie mani il “cavaddistre” per il promesso sposo. Dopo un lauto pranzo il dolce veniva assaggiato ma solo dopo che tutti i bambini e i giovani avessero baciato la mano ai genitori e ai nonni. 
Il Lunedì in Albis si usava “seppellire il morticino”, cioè fare una scampagnata per mangiare gli avanzi del giorno di Pasqua. Molti andavano fino al monumento di Cristo Redentore con alti carri addobbati con nastri rossi, bandiere e quadri sacri. Si suonava e si cantava con le fisarmoniche e si andava fra i campi per fare il pic-nic e raccogliere i primi fiori di primavera. 
La scampagnata terminava con la Messa celebrata ai piedi della Statua del Cristo Redentore. 
Infine altra tradizione martinese cancellata era quella che durante la Processione dei Misteri le stature si fermavano in ogni chiesa e un gruppo di fedeli cantava in  latino-martinese lo “Stabat Mater Lacrimosa” con urla e pianti strazianti. Il rito si è protratto fino al 1983.
 
 


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