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PASQUALE MARTINELLI/TU VUO´ FA´ L´AMERICANO

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

17
APR
2015
Dai polpi di Mola di Bari alle cucine nei grattacieli di New York City dove sposato un’americana figlia di genitori originari proprio del suo paese: una fusione che si rispecchia anche nella sua cucina ora che è diventato il cuoco dei vip oltreoceano 
 
 
Il grande Renato Carosone nel 1956 cantava “Tu vuo’ fa’ l’americano”, un titolo che sembra tagliato su misura per Pasquale Martinelli che, come si faceva una volta, da ragazzo è emigrato in America da solo e con tanti sogni facendo tantissimi sacrifici. Ha portato con sé negli States la cucina tradizionale barese e l’ha fatta assaggiare agli americani che oggi l’apprezzano grazie ai suoi piatti. Parla con un simpaticissimo accento italo/barese/americano che lo rende una persona unica, umile e molto socievole, qualità che hanno contribuito a farlo diventare molto famoso nella città di “Big Apple” (New York).
Lo abbiamo incontrato recentemente a Bari dove torna saltuariamente per lavoro e per andare a trovare i suoi parenti.
 
Chef Martinelli, “Tu vuo’ fa’ l’americano” dice il nostro titolo ma … “Sei nato in Italy”!
«Eh sì, ma mi trovo a New York City e qui è sempre un’emozione nel bene e nel male. Come quando la leva militare era obbligatoria, ogni cittadino del mondo dovrebbe fare almeno sei mesi qui. Vivi in una città cosmopolita con gente di ogni cultura dove non esiste il pregiudizio e dove la gente rispetta le diversità di pensiero, di moda e di razza, e questo è molto bello perché permette alle persone di esprimersi liberamente».
 
Come e quando hai scoperto la tua passione culinaria?
«Io ritengo di essere nato con questa passione».
 
Ma c’è stato qualcosa o qualcuno che ti ha instradato nel mondo della ristorazione e della cucina?
«Mia madre mi ha dato la spinta per entrare nell’Istituto Alberghiero e mio padre faceva il vino e quindi ho sempre bevuto vino Primitivo e ricordo che mangiavo le insalate di pomodori provenienti da un rione di Mola che si chiamava “Lapenna”, famosissimo per la piantagione dei pomodori situata a 20mt dal mare. La brezza marina li accarezzava durante la notte e all’indomani non c’era nemmeno bisogno di lavarli perché erano già salati e saporiti al punto giusto. Mia madre li vendeva a mille lire al chilo e andavano a ruba».
 
Cosa spinge un giovane italiano di Mola a decidere di emigrare?
«Il desiderio di far conoscere al mondo la cucina pugliese e le ambizioni a livello umano e professionale».
 
La tua cucina dove trova le sue fondamenta?
«In quelle che sono le caratteristiche del territorio pugliese: l’ospitalità dei meridionali e la cucina casereccia che oggi diamo per scontate. A Mola come in ogni altro paese della costa, quando il tempo è brutto e nessuno è uscito a pescare, sappiamo bene che se si va in pescheria le alternative si trovano ma per noi non va bene se il pesce non è fresco di giornata».
 
Nascere e crescere a Mola quanto è stato per te importante?
«A Mola abbiamo la cucina più buona del pianeta così come tutti quelli situati sulla costa perché ci permettono di mangiare sano e gustoso ad altissimo livello. Abbiamo una vasta scelta di verdure, di olio e di pesce che sono importanti per la salute. A Mola difficilmente mangiamo manzo. Da un po’ sentiamo parlare di Chianine, di Fiorentine… prima per povertà e per risparmiare non si mangiava quasi per niente carne. I nostri avi non erano andati all’Università ma sapevano come cucinare i pomodori, lo facevano con i raggi del sole. Allora dico, va bene il wasabi e le creazioni degli chef di oggi ma non si deve snobbare la cucina genuina».
 
Cosa pensi del vegetarianesimo e del veganesimo?
«E’ una scelta legata non tanto alla nutrizione ma maggiormente alla sensibilità di certa gente nei confronti degli animali e nel vedere e immaginare le pratiche di uccisione e macellazione degli stessi. Il segreto secondo me è l’equilibrio. Rispetto la scelta dei vegani e dei vegetariani ma ricordiamo anche che il corpo necessita di carboidrati e di proteine».
 
Il piatto che piace di più agli americani?
«Beh, il polpo».
 
Cosa pensano loro della cucina italiana e in particolar modo barese?
«Che è la migliore del mondo… che poi è quello che pensano anche altrove. Io poi, quando vado in giro, promuovo e parlo sempre di cucina molese, non pugliese. Lo faccio per rispetto delle altre zone della Puglia dove magari uno stesso piatto si differenzia  e cambia magari anche nome».
 
Ma da quelle parti riesci a reperire tutti i prodotti che ti servono?
«Sì perché a New York City arriva tutto da tutto il mondo. Qui, come ti dicevo, c’è gente che proviene da ogni parte del mondo e alla base c’è la nostalgia dei prodotti del proprio paese che spinge poi a importare tutti i prodotti che si desiderano provenienti dai vari Paesi».
 
Cosa porteresti in USA dalla tua Mola e cosa ti manca?
«Porterei un po’ di amici. Anche se qui mi sento anche a casa in alcune occasioni. Pensa che ogni anno mentre a Mola si tiene la processione del venerdì Santo, i molesi d’America che vivono a Brooklyn fanno la stessa processione nello stesso giorno».
 
Lavori in posti esclusivi di New York frequentati da personaggi illustri…
«Sì, il primo di questi è stata Chelsea Clinton (N.d.R: figlia dell’ex Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e di Hillary Clinton)».
 
Conti di tornare in Puglia stabilmente un giorno?
«No, non credo di poter più vivere senza New York perché mi piace lo stile e il modo di vivere qui».
 
L’elemento per te indispensabile in cucina?
«L’olio extravergine di oliva».
 
A casa tua chi cucina?
«Cucino io oppure i miei suoceri».
 
C’è qualche chef famoso a cui ti ispiri?
«No perché io non mi considero uno chef. Io sono un casalingo perché la mia cucina può essere messa in pratica da chiunque scegliendo prodotti genuini. Io mi definisco un operatore di ospitalità, nel senso che conosco bene l’industria pur lavorando e avendo lavorato anche in cucina. Ho fatto il barman vincendo anche concorsi a 13 anni al Divinae Follie di Bisceglie e al Bandiera Gialla, ho fatto il cameriere, il receptionist, il manager di hotel, executive chef, giudice di competizioni .. per questo parlo di ospitalità, per il mio ampio bagaglio di esperienze».
 
Vuoi proporre un tuo piatto italo/americano per gli amici pugliesi?
«Un vitello alla parmigiana, un piatto tipico della cucina italo/americana. Una costata di vitello alla milanese condita di salsa di pomodoro con un po’ di parmigiano spolverato e della mozzarella. Poi si mette in forno dove si scioglie tutto e il piatto è pronto».
 
Progetti per il futuro?
«Più che progetto è un sogno. Quello di cambiare le (cattive) abitudini alimentari di molti americani che poi portano all’obesità. Mi piacerebbe avviare un’attività di franchising di fast food in America dove però il buon cibo sia al centro di tutto. Sarebbe una rivoluzione perché in America non sono molto attenti al mangiar bene e sano. Metterei a disposizione un menu preciso con i nomi dei prodotti e l’indicazione delle città principali di provenienza del sud Italia».
 
Per concludere, vuoi lanciare dagli States un messaggio ai pugliesi?
«Sì, i pugliesi devono ancora di più credere nelle proprie tradizioni, nelle risorse offerte dal territorio, devono promuovere sempre di più la cucina pugliese che è la migliore di tutte. La cultura gastronomica bisogna farla conoscere prima ai pugliesi stessi, poi al resto del mondo perché noi non la conosciamo abbastanza. Nei nostri istituti alberghieri in Puglia i nostri ragazzi devono imparare a cucinare i prodotti e i piatti nostrani e poi semmai quelli di altre zone d’Italia».
 
Chef, ti ringraziamo per la tua disponibilità e ti auguriamo di realizzare i tuoi sogni.
«Grazie a voi».
 


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