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Oronzo Basile/Ai tempi del "visto"

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

30
NOV
2012

 

La sua famiglia ha assistito a numerosi cambi generazionali portando avanti un’unica tradizione: tra cambiamenti e novità, il racconto di riti e usanze nella nostra cultura funeraria
 
Adeguarsi ai cambiamenti è un meccanismo inevitabile per stare al passo con i tempi, ma c’è chi non riesce a staccarsi dal ricordo degli anni passati, rimpianti con quel mix di nostalgia e riverenza risvegliato da tradizioni che non si ripeteranno più. Oronzo Basile esce allo scoperto e si dichiara un inguaribile tradizionalista, e d’altronde bastava poco per dedurlo: le innumerevoli foto in bianco e nero conservate tra i cassetti, e quella radio rosso fiammante e perfettamente funzionante, appostata nel suo ufficio come un pezzo straordinario d’antiquariato, smascherano immediatamente la sua vera indole. Con lui spolveriamo la memoria e facciamo un salto negli anni ’60, alla scoperta degli usi e dei costumi funebri, quando questo tema era vissuto in maniera del tutto diversa, perché profondamente segnato da una cultura impregnata di valori e osservanze destinate a svanire.
Sign. Basile cos’è cambiato dai tempi di suo nonno ai suoi?
«Io ho vissuto tutti i periodi del cambiamento, perché è dall’età di cinque anni che vivo all’interno di questo mondo. All’epoca di mio nonno, quando era lui a gestire le onoranze, ricordo che c’era davvero la cultura della morte. Quando moriva una persona era un rito comporre la cosiddetta camera ardente, dove sostava la salma: si coprivano tutti i muri della camera con panni neri e bianchi, mentre il soffitto veniva addobbato di bianco con una croce al centro in panni o galloni. La salma era composta da una sottocassa della rispettiva confraternita e si adagiava su un letto montato da noi, dove ponevamo due candelieri e una croce illuminata con due angeli sulla spalliera. Accanto a questo letto si mettevano quattro portafiori per adornare la camera, in genere si usavano molto i garofani, oppure delle piante come le kenzie. Dopodiché si procedeva con l’allestimento del ‘lutto esterno’: adesso sui portoni viene messa una semplice coccarda, ma prima si addobbava tutto il portale con dei panni neri e una croce bianca centrale, in segno di lutto».
Tutto questo per quanto riguarda l’allestimento della camera ardente, ma come si svolgevano le celebrazioni funerarie?
«Il giorno del funerale era molto più sontuoso rispetto a ora. Innanzitutto venivano composte delle corone di fiori che andavano da un minimo di dieci a un massimo di cinquanta, mentre le salme venivano poste su un catafalco, portato a spalla dai fratelli della confraternita di appartenenza. Un’altra usanza molto particolare era quella del ‘visto’ (in gergo martinese): i parenti più stretti del defunto chiamavano un personaggio illustre del paese, tra cui medici, preti o politici e li prelevavano dalle loro abitazioni in modo tale che partecipassero al corteo funebre; la loro presenza conferiva più importanza al funerale, e la gente al passare di queste figure soleva togliersi il cappello in segno di riverenza. Dopo il corteo, l’autorità partecipava con i familiari del defunto, al momento delle condoglianze e poi veniva riaccompagnata a casa».
È vero che dopo il funerale i familiari del defunto continuavano a vivere il lutto, manifestandolo per lungo tempo?
«Sì, prima era molto più sentito il lutto, infatti, gli uomini per quattro giorni circa, non si facevano la barba e si mettevano anche una fascia nera intorno alla manica del cappotto e al cappello, oltre al bottone e alla cravatta nera, le donne invece, si vestivano tutte di nero per molto tempo. Adesso non si usa più nulla di tutto questo, nessun segno di lutto. Tra l’altro c’era una grande partecipazione da parte dei cittadini al funerale: al corteo partecipavano i fratelli della confraternita, l’autorità del visto, il ‘capitolo’ composto da alcuni preti, le orfanelle delle suore Monacelle e infine seguivano le persone più povere con le candele in mano».
Quindi partecipavano un gran numero di persone al funerale, invece, quando veniva a mancare un personaggio importante per la città, come si procedeva?
«Quando moriva un personaggio importante di Martina, al corteo partecipavano tutte le confraternite del paese e il capitolo dei preti era composto da tutti i sacerdoti della città: naturalmente si trattava quasi di un business, perché ognuno percepiva un compenso. La gente contadina preferiva perdere una giornata di lavoro per poter partecipare al corteo, perché così facendo riusciva a ottenere qualche vantaggio dalla sua confraternita. Tra l’altro per le personalità importanti, nella chiesa si addobbava un tempio grandissimo, chiamato “Castellana”».
Anche le tecniche di sepoltura differivano rispetto a oggi?
«Dopo il funerale la salma veniva portata al cimitero e posta nella cappella gentilizia, poi si tornava nel pomeriggio per procedere con la sepoltura: il cappellano dava un’ultima benedizione alla salma e al sepolcreto, la famiglia salutava la salma e si terminava la sepoltura. Al termine di tutta questa pratica veniva smontata la camera ardente, mai prima».
È evidente che con il passare degli anni ci sia stata una tendenza volta a semplificare questi riti, secondo Lei può dipendere anche dalle più ingenti difficoltà economiche che siamo costretti ad affrontare?
«Sì, penso proprio di sì, prima le persone più anziane conservavano dei risparmi per avere un determinato funerale e i figli rispettavano la loro volontà, ma adesso questo non si verifica più. Molte persone preferiscono scegliere se avere la banda o i fiori e alcuni decidono di evitare il corteo e portare la salma direttamente in chiesa, anche perché c’è molta confusione per via del traffico. Attualmente è molto diffusa la cremazione, in quel caso si può decidere se avere il posto o nella confraternita, o nella società oppure nei posti comunali, ma ci sono anche persone che preferiscono tenerle in casa o che optano per la dispersione».
La cremazione era una pratica diffusa anche intorno agli anni ’60?
«Prima questa pratica era molto più diffusa in Germania, in America e in India, ma solo più tardi è arrivata anche in Italia. Qui a Martina siamo rimasti un po’statici e molte persone rimangono sbalordite dai nostri sistemi di sepoltura. Noi abbiamo ancora i piloni a tenuta stagna dove la gente viene messa dentro, mentre in altri luoghi non è così. Da noi ci sono le confraternite che sono tipicamente meridionali, mentre al Nord no».
Facendo riferimento alla Livella di Totò, la morte dovrebbe rendere tutti uguali, anche se nei sepolcreti non è mai stato così: si può dire che non lo sarà mai?
«È sempre stato così, ancora adesso c’è chi fa la gara con i fiori, mentre prima si metteva solo il garofano e solo nel mese di novembre c’era la tradizione di portare i crisantemi. Tuttavia ci si sta attrezzando anche per mettere una lapide in quei posti che stanno sotto terra, dove giace gente povera e indigente. Andare sotto terra per noi è un sacrilegio, ma nelle zone limitrofe si procede così e non dobbiamo sottovalutare che anche questo rappresenta un lusso, perché a volte si mettono tombe molto costose».
Rimpiange il passato?
«Direi proprio di sì, essendo un tradizionalista rimpiango un po’ il culto della morte di allora. C’era più strazio e più rispetto per il defunto, non che adesso non ci sia, ma la differenza è ormai notevole!».


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