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Alfredo Traversa/PASOLINI, ATTO INFINITO

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

22
MAG
2015
In occasione della prima nazionale dello spettacolo “Pa”, in scena all’Auditorium Tarentum, incontriamo il regista pugliese autore dello spettacolo incentrato sulla vita del tormentato intellettuale
 
«Amo la vita così ferocemente, così disperatamente, che non me ne può venire bene: dico i dati fisici della vita, il sole, l’erba, la giovinezza:[…] e io divoro, divoro, divoro […] Come andrà a finire, non lo so». 
1960: Pasolini dichiara, nel massimo della sua produzione artistica, la sua fame di vita al poeta Elio Filippo Accrocca. «Come andrà a finire», ipotizzò Pier Paolo. In realtà, nulla può finire, nemmeno la vita biologica quando si tratta di Pasolini. E a conferire ulteriore immortalità all’ineconomico per eccellenza, ecco Alfredo Traversa che regala ad una Taranto purtroppo sempre etichettata dal siderurgico, un incorrotto respiro artistico. In occasione del quarantennale dalla morte di Pasolini, in scena il 27 maggio all’Auditorium Tarentum a Taranto, “Pa”: da un’idea di Giuseppe Puppo, regia di Alfredo Traversa, con Maurizio Ciccolella, Tiziana Risolo, Marina Lupo; scene di Ciro Lupo. Il regista Alfredo Traversa ci parla appunto della sua creatura. 
Lei, Traversa, ha di recente pubblicato un saggio dal titolo L’ultimo Pasolini. Ce ne vuole parlare? È stata questa sua ultima pubblicazione a ispirarla nella realizzazione dello spettacolo Pa? 
«In realtà il mio libro tratta di un’indagine sul sequestro dell’ultimo film di Pasolini. Gli elementi del caso giudiziario, ricercati tra le città di Grottaglie, Taranto e Lecce, erano poco noti o assolutamente sconosciuti. Diciamo che ho avuto il merito e la curiosità di metterli in luce, grazie al contributo del Centro Studi – Archivio Pier Paolo Pasolini di Bologna, ma questo libro è tutt’altro rispetto allo spettacolo teatrale Pa. L’idea infatti è nata un anno fa e la piece vuole rappresentare il suo carattere universale, prendendo infatti eventi della vita di Pasolini e facendoli diventare esperienza diretta per lo spettatore». 
Leggevo che per la prima nazionale di Pa, ha lavorato in stretta collaborazione con Giuseppe Puppo, uno dei liceali del Palmieri di Lecce, scenario dell’ultima conferenza (Volgar eloquio) nel ’75 di Pasolini. Come è avvenuto il vostro incontro e in particolare quali documenti inediti Puppo le ha messo a disposizione? 
«Il mio incontro con Puppo è stato assolutamente fortuito perché ero alla ricerca di chi, il 21 ottobre 1975, assistette alla conferenza di Pasolini e tra i liceali presenti, ho appunto scovato Giuseppe Puppo che ha dato un importante contributo con la sua testimonianza diretta. Arricchire lo spettacolo con elementi dell’esperienza di chi ha ascoltato e si è emozionato quel giorno di ottobre, poco prima della morte di Pasolini, è stato molto importante». 
Il protagonista della piece sarà il brindisino Maurizio Ciccolella. Cosa l’ha colpita particolarmente di questo artista, per sceglierlo per il ruolo di Pasolini nel suo spettacolo? 
«Certamente un anno fa, all’inizio di questo percorso, non ero alla ricerca di un sosia per il personaggio di Pasolini, anzi. Ciò che mi ha colpito di Maurizio è stata la sua grande voglia di mettersi in gioco alle prese con un personaggio che conosceva anche poco. Ho letto da subito negli occhi di Ciccolella la passione, il desiderio di conoscere più a fondo Pasolini e di entrare nella sua personalità. Cercavo infatti prima l’uomo e poi l’attore, e Maurizio è stato la risposta». 
Il titolo completo dello spettacolo è molto emblematico: “Pa sono abbastanza grande adesso per diventarti amico”. Il Pa, quasi un vezzeggiativo confidenziale, fa percepire una stretta comunione con Pasolini. Cosa significa per lei questa vicinanza e quando ha sentito la vocazione per Pasolini? 
«Il titolo è quasi un gioco di ruoli. Il Pa non è un Pasolini abbreviato, ma riprende il modus che noi meridionali abbiamo per pronunciare “papà”. Pier Paolo aveva una personalità molto complessa che si riesce a scoprire con una certa maturità morale, ma soprattutto anagrafica. Anch’io per esempio, ho “scoperto” questo padre, se così si può dire appena l’anno scorso. Vede, si tratta di figure emblematiche universalmente conosciute è vero, ma intimamente riconosciute, e questo riconoscere un Pasolini avviene in genere in età adulta, dopo aver maturato un proprio percorso di vita».
In cosa quindi secondo lei, Pasolini era e rimane uno di noi, nonostante la complessità della sua arte per poetica, pensiero filosofico e morale? 
«Pasolini era e rimarrà uno di noi perché profondamente popolare, come i suoi film del resto. È questo infatti lo scopo del mio spettacolo: partire dalla popolarità dei film di Pasolini e realizzare una piece anch’essa popolare, semplice e che fosse un omaggio alla vita di Pier Paolo, agli incontri che ha fatto per esempio con la Callas e con Ezra Pound. Svecchiare il solito prototipo della visione di un Pasolini omosessuale con l’introduzione di scene che richiamano l’amore per una donna, che appunto Pier Paolo visse.  Pa è stato pensato per incontrare diverse tipologie di spettatori; sarà infatti una scoperta di elementi inediti per chi Pasolini lo conosceva già, ed un’esperienza nuova e ci auguriamo coinvolgente, per chi invece non sa chi fosse Pier Paolo». 
Pasolini disse: “La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter essere compresi”. Lei Traversa, ritiene che piece come la sua, possano ancora avvicinare alla comprensione di questi grandi del panorama italiano, cittadinanze di ogni livello culturale?
«Assolutamente sì, era proprio questo il nostro intento: realizzare una piece che fosse un bombardamento di immagini, caratteristica peculiare del teatro, semplice da comprendere ad ogni livello, ma che allo stesso tempo usasse anche un linguaggio alto. A parte Ciccolella, ci sono altri tre attori, tra cui due donne ed è molto singolare come gli artisti si trasformino continuamente. Lo stesso protagonista alle volte impersona Pasolini, altre, reincarna lo spettatore che si chiede di Pasolini. Nulla è come sembra ed esiste ad ogni passaggio di Pa, un travestitismo quasi, di identità e sensazioni. Pensi che abbiamo deciso di utilizzare anche un fantoccio delle sembianze di Pasolini e di introdurlo nella piece».
E quest’ultima scelta da cosa è stata dettata o ispirata? 
«Essenzialmente dal fatto che quando Pasolini è morto, le immagini del suo corpo sono state trasmesse impunemente, io direi. Nemmeno il cadavere di un dittatore o capo di stato è stato visto come quello di Pier Paolo; un fantoccio appunto, disteso e inerme. La nostra sfida è stata quella di introdurlo nello spettacolo, cercando di instillare un forte coinvolgimento emotivo nello spettatore. In genere non si piange o si abbraccia un fantoccio, non si prova pietà per lui, ma in questo caso è come se ad un tratto fosse anche più reale dello stesso Ciccolella. Potremmo quindi azzardare col dire che non ci sono quattro attori più un fantoccio, ma cinque».   
Una prima nazionale a Taranto è molto significativa proprio perché ricordiamo che Pasolini nell’estate del 1959 compì una traversata coast to coast dell’Italia, (La lunga strada di sabbia, apparso come reportage a puntate sulla rivista il Successo) toccando anche la costa ionica del golfo di Taranto. Pasolini fu incantato dalla Taranto pre Italsider, spettacolo del «brulichio infinito», come egli stesso la definì. Ci saranno cenni o elementi di tarantinità nel suo spettacolo? 
«Sì, ci saranno addirittura parti recitate in dialetto tarantino. Non si può citare Pasolini senza alludere all’importanza del dialetto, essendo stato Pier Paolo così attento al recupero delle origini e di una certa regionalità; basti ricordare le sue composizioni in dialetto friulano, essendo sua madre originaria di Casarsa».   
Il senso del viaggio in Pasolini fu molto sentito. Nel viaggio in India compiuto nel ’61 con Alberto Moravia ed Elsa Morante, si ebbe una visione dell’esperienza completamente diversa per i due autori uomini. Pasolini stesso marchierà simpaticamente Moravia con il suo «meraviglioso igienismo» e si autodefinirà «ineconomico» nel voler perdersi completamente in India in maniera passionale e viscerale. Anche il 27 maggio trasparirà sul palcoscenico questa “ineconomicità” di Pasolini e se sì in che modo? 
«Chiunque si dia totalmente agli altri, con tutti i suoi pregi ma soprattutto senza escludere i suoi difetti, è ineconomico. La società non permette all’essere umano una così completa “spendibilità” del suo essere. Pasolini era tutto questo; appena due giorni prima della morte si fece fotografare nudo. Non avrebbe potuto fare di più e in riferimento al mondo della fotografia, voglio doverosamente ricordare Letizia Battaglia, artista storica palermitana che ritrasse Pier Paolo in quel meraviglioso scatto di lui assorto, con il pugno chiuso sotto il suo mento. Quell’immagine è secondo me l’emblema dell’ineconomicità di Pasolini e del suo, purtroppo non essere compreso nonostante la voglia di comunicare, di cui parlavamo prima».  
Nelle scuole italiane si continua ancora oggi, con programmi antiquati e forse perbenisti. Come mai secondo lei autori del calibro di Pasolini, Gadda o dello stesso Franco Fortini che criticò molto spesso la figura di Pierpaolo,sono ancora alla berlina negli istituti italiani? Perché Pasolini viene scoperto sempre più tardi e magari con slancio autonomo nella vita di un giovane di cultura dei giorni nostri? 
«Probabilmente qualsiasi autore “scomodo” e per nulla perbenista sarà mai introdotto  negli istituti italiani. Proprio poco tempo fa, mi sono recato personalmente in un liceo e ho chiesto di visionare il programma ministeriale: Pasolini non era citato né nel programma ordinario, né tantomeno nell’elenco di proposte da trattare eccezionalmente. Permangono invece autori come Dino Campana che però io credo, siano molto più complessi per la mente di un giovane studente rispetto ad alcuni scritti di Pasolini, magari più confacenti alla sua età e stimolanti per le sue perle profetiche. Ritornando alla conferenza al Palmieri di Lecce, Pier Paolo, rivolgendosi alla platea di studenti invito loro a fare attenzione perché molto presto si sarebbe creato un regime in cui, l’intellettuale sarebbe stato asservito al politico. Più profetico di così…».
Perché infine Pasolini non è mai morto? 
«Tralasciando i soliti encomi per la grandezza eterna della sua arte, assolutamente condivisibili, io arriverei un po’ più al dunque: Pasolini non è mai morto perché essenzialmente è stato ammazzato. La sua vita è stata troncata quando avrebbe potuto fare ancora tanto altro. Un po’come Cristo e anzi, le dirò di più: Pasolini perse suo fratello partigiano, ucciso da altri partigiani e dopo questo trauma, fece della sua vita quasi una reincarnazione del fratello, avvicinandosi molto alla figura di Cristo. Un profeta per un altro profeta, entrambi ingiustamente uccisi per mano di altri e quindi eternamente immortali».
 


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