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Estate tarantina/Il poker del MarTa

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

14
AGO
2015
Versi immortali che rivivono attraverso la voce italiana di Al Pacino e Jack Nicholson, fra gli ori e i marmi della città classica. Giancarlo Giannini ha fatto da guida nell'antro di Polifemo e sulla spiaggia di Nausicaa nel penultimo appuntamento che ha unito poesia e archeologia
 
Anche il terzo appuntamento dell’incontro fra archeologia e spettacolo dal vivo, svoltosi sabato 8 agosto al MarTà, ha centrato il suo obiettivo e, così, ancora una volta, dopo i due appuntamenti precedenti, con Isabella Ferrari e Michele Placido, anche il terzo ha portato all’attenzione degli oltre 200 spettatori presenti, i miti attraverso la lettura di significativi e scelti brani tratti dall’Odissea di Omero.
Anche sabato scorso ha fatto da grande richiamo per il pubblico - oltre all’Ulisse di Omero - anche il suo eccellente interprete, Giancarlo Giannini, affiancato per la parte musicale dai professori di arpa celtica Roberta Procaccini e di violoncello, Gianni Cuciniello.
Una delle voci più belle del panorama internazionale (sue le voci di Al Pacino, Jack Nicholson, Michael Douglas, Gerard Depardieu, Dustin Hoffman e tanti altri) ha scaldato da subito il clima, già di per sé molto caldo a dire il vero, del chiostro degli Alcantarini. Il resto lo ha fatto il pubblico molto attento e interessato e, a corredo della serata, la sempre entusiasmante visita guidata all’interno del Museo Nazionale Archeologico tarantino.
Vero è che nel primo pomeriggio si era temuto che l’appuntamento potesse saltare, date le preoccupanti condizioni atmosferiche che hanno lasciato il loro segno devastante in quel di Campomarino.
Scampato il pericolo il programma è stato regolarmente condotto in porto in una atmosfera degna dei contenuti che venivano declamati da un affascinante e carismatico maestro del teatro italiano, Giancarlo Giannini.
Il pubblico ha seguito con attenzione sottolineando con opportuni applausi l’alta qualità del prodotto realizzato all’interno dell’ex convento degli Alcantarini.
Il resto lo ha fatto la “magna opera” di Omero, quell’Ulisse che è diventato nel corso dei secoli il simbolo dell’aspirazione umana al sapere, della forza di volontà, del coraggio, dell’attaccamento alla propria terra e alla propria famiglia.
Non a caso Dante Alighieri nel XXVI canto dell’Inferno riserva un ruolo importante ad Ulisse, tanto importante da fargli dire le celebri parole: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtude e conoscenza”, espressioni che sabato sera hanno avuto una indiretta eco perché inserite nel quadro celebrativo dei 750 anni dalla nascita del poeta fiorentino.
Lo spettacolo di sabato sera ha avuto anche altre valenze come, per esempio, quella che veniva proposto nel capoluogo ionico che dette i natali a Livio Andronico che ai suoi tempi fu chiamato a tradurre in lingua latina l’Odissea per far conoscere ai romani l’epica greca.
I brani scelti tra il poema epico più grande di tutti i tempi hanno avuto un filo logico fra di loro perché hanno proposto temi di grande attualità anche oggi, infatti i versi omerici parlavano del tema del ritorno, della Patria, della nostalgia.
Il ritorno è uno dei problemi di ieri ma anche di oggi se lo si interpreta come bisogno di rifugiarsi nelle proprie radici e di esprimersi nella terra delle proprie origini. In questo l’Odissea è lo slancio di un giovane popolo verso mari sconosciuti in cerca di nuove terre. E, a questo punto, il riferimento al problema dell’ondata di grandi immigrazioni che invadono il nostro Paese mi sembra anche superfluo. 
Non meno importante il problema della Patria inteso come segno di appartenenza per chi ha nella stessa la democrazia a fondamento della propria vita, ma Patria intesa anche come traditrice per quei popoli africani che fuggono da essa per evitare la morte. Ed ecco che nell’estremo viaggio della speranza si fa strada anche il tema della nostalgia, una nostalgia che per questi sfortunati fratelli diventa canaglia e crudele.
Il Valgimigli parlando di Ulisse così scrive: “Ulisse è la figura umana più ricca di umanità che la poesia greca abbia creato nella sua ricchezza, singolare figura di prudenza e di calcolata freddezza, di lucidità e di cautela, di prontezza sicura e di ostinazione, di fiducia e di dubbio e di caldissima e nobilissima astuzia”. Elogio più grande non poteva esser fatto del nostro Ulisse.
Intanto, dopo la doverosa pausa ferragostana il MarTà si appresta a chiudere il ciclo programmatico con l’esibizione di Ambra Angiolini che si cimenterà nella non facile interpretazione della Medea di Euripide che è una tragedia di protagonista, laddove la protagonista è forse la natura più complessa del teatro euripideo. Questa eroina dell’odio giunge a sacrificare il suo sentimento materno pur di colpire nel vivo il perfido amante. Crudeltà di una barbara e delittuosa potenza, di un amore che ha toccato il parossismo.
Ma ciascuno darà poi la sua interpretazione. Il pregio più significativo di questa tragedia sta in questa alternanza di stati d’animo contrastanti che è quasi di tutti i personaggi.
In questo clima così entusiasmante per il MarTà non possiamo non sottolineare il fatto che dal 21 al 27 agosto nel padiglione Italia di Expo 2015 gli Ori del MarTà avranno la loro ribalta per veicolare nel mondo il volto bello e non inquinante e portatore di morte di Taranto. Resteranno in esposizione quattro gioielli e una coppia di orecchini a protome leonina, cioè decorati nella chiusura del bracciale e della collana da due teste di leoni, marchio di fabbrica degli orefici della città.
La scelta non è stata casuale come ha spiegato la direttrice del Museo, Antonietta dell’Aglio, che ha voluto sottolineare che i monili che saranno esposti all’Espo provengono da un’area cittadina di scavo; infatti la corona aurea a foglie di quercia è stata trovata in contrada Santa Lucia nel 1885 e il corredo funebre è stato rinvenuto nell’estate del 1812 nella zona dell’Arsenale. 
Lo slogan che accompagnerà la mostra così recita: “Puglia: tutta la luce del mondo…negli Ori di Taranto”.
E i nostri Ori ci faranno fare ancora una volta bella figura come accadde 30 anni fa quando gli Ori di Taranto furono inviati sempre a Milano seguiti da pochissimi consensi e da moltissime critiche.
Ma non finisce qui perché altri reperti custoditi dal Museo Nazionale Archeologico tarantino resteranno in mostra fino alla fine di gennaio nel Palazzo Reale di Milano.
Insomma Taranto parlerà il linguaggio della bellezza e dell’arte orafa di fattura magno-greca e lascerà il suo nome nella storia dell’Expo 2015, così come già accadde per gli stessi Ori nell’Expo 2010 di Shanghai.
Un museo vivo quello tarantino che parla alle nostre genti, che incanta e che lancia messaggi.
Davanti a codesti “Ori” ogni tarantino dovrebbe andare, fieramente, orgoglioso.
 
 
 


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