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Carla Vistarini/ Cuore e olio di gomito

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

9
OTT
2015
Ha scritto canzoni per i più grandi interpreti (è sua la “La nevicata del 56” cantata da Mia Martini) e per orecchie più “piccole” (ricordate "Mimì e la nazionale di Pallavolo"?). Ora la sfida più grande: un romanzo in cui si parla d‘amore
 
Scrittrice, sceneggiatrice, paroliera, musicista italiana, autrice televisiva, teatrale e cinematografica. Nella sua lunga e fortunata carriera di autrice le mancava solo un tassello: scrivere un romanzo. Questo desiderio, unito alla sua voglia di avere un contatto diretto con il  pubblico, è diventato presto realtà grazie a "Se ho paura prendimi per mano", il suo primo romanzo. Una sorta di film girato su carta, una storia in giallo e noir dove niente è ciò che sembra e tutto è da scoprire. Una struggente storia di amicizia tra Smilzo, un senza tetto dimenticato dal mondo, ex  uomo dalla carriera brillante nel ruolo di analista finanziario, e  una  bambina di soli tre anni dal tacito ma evidente bisogno di aiuto, che con la forza dell'innocenza sceglie di fidarsi dell'uomo, riuscendo a  cambiare il corso del destino. Grazie a questo legame, Smilzo scoprirà di avere un'anima e una bruciante voglia di riscatto e  tra mille difficoltà  si rimetterà in gioco e riuscirà  a proteggere la bambina sperduta. Un incontro che unirà  due solitudini ai margini  di una società cieca e troppo presa dalla propria individualità per accorgersi di altre anime che vagano ai margini dell'abisso. Questo romanzo, dai contorni delicati e forti, ci ricorda che è sempre nel cuore la chiave della salvezza e se il potere del denaro è grande, solo l'amore può fare la differenza, perché nella vita nessuno si salva da solo, è allora fondamentale imparare a prendersi per mano e salvarsi a vicenda, perché la strada è lunga e spesso difficile e incerta, capita di smarrirsi e non trovare più il sentiero che conduce a casa.  Riuscire a salvare  un altro essere umano equivale a salvare se stessi riscoprendo il senso dell'umanità in tempo di crisi, non solo economica... e Smilzo ne sa qualcosa! Aiutare la bambina, prima con  la forza dell'istinto poi con slancio dettato dal cuore, ha significato ritrovare un senso da dare alla propria vita. L'esordio di Carla Vistarini nel romanzo è stato accolto con vivo entusiasmo anche a Galatone, nel Salento, grazie alla presentazione avvenuta mercoledì 2 settembre nel suggestivo  Palazzo Leuzzi.
 
 
 François Truffaut diceva: "La scrittura è vita. Scrivere significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, prolungando i giochi dell'infanzia". Cos'è l'esperienza della scrittura per lei  e cosa significa essere  scrittore  oggi, in questo determinato momento storico caratterizzato da un vivere frenetico e spersonalizzato, da alienazione e allontanamento dell'essere da se stesso?
«Sono una persona con i piedi per terra, quindi per me scrivere è un lavoro. Mi piacerebbe poter dire che scrivere è un volo pindarico, un lanciarsi tra le alte vette dell'immaginazione e liberamente solcare i cieli della fantasia. Sarebbe bello ma non è così. Troppe esigenze esterne convergono a condizionare la libertà della scrittura. E chiunque faccia lo scrittore per mestiere lo sa. Scrivere è un lavoro solitario, spesso infruttifero, a volte strapazzato dalla realtà, ma sostanzialmente un lavoro. Qualcosa che va fatto con disciplina e rigore, senza orario, dove l'"ispirazione" sovente non ha dimora, sostituita dall'olio di gomito. Non credo molto a ciò che comunemente si definisce "vena poetica" o ispirazione, appunto. Forse essere scrittori vuol dire essere "ispirati" 24 ore al giorno e quindi vivere quella condizione come normale, ovvia, non so. Io so che per quanto mi riguarda il mio datore di lavoro è il pubblico, e a lui  devo rendere conto. E poichè è un datore di lavoro esigentissimo,  ciò che scrivo deve essere l'assoluto massimo nelle mie possibilità.  E anche di più. Il frutto di mille scritture, riscritture, ripensamenti, cancellazioni, tagli, scarnificazioni. Mi piace citare in proposito la risposta folgorante che  Giuseppe Verdi dette a un giornalista alla domanda "Che cos'è il genio?". Verdi rispose "Il genio è sgobbare"».  
 
Nella sua vita ha esplorato tutte le forme di scrittura. Lei è stata anche autrice di importanti serie televisive. Cosa vuol dire scrivere per cinema e fiction?
«Scrivere per il cinema vuol dire soprattutto "struttura".  Come in un'automobile c'è un telaio che tiene unito il tutto, così in una sceneggiatura è indispensabile  creare una ferrea struttura portante, del film o del programma che si vuole scrivere. Incardinandolo a precisi snodi narrativi che ne sostengano poi il racconto. E' chiaro che all'inizio di tutto deve esserci un'idea importante, originale, fulminante. Ma, dall'attimo seguente, l'idea iniziale deve cominciare il processo di strutturazione della storia. E poi c'è da ricordare che un film o un programma televisivo sono produzioni costosissime, dove niente può essere lasciato al caso, a cominciare dalla sceneggiatura, e tutto deve convergere verso una realizzazione, si spera, di successo. In poche parole, le idee devono adattarsi ai mezzi.  Quindi torno a  quanto detto prima, voli pindarici non se ne fanno».
 
Per avere “la giusta ispirazione” occorre osservare e rubare con gli occhi, con le orecchie, con il naso e con il tatto ed essere in grado di trasferire sul foglio quelle sensazioni di cui ci siamo impregnati osservando, per lei è così?
«Nel tempo credo di aver compreso di essere una persona particolarmente curiosa e attenta a ciò che il mondo racconta. Ovvero a ciò che è scritto sui volti della gente, a leggere tra le righe di un discorso, tra i non detti delle circostanze. A lungo ho pensato che questa attenzione ai fatti e alle persone della vita, che sia di tutti i giorni, o straordinaria, fosse una normale attitudine delle persone. Oggi  so che non è così, e che forse scrivere è un po' come  possedere delle lenti magiche in grado di mettere a fuoco fatti, emozioni, colori, che nel tempo possono offuscarsi. E' come offrire al pubblico un posto in prima fila sul belvedere dell'esistenza».
 
 
Insieme  a Luigi Lopez ha fatto la storia della canzone italiana come paroliera di successi. Ricordiamo “La voglia di sognare”, cantata da Ornella Vanoni, “La nevicata del 56”, da Mia Martini e  vari successi interpretati da Mina, Riccardo Fogli, Patty Pravo, Renato Zero e molti altri. Cosa vuol dire essere autore musicale?
«Ho iniziato proprio come paroliere, a vent'anni, la mia carriera di scrittore e autore. Con Luigi Lopez eravamo due ragazzi che adoravano la musica, il rock, il blues e abbiamo trovato naturale cominciare a scrivere canzoni nostre. Ma tra il dire e il fare... Le canzoni, un conto è scriverle, un conto è farsele incidere da cantanti importanti. Per fortuna il periodo era favorevole, gli anni '70, tra i più ricchi di successi e creatività, e lo era anche l'ambiente, cioè la Roma di quegli anni, una fucina artistica immersa  in un'atmosfera creativa dal continuo ribollire. La mia prima canzone in assoluto è stata "Mi sei entrata nel cuore" incisa dagli Showmen, il gruppo che poi diventò Napoli Centrale, con James Senese al sax. Il pezzo uscì nel '70 ed entrò in classifica. E poi vennero, a pioggia, una pioggia felice, tutte le altre, per Ornella Vanoni, Mia Martini, Mina, Renato Zero, Riccardo Fogli, Patty Pravo, Caterina Caselli, Peppino di Capri, Massimo Ranieri, Loretta Goggi, Gigi Proietti, etc. etc.  Ma anche le sigle tv dei cartoni animati, come "Pinocchio perché no?", "Mimì e la nazionale di Pallavolo", e tantissime altre. Comunque essere un autore musicale vuol dire stare sui carboni ardenti per quasi tutto il tempo. Cioè tu scrivi una canzone, lavorandoci sopra a limarla, tagliarla, riscriverla, per settimane e a volte mesi, e poi quando l'hai finita non sai cosa succederà. Inizia il vero e proprio calvario della proposta ai cantanti, alle case editrici. E non è detto che il progetto si realizzi. I cassetti degli autori di canzoni, anche quelli di maggior successo, sono strapieni di  brani rimasti inediti».
 
Ci parli della collaborazione con Mia Martini. Qual è il ricordo che conserva nel cuore?
«Per Mia Martini ho scritto quattro canzoni, la più famosa delle quali è "La nevicata del '56". Era un periodo d'oro per la musica italiana, ed entrambe facevamo parte di questo gruppo di artisti, autori e cantanti che gravitava attorno alla RCA Italiana, la casa dscografica più importante in quegli anni, di base a Roma. Ma prima della "Nevicata" c'era stato "Ritratto di donna" con cui a Tokyo nel '77 Mia Martini vinse il World popular song festival. Ecco forse quel viaggio in Giappone, insieme, in quell'atmosfera gioiosa, emozionante, è il ricordo più bello e personale che ho con Mimì».
 
“Se ho paura prendimi per mano”, questo il  titolo del suo romanzo. Una storia incentrata sulle difficoltà di chi non ha un lavoro ma anche sull’importanza dei sentimenti che possono salvare e aiutare a superare gli ostacoli, perché nessuno si salva da solo. Cosa può dirci in merito?
«"Se ho paura prendimi per mano" è una storia di riscatto umano, di rinascita. Il racconto di come si può precipitare in basso, fino all'inferno in terra e, con un guizzo di coraggio, onestà e incoscienza, riprovare a volare. E' un romanzo che si legge d'un fiato, scritto per  appassionare e avvincere, ricco di colpi di scena e di un finale a sopresa. E' una storia in giallo e noir, dove niente è ciò che sembra e tutto è da scoprire. E' inoltre il club dei personaggi più adorabili del mondo, sfido i lettori a non volercisi iscrivere, a questo club. E' una corsa a perdifiato per una Roma diversa, oscura e fascinosa. E' l'avventura di una piccola bambina di tre anni, senza casa, né famiglia, e di Smilzo, un giovane barbone senza futuro che, insieme, scopriranno che nella vita si può ricominciare sempre, se hai qualcuno che ti prende per mano e affronta con te le incognite del destino».
 
Il legame che si viene a creare tra il  barbone  e la bambina sembra essere il filo sottile che unisce due solitudini ai margini di una società cieca e troppo presa dalla propria individualità per accorgersi di queste anime  sole e  abbandonate, è così?
«Viviamo in un mondo difficile, una specie di centro commerciale delle emozioni per sentito dire, riprodotte industrialmente e offerte in un accecante mercato delle immagini e della comunicazione bombardata senza tregua.Cogliere i chiaroscuri della realtà vera, della persona che ci passa accanto, di uno sguardo smarrito, di un sorriso accennato, del proprio battito del cuore, è opera incerta e a volte impossibile. Il frastuono della vita intorno è illusoria compagnia, riempitivo di assenze spesso non percepite, se non quando il frastuono non si spegne. E allora scatta la disperazione, il senso di abbandono, di impotenza. Ecco, credo che il legame che unisce il giovane barbone Smilzo e la bambina protagonisti di Se ho paura prendimi per mano, sia una rivincita del cuore sui carri armati dell'apparenza e del commercialismo.  Una riconquista della voglia di vivere davvero».
 
La possibilità di riscatto è possibile così come l’inizio di una nuova vita, perché tutto può accadere, ogni istante può cambiare la nostra vita, nel bene e nel male...
«Credo fermamente che in ogni istante della nostra vita ci sia un'opportunità. In ogni singolo istante, in ogni incontro, in ogni luogo e tempo. E' solo nei nostri occhi la capacità di vedere questa opportunità, e nel nostro cuore il coraggio (perché ce ne vuole tanto) di coglierla, magari rivoluzionando la nostra esistenza. Se ho paura prendimi per mano è il racconto di questa opportunità.
Vorrei concludere questa intervista invitando i lettori a farmi sapere le loro impressioni e commenti sul romanzo. Possono farlo contattandomi sul mio profilo Facebook e su Twitter @charliecarla, aspetto con piacere tutti i suggerimenti, le sensazioni e i pareri di chi leggerà Se ho paura prendimi per mano. Buona lettura!».
 


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