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Democrazia/LA FATA SULL´ORLO DELL´ABISSO

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

23
OTT
2015
Raffaele Simone ci presenta in un’intervista il suo nuovo saggio “Come la democrazia fallisce”. Il paradigma democratico è un gioco di finzioni per salvare il quale occorre proprio giocare, seguendo tutte le regole, a far finta che sia vero 
 
 
“Ce la faremo a salvarla?”, “Dobbiamo crederci ancora?”. Sono queste le domande con le quali si apre il recente volume di Raffaele Simone, linguista di fama internazionale e autore di numerosi saggi (si legga nel riquadro), dal titolo “Come la democrazia fallisce” (Garzanti), all’interno del quale, chiamando a raccolta “le figure-faro della tradizione occidentale”, da Aristotele a Schnapper, passando per Rousseau e Bobbio, lo studioso sviluppa non solo la tesi della fragilità del meccanismo democratico ma anche la sua illusorietà, secondo l’affermazione di Rousseau: “Se esistesse un popolo di dèi, si governerebbe democraticamente. Un governo così perfetto non s’addice agli uomini.” Ma è proprio vero? Dobbiamo rassegnarci all’idea della fine della democrazia o compiere noi, cittadine e cittadini, una rivoluzione, culturale innanzi tutto, che, partendo proprio dalla fragilità e dall’illusorietà della “Fata” (è con questa metafora che Simone descrive la democrazia) ci trasformi nei suoi custodi? In tempi di cambiamenti e ribaltamenti, sarebbe auspicabile osare il rovesciamento di quello che accade nelle fiabe: esser noi a operare l’incantesimo sulla “fata” per salvarla, appunto, dall’orlo dell’abisso sul quale sembrerebbe essere giunta.  Intanto abbiamo incontrato a Roma il prof. Simone e insieme abbiamo toccato i temi che attraversano questo suo saggio. 
 
La democrazia, un po' come la letteratura, si fonda su un sistema di finzioni. (Libertà - uguaglianza - rappresentanza). In letteratura ci si salva con la "giusta distanza". Come ci si salva, invece, con la democrazia?
«Credo che tra le due ci siano importanti differenze. La letteratura, quando davvero parla al lettore, lo imprigiona e lo costringe a credere che quel che sta raccontando sia non solo vero in sé, ma riguardi proprio il lettore come cosa sua. La democrazia non imprigiona nessuno né richiede giusta distanza. Siccome è un meccanismo basato su finzioni (o in altri termini, su regole di gioco), perché funzioni richiede che si sia al gioco, cioè che si immagina che quelle regole siano vere e si possano davvero applicare. Appena questo patto si rompe, la democrazia crolla. 
È quello che sta succedendo in questi decenni, come si vede ad esempio dal dilagante fenomeno dell'assenteismo elettorale. I cittadini non vanno a votare perché hanno capito che il loro voto non conta; del pari hanno capito che gli eletti, una volta messi in carica (cioè una volta ottenuto l'insigne compito di rappresentare i cittadini), fanno semplicemente quel che vogliono, aiutati dal meccanismo del mandato non imperativo».
 
Per spiegare la fragilità della democrazia utilizza la metafora dei bastoncini dello shangai. Ci spiega questa immagine?
«Siccome la democrazia è un sistema di finzioni, cioè di principi non naturali ma “inventati”, è ovviamente molto fragile e bisogna vigilare perché nessuno la danneggi. Se interviene qualche fattore perturbante il meccanismo può rapidamente andare all'aria, o almeno alcune sue componenti possono saltare, esattamente come nello shangai».
 
Perché gli uomini, la cui natura non è democratica, si sono fatti incantare dalla democrazia?
«La democrazia è l'unico regime che assicuri che l'alternanza al potere avvenga senza violenza e senza spargimento di sangue, che alle cariche possa ambire teoricamente chiunque e che il popolo intero venga chiamato a esprimere la sua opinione su chi deve governare. Promette quindi una relativa pace e insieme dà la soddisfazione di contare qualcosa. Nessun altro sistema politico ha questi vantaggi messi insieme. Nella storia, però, soprattutto dell'Occidente, a questi vantaggi si sono sommate una serie di conseguenze: per esempio, le democrazie sono “accoglienti”. Un esule trova più facilmente ospitalità in Francia che in Iran o in Burkina Faso. Inoltre, le democrazie si sono fatte culle dei diritti (al plurale): oggi giorno tutto quel che la società civile può inventarsi come desiderio collettivo può essere rivendicato come diritto. Si veda il dibattito sulle coppie omosessuali e, più ancora, quello sull'adozione di figli da parte loro. Nel mio libro sostengo che, a forza di chiedere diritti, le democrazie possono crollare».
 
Ricchissimo è il suo saggio di richiami agli autori della biblioteca classica sulla democrazia. Mancano le autrici. Come lo spiega? La democrazia non è "gioco"di donne ?
«Non so spiegare questo fatto se non pensando che, anche in campo filosofico (e scientifico), le donne si sono scontrate con la resistenza dei maschi. Si sa che le donne sono più immaginative e sottili; avrebbero costituito, potrebbero costituire, una concorrenza formidabile, anche in filosofia politica, per i maschi, di solito più schematici e piatti. Di fatto, fino ad Hannah Arendt non mi pare che nel pensiero politico appaia alcuna donna. Negli ultimi decenni le cose stanno cambiando. Dominique Schnapper, che mi onoro di avere per amica, è una delle studiose più rispettate del fenomeno democratico, per esempio».
 
Qual è il suo autore classico di riferimento e perché ?
«Non ho autori di riferimento, perché amo per regola ripensare i problemi dalla radice, e capita spesso che alla radice, se si riesce ad arrivarci, ci si ritrovi soli. Poi, le cose filosofiche, rispetto a quelle tecniche e scientifiche in senso stretto, hanno l'immenso vantaggio che morti e viventi convivono discutendo tra loro. Poco importa se Aristotele è scomparso duemila anni fa mentre Jurgen Habermas è vivente. Si impara da tutti e due, si criticano tutti e due, si discute con tutti e due».
 
Per spiegare la struttura di base del potere politico, fa riferimento ad un classico della letteratura per ragazzi: "Il signore delle mosche". Cosa intende affermare ?
«Il fatto è che Il signore delle mosche non è un libro per ragazzi, ma un libro che parla di ragazzi. E i ragazzi, come anche i bambini, non appena si incontrano, si osservano, capiscono una varietà di cose sulle relazioni tra di loro e creano immediatamente un … regime politico, sia pure effimero. Sanno cioè chi comanda, chi obbedisce, chi aiuta, chi esegue... Il libro di Golding contiene una perfetta situazione di questo tipo: un gruppo di ragazzi sfuggiti a un naufragio si ritrovano su un'isola deserta e devono decidere chi comanda. In pratica, è una rappresentazione perfetta della nascita della politica. Quelle pagine mi servono, nel libro, per mostrare che il potere, all'origine, non è affatto democratico».
 
Il tono di questo saggio é apocalittico o contiene margini per un'azione di salvataggio della pur fragile democrazia? E, se sì, questa azione da chi e con quali strumenti dovrebbe essere condotta? Con quali finalità ? Lei parla di un'élite . A che tipo di elite si riferisce? Agli intellettuali?
«Non è più apocalittico di un trattato di psichiatria infantile o di chirurgia del cervello. Descrive fenomeni e ne propone un'interpretazione. Il libro non è apocalittico, è solo analitico. Non è compito degli analisi suggerire soluzioni. Quello è un compito dei decisori, cioè dei politici. Però va detto che, passate le due generazioni di politici seguiti al Dopoguerra, non mi pare che in Europa ci sia più nessuno che guardi non solo ai problemi del presente, ma anche a quelli del futuro e soprattutto che abbia un orizzonte di domande sulle cornici generali. Del resto dagli inizi della globalizzazione i politici sanno bene che le grandi decisioni non le prendono loro, ma le grandi multinazionali industriali e finanziarie (spesso coincidenti), i cui bilanci sono superiori a quelli di tre o quattro grandi stati messi insieme, le quali sono in grado di produrre da sole governi e amministrazioni. Quando parlo di élite parlo chiaramente di gruppi di persone che abbiano queste visioni e queste preoccupazioni, non certo degli intellettuali, il cui destino storico è servire, anche se a volte criticando».
 
Scuola e democrazia: una coppia perfetta ?
«In astratto la scuola occidentale (europea) come si è disegnata dopo la guerra è un luogo perfetto di democrazia: aperta a tutti, multidisciplinare, laica, egalitaria, senza privilegi né esclusioni, preoccupata del recupero degli svantaggiati, gratuita o quasi, mirante a creare spirito critico e non indottrinamenti, sensibile (in parte) agli appelli della società e del mondo esterno... Una situazione teoricamente perfetta. 
Purtroppo la modernità, e in particolare, la tempesta delle culture giovanili ha distrutto questo schema. La scuola non ha elaborato questo fenomeno e perciò ha perduto la rotta. Cultura rock, droga, culto del corpo e sessualità precoce, nuove mode vestimentarie e bisogni di leisure, rifiuto dell'autorità e di tutta la sfera di ciò che appare “vecchio”, rifiuto della disciplina (in senso etimologico) e della lentezza, ricorrenti sferzate di vandalismo (materiale e concettuale)... tutto questo ha cambiato l'asse della scuola e l'ha allontanato dalla preoccupazione originaria. Come conseguenza, tra i più estranei alla dinamica democratica di oggi (salvo che per le pretese e le rivendicazioni di diritti) sono i giovani».
 
Mi sembra di aver colto una posizione scettica rispetto al potenziale democratico del Web del quale esso è portatore. Ho compreso male? Non le sembra fuori tempo?
«L'unica cosa democratica del web sta nel fatto che chiunque – un imbecille, un delinquente, un impostore, un maniaco , un semianalfabeta, oltre naturalmente a tutte le persone sensate che vogliamo – può venir fuori e dire la sua e avendo, in quel momento, la sensazione di contare qualcosa. Questo dà l'illusione di poter tutto, crea dipendenze, ebbrezze e pericoli, che riducono alcuni vantaggi indiscutibili, come quello di essere in contatto col mondo e di avere all'istante informazioni introvabili o nascoste.
Dal punto di vista politico, la rete non ha finora generato niente se non movimenti e aggregati occasionali. Ma, siccome molto dipende dall'intelligenza degli inventori di app, staremo a vedere».
 
Ogni paese è democratico a modo suo. Qual è la mentalità democratica dell'Italia?
«In Italia la democrazia si presenta come Fata Democratica, cioè come un'entità infinitamente paziente, benefica, munifica, alla quale si può chiedere tutto senza nulla offrire in cambio. Così la vedono i cittadini (che ad esempio si rifiutano da sempre di pagare i libri a scuola e i servizi sanitari anche basici) e così la vedono (checché ne dicano i buonisti) gli immigrati illegali, che scelgono l'Italia come meta sapendo bene di trovare ospitalità, vantaggi, assistenza, diritto penale generoso e altro, senza che nessuno gli ricordi che ci sono regole da rispettare».
 
Televisione: cattiva maestra sempre e comunque?
«La televisione una volta serviva a mostrare il mondo che non riuscivamo a raggiungere. Oggi, che raggiungiamo a basso costo qualunque posto (così contribuendo a distruggerlo), la televisione si fa in studio e mostra facce che parlano, politici che gridano e si insultano, pubblicità ad ogni istante, volgarità e scemenze senza pari, misture strampalate di film, videogiochi, spot. In politica, serve solo a creare personaggi, ma non trasmette (né può) nessun argomento solido per formare l'opinione pubblica (cioè i cittadini che vanno a votare), che è infatti più influenzata da X Factor che dalla lettura di un giornale».
 


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