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Il racconto - Una storia

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

30
OTT
2015

Quando, come ogni anno, ad agosto, i tribunali ridussero la loro attività, Guido e Luciana partirono per Parigi e la prima settimana scivolò via velocemente tra visite ai musei, Versailles e cene al lume di candela nel quartiere latino o sulla Senna, a bordo dei bateaux parisien. Il martedì della seconda settimana però, Luciana, stanca morta, chiese di rientrare in hotel per riposare: non riusciva a reggersi in piedi. Guido l’ha accontentò, ma scesi dalla metropolitana, già pentito, cercava di convincerla a fare sì una sosta, ma poi riprendere in serata il tour interrotto. Mentre si approssimavano all’hotel, con Luciana irremovibile, che scuotendo la testa ripeteva che per il resto della giornata voleva solo riposare, udirono dietro di loro: “Ma signora, ha ragione suo marito. Siamo a Parigi e lei vuole sciupare il tempo dormendo?”. Guido guardò prima Luciana, come ad aspettarsi da lei una risposta, poi entrambi si girarono per vedere di chi fosse quella voce. Era un signore di mezza età che con la moglie avevano già incontrato in hotel, sotto la tour Eiffel e in altri posti. Luciana, con la stessa disinvoltura dello sconosciuto, gli rispose che per quel giorno aveva solo voglia di dormire e solo dormire. Con quella coppia si incontrarono ancora in hotel, ma a Guido proprio non piaceva: la riteneva chiassosa e invadente. Un pomeriggio Luciana gli disse che la moglie di Walter, quel signore con cui avevano parlato all’uscita della metropolitana, le aveva chiesto se volevano passare una serata con loro, ma Guido, facendo una smorfia le fece capire che non sarebbe stato proprio il caso.

Finita la vacanza e ripreso il tran tran di sempre, Guido continuò a dividersi fra studio e tribunali e Luciana tra ospedale e visite private. Un giorno, rientrato prima in città perché un’udienza era saltata, e sapendo che Luciana era ancora impegnata in ospedale, pensò di fare un salto in centro. Stava per fermarsi quando al semaforo venne affiancato da una macchina con a bordo Luciana e quel Walter. Guido restò pietrificato al volante e poi seguì quella macchina sino al parcheggio di un hotel. Esterrefatto e incredulo si allontanò pensando a quanto fosse stato ingenuo a non capirlo prima: tutte quelle coincidenze, da Parigi a quelle telefonate smozzicate, quei ritardi dal lavoro. Appoggiato allo schienale del sedile, volle fare un ultimo tentativo per avere un’ulteriore conferma. Cercando di mantenere la calma, fingendo serenità e usando un tono di voce asettico, chiamò Luciana: < Ciao Guido > < Luciana, sono rientrato ora, novità? > < Guido già di ritorno? No, nessuna. > < Dove sei? > < In ospedale, c’è stata un’emergenza e sono dovuta rimanere, ma tra un po’ stacco e torno a casa. > < Tutto bene allora? > Insistette ancora Guido. < Sì, tutto ok. Ma perché questa domanda? > < Nulla. Io no so a che ora torno. > < Ma dove sei? > < In studio. Ho degli impegni urgenti da sbrigare. > < Fai pure, io appena finisco torno a casa, faccio la doccia e ti aspetto per cena. Sono stanchissima. > “Tutto bene allora. Non è successo nulla. Torni a casa a farti la doccia per toglierti di dosso le mani sudate di quel porco, vero?” Pensò, rimettendo in moto per arrivare a casa prima della moglie.” E ora che fare? Te lo dico io cosa fare, scemo. Devi aprire gli occhi. Anzi, dovevi aprirli prima. E’ un anno e forse più che quei due se la spassano sotto il tuo naso. Questa storia va avanti chissà da quanto tempo e tu non ti sei mai accorto di nulla. Nemmeno averlo sempre tra i piedi a Parigi ti ha fatto aprire gli occhi. Noo. Troppo stupido.” Arrivato a casa raccolse le sue cose e butto tutto i due borsoni che gettò nel cofano della macchina. Tornato in camera da letto per prendere altre sue cose, pensò che forse era salito anche li, in casa sua, e gli venne la nausea. Aperto il cancello della villa prese le chiavi di casa e le buttò tra le siepi: non gli sarebbero più servite. La sera, quando ormai si stava facendo tardi e Guido ancora non era rientrato, Luciana cominciò a cercarlo sul cellulare ma lo trovò spento. Provò a chiamarlo in studio ma il telefono squillava a vuoto. Chiamò anche la segretaria che le rispose di non averlo visto nel pomeriggio, l’avvocato aveva solo telefonato per dirle di rinviare tutti gli appuntamenti della giornata. Verso mezzanotte il cellulare squillò e Guido rispose. Fu una telefonata cruda, aspra e intervallata da silenzi e da singhiozzi. La loro storia era finita.

 

< Sì. Pronto. > Rispose Guido, sollevando meccanicamente la cornetta del telefono che teneva sulla scrivania. < Auguri. > Gli disse Luciana. < Ciao Luciana. Auguri di che? > < Oddio, non sai che giorno è oggi? > < Hai chiamato per parlarmi del calendario o hai qualcosa di più interessante da dirmi? > < Oggi è il tuo compleanno. Nessuno ti ha fatto gli auguri? Sono la prima? A quest’ora, possibile? > < No. Nessuno. > < Non festeggi? > < No. Stavo ultimando di esaminare un fascicolo, poi torno a casa. > < Guido perché non vieni da me? Il tempo per arrivare e io preparo il risotto con i funghi. Ti va? Ti è sempre piaciuto. > < Grazie Luciana, ma sono stanco e preferisco tornare a casa. > < Guido, io insisto. Non ci vuole poi molto per arrivare sin qui. Sei a due passi. > < Ti prego non insistere. Non me la sento e poi sono stanco. > < Guido, so che mi vuoi ancora bene. Ti sei confidato con nostri comuni amici e ho saputo che ti manco, e ti manco anche molto. E tu manchi a me. Perché continui a fuggire, a comportarti così? Continuiamo a farci del male, solo per orgoglio. Non potremmo provare a ricominciare? A tornare insieme. Ti prego Guido, rifletti su quello che ti sto dicendo. > < E’ vero. Ti hanno detto la sacrosanta verità: amo ancora Luciana. Ma la mia Luciana: quella che ho sposato, quella che mi è stata vicino nei momenti difficili. Quella che mi ha voluto bene. Quella... > < Guido ti voglio bene, anch’io. Te ne ho voluto e te ne voglio tanto. Non continuiamo a farci del male, ti prego. > < …Quella che mi è stata vicino. Quella che ho conosciuto tanti anni fa a scuola. Quella che sapeva dirmi le cose stando zitta. Quella che con ironia sapeva sdrammatizzare le cose. > < Ma quella sono io, Guido. Quella sono sempre io. > < No. Io mi riferisco alla mia Luciana, quella che ti ho appena descritto. > < Guido, perché non ne parliamo con calma. Ti aspetto, dai. Intanto preparo la cena, l’acqua già bolle. Il tempo che arrivi ed è subito pronta. > < Meglio di no. Buona notte Luciana e grazie per gli auguri. >

Erano passati due anni da quando si erano lasciati. Ora Guido viveva in un lussuoso appartamento del centro storico che un collega, fiutando l’affare, gli aveva venduto ad un prezzo da strozzino, ma la ferita gli sanguinava ancora. Chiusa la telefonata Guido accese la lampada da tavolo e si sedette alla scrivania. Preso un foglio bianco dalla stampante e dal taschino la sua montblanc, cominciò a scrivere:

Luciana carissima, scusami. So di darti un dolore, ancora un dolore, ma sono sicuro che non potrà mai essere come quello che provo io. Non posso fare altrimenti. Devo. Cerco di dimenticare per non impazzire. Sento di doverlo fare. Ormai, e lo sai anche tu, niente potrà essere come prima. So che mi ami, lo sento, e anch’io ti voglio bene. Ma né il tempo né l’amore che provo ancora per te potrà cancellare quello che ha distrutto la nostra felicità. Per me resterai sempre la stessa, la sola donna che abbia amato e che continuerò ad amare. Gli anni trascorsi con te sono stati dolcissimi e mai mi sarei aspettato una tua debolezza. Ora l’ombra del passato continua a tormentarmi, ed aleggia su di me come una scure e non riesco a dimenticare.

Te lo dico per non cedere all’ ipocrisia di un rapporto di facciata. L’amore che una volta ci ha uniti rimarrà sempre dentro di me come la più bella cosa che mi sia capitata. Ti ho amato da quel giorno, ricordi Luciana, quando mi chiedesti se potevo aiutarti in greco e latino, e da quel giorno siamo stati sempre assieme. Sei stata la mia vita, la mia sola ragione di vita. Ci siamo sposati ed amati, e poi? Poi solo tu puoi sapere cosa sia successo, perché io non lo so ancora, non l’ho capito. Quale sia stata la causa, la motivazione: trasgressione, voglia di evasione, senso di libertà, noia, io non so cosa ci abbia allontanati. So solo che la nostra felicità si è ormai smarrita, forse già, se non prima, in quella maledetta uscita dalla metropolitana sulla strada per hotel a Parigi.

Il tempo, spero, mi aiuterà a dimenticare. Ora no. Credimi, ho cercato, ho provato, ma invano di trovare la forza per ricucire i brandelli del nostro matrimonio, del nostro rapporto, a cercare di pensare alla mia Luciana, alla ragazza che ho sposato, ma non ci sono riuscito. Ho solo un rammarico: il tempo che abbiamo sprecato nell’incoscienza della nostra felicità. Un malinteso. Uno sbaglio. Voglia d’evasione, perché solo quella penso possa essere stata la causa, perché lo so, e lo sento, che mi vuoi bene. Ma ormai nulla potrà più cancellare il passato. Quando penso a te ricordo la ragazza spensierata di un tempo. Alla moglie serena ed affettuosa. Alla donna che ho sposato ed amato. Ora non riesco a vivere che di quei ricordi. Nel pensiero del passato. Scusami. Il tempo, sono sicuro, ci aiuterà a trovare quella serenità e magari la felicità che abbiamo smarrito a Parigi. Forse è solo dietro l’angolo, con il volto di un’altra storia.

                                                                                                                           Guido.



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