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Il Milite Ignoto/ «Per chi abbiamo combattuto?»

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

13
NOV
2015
“Quindicidiciotto”, uno straordinario monologo per ricordare la Prima Guerra Mondiale portato in scena, al Verdi di Martina Franca, dall’attore salentino Mario Perrotta. Il primo momento di unità nazionale raccontato da uno, mille soldati protagonisti di un conflitto causato da motivi tutt’altro che patriottici
 
 “Il Milite Ignoto – Quindicidiciotto” di e con Mario Perrotta ha aperto la Stagione Teatrale del Comune di Martina Franca: un’anteprima dedicata alla ricorrenza dei 100 anni della Prima Guerra Mondiale e a tutti coloro che persero la vita per il compimento dell’unità nazionale.
In una babele di dialetti, Perrotta concentra la sua attenzione sulle piccole storie di singoli uomini utilizzando il loro punto di vista; soldati provenienti da ogni parte di Italia vicini, nelle trincee, per la prima volta. In una interpretazione magistrale, con una padronanza esemplare del proprio corpo e della scena, in un monologo toccante, Mario Perrotta ricorda l’ultimo momento della storia in cui un militare ha avuto un qualche valore nel suo agire solitario. 
A margine della rappresentazione, che ha visto la partecipazione delle autorità istituzionali cittadine, abbiamo incontrato Mario Perrotta.
Possiamo definire il tuo un teatro di testimonianza: nel  2008 debutti  con Prima Guerra dedicato alla particolare posizione del popolo trentino nel primo conflitto mondiale e ora giri l’Italia portando “Il Milite Ignoto – Quindicidiciotto”. Tra l’altro sulla grande guerra hai realizzato altri lavori per la TV. Da dove nasce questo interesse per la Prima Guerra Mondiale?
«La Prima Guerra Mondiale è il primo momento storico in cui tutto il mondo si trova coinvolto nella cosa più stupida che ci sia: la guerra. Una guerra che coinvolgeva ragazzi di 17-18 anni sull’uno e l’altro fronte,  infatti anche lo spettacolo ‘Prima Guerra’ è dedicato al fronte austriaco ma di lingua italiana, ovvero i trentini e i giuliani di oggi. Anche ora siamo circondati da mille conflitti pertanto si tratta di un tema, purtroppo, sempre attuale su cui vale la pena riflettere come vale la pena ricordare che i veri motivi animatori delle guerre sono interessi economici e non patriottici».
 
Perché uno spettacolo sul Milite Ignoto? E come è cambiato il modo di concepire l’essere umano nella Guerra. 
«La Prima Guerra Mondiale ha una particolarità: chiude un periodo lungo di secoli in cui il soldato, quasi romanticamente, aveva un valore in guerra perché era l’uomo che compiva l’azione gloriosa, il gesto che poteva portare alla vittoria, l’atto eroico. In seguito, l’uomo smette di essere un essere umano e diventa uno strumento. Nella Seconda Guerra Mondiale arrivano i mezzi di distruzione di massa che portano gli uomini a divenire solo delle pedine, non più degli eroi, sempre se possiamo definire eroi coloro che combattono».
 
Un artista eclettico: attore di teatro di eccellenza, drammaturgo,  traduttore e sceneggiatore ma anche scrittore: chi è il vero Perrotta? 
«Sono tutti veri ma quello più vero di tutti è quello che sta sul palco, l’attore. E’ tutto in funzione dell’attore: io scrivo, dirigo, traduco in funzione di ciò che faccio sulla scena per cui se c’è un valore aggiunto che posso dare al mio mondo, quello del teatro, è quello che faccio in scena».
 
Fra i generi teatrali portati in scena (dai classici latini e greci, ai classici del teatro moderno)  quale preferisci?
«Io scelgo le storie, o scritte da qualcun altro o scritte da me, in funzione di quello che mi infastidisce nella vita: mi guardo intorno, guardo la società in cui vivo e se penso che il “Misantropo” di Moliere racconta molto bene un’epoca in cui c’era un sovrano assoluto e io lo metto in scena quando al governo c’è Berlusconi allora penso di raccontare molto bene la società che ha mandato al governo quell’uomo».
 
Quindi un teatro di denuncia…
«Il teatro, quando è fatto bene, deve essere un pungolo al potere e alle persone che governano che spesso sono un po’ addormentate; deve metterle davanti allo specchio ricordando loro la situazione in cui stanno vivendo. Se il teatro non fa questo perde la sua funzione».
 
I due premi Ubu 2011 e 2013, una sorta di Oscar del Teatro, ti consacrano come l’attore leccese fra i più grandi della tua generazione, il secondo pugliese a ricevere questo riconoscimento, dopo Carmelo Bene, leccese anche lui. In particolare l’Ubu 2013, come Miglior attore protagonista per “Un bès - Antonio Ligabue”, lo hai vinto con un’opera in dialetto emiliano. Possiamo dire che sei leccese di nascita ma emiliano di adozione? 
«Io sono leccesissimo, fino all’anima, fino al midollo però essendo un uomo di teatro utilizzo la lingua più adatta alla storia che sto raccontando. Il Milite Ignoto, ad esempio, usa tutti i dialetti d’Italia, lo spettacolo su Ligabue parlava di un emiliano quindi ho scelto proprio quella lingua».
 
Giri l’Italia lasciando le periferie leccesi ma a un certo punto decidi di riconciliarti alla tua terra con “un ritorno dell’anima” e nasce lo spettacolo La Turnàta in dialetto leccese e “Progetto Cincali” che racconta le testimonianze orali degli ex-emigranti salentini. Cosa è per te la Puglia, il Salento?
«La Puglia è assolutamente la casa dell’anima. Non ci sono tornato fisicamente perché purtroppo giro pochissimo al Sud e quindi non ha senso vivere a Lecce se faccio tournee da Roma in su ma casa mia è questa  e ogni volta che vengo qua e vedo questo sole, questi paesaggi, questo cielo e questa pietra ovviamente misi muove tutta l’anima. Ho adottato per quei primi spettacoli il mio dialetto, per gli spettacoli di inizio carriera prima di diventare ciò che sono ora».
 
 
Perrotta racconta Perrotta
L’artista racconta la sua infanzia salentine, tra "petruddhuli", mazzate di sopravvivenza (ma che sono servite) e la leggerezza dell'essere (per giocare a chi arriva più in alto)
 
Tutto ciò che segue è basato su fatti realmente accaduti e su rielaborazioni personali degli stessi, che sono anch'esse fatti concreti, se è vero che ognuno di noi non è solo ciò che ha fatto ma, soprattutto, come lo ha vissuto. 
Mario Perrotta nasce a Lecce nel 1970. Nella periferia della città (costituita da campi incolti e palazzi di sette piani) impara da piccolo: il gioco del pallone praticato sui "petruddhuli" ( pietriccio, ghiaino, materiale inorganico pre-urbano), il dialetto leccese (assolutamente vietato in casa con la madre ma non a casa dei nonni), le mazzate di sopravvivenza (forma di scontro fisico quotidiano, atta a dimostrare che non hai paura anche quando ce l'hai) e la leggerezza dell'essere (praticata arrampicandosi sulle impalcature dei palazzi in costruzione giocando "a chi arriva più in alto"). Dal 1975 al 1979 perde sistematicamente tutti i campionati annuali di pallone, di mazzate e di "a chi arriva più in alto" e intanto pratica con metodo il dialetto. Nel 1980, grazie allo sforzo profuso in precedenza, vince clamorosamente tutto il vincibile, raggiungendo, nell'ultima specialità della stagione (a chi arriva più in alto), il quinto piano della casa popolare in costruzione "cooperativa la Candida". Il record resterà imbattuto 3 anni. In casa con la madre impara l'italiano, le opere liriche e il teatro in lingua; con il nonno omonimo pratica il teatro in vernacolo; sui treni usati per raggiungere il padre a Bergamo viene affidato alle famiglie di emigranti di cui ricorda gli "sguardi da partenza"; sui treni usati per tornare a Lecce, sempre affidato agli emigranti, impara gli "sguardi da ritorno". In questo periodo è soprannominato Goldrake a causa di un vistoso apparecchio correttivo per i denti. Fondamentale in questi anni è la presenza della zia Zaira e dei suoi dischi: è in questo periodo che nasce la passione per tutto il trash italiano anni '50 - '70. Ferratissimo su Albano e Mario Tessuto approderà ai Led Zeppelin e più in generale al rock, solo negli anni '90. 
(continua su marioperrotta.com)
 


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