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Metodi e contenuti nuovi/ PER UNA SCUOLA DELLA QUALITÁ

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

29
GEN
2016
Edoardo Martinelli, allievo di don Lorenzo Milani, co-autore di “Lettera a una professoressa”, sollecita la riflessione dei docenti sulla necessità di cambiare la scuola. Il corso di formazione, condotto in rete dagli istituti scolastici di Martina Franca e coordinato dalla Scuola Media “Amedeo d’Aosta” ha fatto emergere la necessità di costruire insieme nuovi modelli didattici
 
“Chi ascolta dimentica, chi vede ricorda, chi fa impara”: lo leggiamo all’interno del libricino “Cambiare la scuola davvero si può- Lettera alla scuola” distribuito a tutti i docenti coinvolti dal professor Edoardo Martinelli (note biografiche nel riquadro), relatore del corso di formazione svoltosi nei giorni scorsi e che ha visto la partecipazione di ben sette istituti di Martina Franca (Istituto Comprensivo “Chiarelli”, Istituto Comprensivo “Giovanni XXIII”, Istituto Comprensivo “Marconi”, Istituto Paritario “Santa Teresa”, Liceo “Tito Livio”, IISS “Da Vinci”, ISS “Majorana”) coordinati dalla scuola-polo “Amedeo d’Aosta” e dalla Dirigente Scolastica Donatella Rossi. Lo stesso slogan lo ritroviamo come status sulla bacheca Facebookdi un ragazzo, C.M. Lui la scuola l’ha lasciata. Bocciato, per un anno non aveva frequentato, poi era ritornato ma si è trattato di un tentativo di breve durata: dopo meno di due mesi ha abbandonato definitivamente il percorso scolastico, anche perché aveva ampiamente superato l’età dell’obbligo, i fatidici sedici anni. Non sappiamo se C.M. ha trovato un’occupazione, quel che sappiamo è che se docenti (non tutti, in verità) e utenza scolastica condividono la necessità di una scuola attiva, che faccia “sporcare le mani”, è anche vero che la scuola resta una struttura rigida nella sua impostazione, un “dinosauro” – per usare l’espressione di Remo Rostagno, autore del saggio “Manifesto per una rivoluzione della scuola”, una “piramide”, ossia una tomba, metafora utilizzata da Antonio Scurati nel suo romanzo (attualissimo) “Il sopravvissuto” del 2005. Insomma un’istituzione che, nonostante le riforme (buone o cattive, non è questa la sede per discuterne) resta ancorata a modelli superati, anacronistici, perlopiù incentrati sulla “lezione frontale”. In sostanza l’impianto trasmissivo resta, come resta la separazione delle discipline, le classi organizzate per età, la scansione temporale, il sistema della valutazione e dei voti. Per non tacere dell’introduzione della tecnologia la quale, se non accompagnatada un serio ripensamento didattico, rischia di apportare più danni che benefici. Insomma, prendendo in prestito le parole Silvano Tagliagambe, filosofo della scienza ed esperto di modelli didattici non sarà certo il “bacio” della tecnologia a risvegliare la “bella addormentata”, ma un ripensamento complessivo dell’organizzazione scolastica, dei contenuti e dei metodivolti a incoraggiare spirito critico,  un approccio consapevole alla complessità del reale e l’integrazione fra i vari linguaggi: non solo la lingua scritta, ma anche l’audio, il video, l’immagine. 
Naturalmente a monte di tutto dobbiamo metterci passione e desiderio. Per insegnare, affermava Platone, c’è bisogno di eros, inteso come curiosità per il sapere e amore nei confronti di ragazze e ragazzi. E di eros nella Scuola di Barbiana don Lorenzo Milani ne ha trasmesso tanto: a testimoniarlo a Martina Franca è stato proprioEdoardo Martinelli, che con il Priore di Barbiana ha operato fianco a fianco. Egli infatti fu uno degli otto ragazzi che insieme a don Milani  scrissero “Lettera a una professoressa” (1967). 
L’esperienza del corso di formazione si è articolata in una fase teorica e in una laboratoriale nelle classi di tutte le scuole coinvolte. Al di là dell’immediata ricaduta sulla pratica didattica, l’esperienza con Edoardo Martinelli ci offre lo spunto per alcune riflessioni relative al nodo di fondo: di quale scuola abbiamo bisogno?
Non c’è dubbio che in un orizzonte di libertà e democrazia obiettivo della scuola è quello di favorire il libero sviluppo umano, respingendo l’idea di uomo asservito alla produttività economica. Diventa necessario perciò superare la visione dell’istruzione come unica soluzionealla disoccupazione, per farne piuttosto una  forza generativa,  propulsiva rispetto alla formazione di una società  aperta. Ed è qui che entra in campo l’aspetto didattico che privilegia l’apporto interdisciplinare dei vari assi culturali (quello dei linguaggi, della matematica, scientifico-tecnologico, storico sociale), che convergono  su due binari fondamentali: la comunicazione e la relazione. Il percorso della scuola non può essere subordinato alle pretese dell’economia ma deve puntare alla costruzione di personalità e possibilità di esistenza capaci di confrontarsi e interagire, di vivere il lavoro come parte di sé e come acquisizione di cittadinanza. Fondamentale pertanto è la formazione di cittadini consapevoli della loro appartenenza a un insieme sociale e in grado di leggere criticamente informazioni e dati, di confrontarsi con il corpo vivo delle scienze e delle arti, di farne un’esperienza concreta, un “compito di realtà” – com’è stato affermato dalla Dirigente Donatella Rossi.
Lo stato di torpore, demotivazione, sfiducia del sistema scuola attuale richiede un progetto educativo coraggioso ecreativo, un progetto che contrasti la paura diffusa. “Chi ha paura non può educare” affermava lo psicanalista Erik   Erickson.  
Ci sembra utile segnalare pe lo sviluppo delle riflessioni che stiamo conducendo la lettura del recente saggio “Dare corpo- Idee scorrette per una buona educazione” (in formato ebook- Ed. Graffi) nel quale l’autrice, Ornella Martini, professore associato all’università Roma Tre, dove insegna Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento e scrittura di rete per la formazione degli adulti, anche riallacciandosi all’esperienza di don Lorenzo Milani, sottolinea la necessità di rifondare i campi del sapere e dell’agire partendo dai principi di: “concretezza, interesse, buon senso, spirito di osservazione, condivisione”, tenendo conto che ogni “esperienzariceve qualcosa da quelle che l’hanno preceduta e modifica in qualche modo la qualità di quelle che seguiranno” e che per “pensare, imparare, creare, scegliere, lavorare, bisogna fare.” Ornella Martini scrive: “Siamo abituati a pensare che un sistema per funzionare bene, debba essere organizzato in modo preciso e ripetibile”: la sua proposta va nella direzione opposta, quella di un’educazione libera, creativamente indisciplinata,che permetta a tutti di esprimere il proprio potenziale nel migliore dei modi, facendo  emergere le  attitudinidei singoli in contesti reali e anche casuali, perchè a ciascuno venga offerta la possibilità di “guardare al mondo con i loro pensieri, di stare al mondo con i loro corpi, rendendosi responsabili del loro fare  e pensare.” Pertanto, compito dell’educatore è quello di “conoscere in concreto quali sono le condizioni che facilitano le esperienze che conducono alla crescita.”Alla luce di queste considerazioni, l’esigenza dell’autonomia e della libertà del corpo e della mente impone un nuovo approccio al mondo e ai saperi. 
Altro punto nevralgico è la necessità di individuare modelli didattici che promuovano una conoscenza dei problemi globali fondamentali e di innestare su di essi le conoscenze particolari, specifiche, locali. Si tratta di un metodo che permette di cogliere le mutue relazioni e le reciproche influenze fra i vari campi disciplinari. La complessità risiede appunto in ciò.  Da questo deriva la necessità della cooperazione  tra docenti, dell’abbattimento degli steccati fra le discipline. Conoscere è, in un anello ininterrotto, separare per analizzare e collegare per sintetizzare. L’impianto rigido delle discipline ci fa perdere l’attitudine a collegare, a contestualizzare, cioè a collocare un’informazione o un sapere nel suo contesto naturale. La separazione fra cultura umanistica e la nuova cultura scientifica ostacola l’integrazione fra i saperi. Quando Pascal affermava “ritengo impossibile conoscere il tutto se non conosco le parti, né conoscere le parti se non conosco il tutto”, sottolineava l’esigenza di una conoscenza circolare. Ed Edgar Morin nel suo saggio “Insegnare a vivere, manifesto per cambiare l’educazione” ci fa un esempio: “quando facciamo una traduzione da una lingua straniera, cerchiamo di cogliere un senso globale provvisorio della frase; conosciamo qualche parola, controlliamo nel dizionario; le parole ci aiutano a immaginare il senso della frase, la quale ci aiuta a fissare il senso delle parole, a farle uscire dalla loro polisemia per dar loro un senso univoco. Attraverso questo circuito arriviamo, se ci riusciamo, ad avere la buona traduzione.” E sempre Morin, utilizza l’immagine del maestro o professore, come “direttore d’orchestra”. Egli non è il dispensatore delle conoscenze: “una volta fissato il tema di un compito o di un’interrogazione orale, sta all’allievo trarre da Internet, dai libri, dalle riviste e da tutti i documenti utili la materia del compito o dell’interrogazione e presentare il suo sapere all’insegnante. E quindi sta a quest’ultimo, vero direttore d’orchestra, correggere, commentare, apprezzare l’apporto dell’allievo, per arrivare, nel dialogo con i suoi allievi, ad una vera sintesi riflessiva del tema trattato.”
Concludendo: le proposte non mancano, si tratta di mettere le mani in pasta e sporcarsi, perché, prendendo in prestito il titolo di un libro di don Milani: “A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca”?
 
 
 


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