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MADRI

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

18
FEB
2016
“Ecco le madri / le levatrici/ la macchina che rinnova il mondo/ indifferente a guerre/ terremoti, incendi/ cataclismi. / Niente la ferma/ niente l’ha fermata. 
(Erri de Luca)
 
Questi versi meravigliosi sono lì, nelle ultime pagine del libro “Madri” di Antonia Chiara Scardicchio.
La scorsa settimana ci eravamo intrattenuti con “lo scrittore del decennio” e ritrovarlo nel “libro sottile” che avevo tra le mani e che leggevo, avidamente con interesse e coinvolgimento, è stato come scoprire o forse confermare che la scrittura, come la lettura, hanno un filo conduttore, quel “fil rouge” che ci porta parola dopo parola, rigo dopo rigo, anche, alla conquista di un mondo senza confini, alla scoperta di vissuti, di emozioni, di momenti di dolore, presenza di ferite,  rabbia,  coraggio, misericordia,  gratitudine,  poesia,  danza….tutto questo, e tanto altro ancora, nelle pagine di “Madri”.
L’autrice di questo “piccolo gioiello. Semplice, delicato, intenso” è Chiara, ricercatrice, formatrice e docente universitaria, ma soprattutto mamma di Serena, una bambina con un “grave ritardo mentale con tratti autistici”.
“Durante la gravidanza avevo comprato kili di libri di fiabe, un sacco di quaderni, diari e quadernetti: immaginavo fiumi di parole, a scrivere di lei e per lei…invece non c’era più niente da fare, più niente da dire, più niente da scrivere.”
Chiara si chiede perché, e osserva: tante sono le madri che si ritrovano a lamentarsi solo perché il proprio figlio non corrisponde all’immagine che si erano fatte di lui, madri  “addolorate per principio per statuto, per identità aprioristica, non a posteriori: mamme addolorate a prescindere”.
Mamme che chiamano ingratitudine quella che è semplicemente la libertà di un figlio di essere se stesso e non lei.
Nel momento in cui nasce Serena “solo io soffrivo davvero: tutti gli altri dolori del mondo mi sembravano quisquilie. Con tutto il rispetto per l’indice variabile di sensibilità personale, la mia è una Disgrazia Vera. Roba da podio nella classifica delle disgrazie universalmente riconosciute come tali”.
In questa classifica non è sola ci sono tante mamme con “figli senza parola, con figli da amare senza domande. Figli faticosi”. Ma, sono proprio loro che invece di addolorate si presentano come coloro “il cui sorriso sapeva di una gioia più ardita”.
“Madri che mi hanno insegnato a benedire, persino la disgrazia e a trasformarla, miracolosamente, in grazia, madri fiere[…] che guardano e pensano: che bellezza!
Cieche? Chissà a me sono sembrate lungimiranti”.
“E’ da loro che ho imparato a ri-guardare mia figlia, a trasfigurare la catastrofe, a capire che da quel limite fioriscono nuovi apprendimenti, nuove possibilità, nuova vita!”.
Madri risorte, “il cui dolore è stata la penultima parola”.
Così come disgrazia per Chiara non è l’ultima parola, lei ama “resilienza”: capacità umana di affrontare le avversità della vita, superarle e uscirne Rinforzato o, addirittura, Trasformato. (Grotberg)
“Abbiamo  bisogno di urti, di scuotimento, di rivoluzioni. La vita ha bisogno di conflitti”, di paure.
“La fuga dalla paura, paradossalmente la potenzia, la moltiplica. Dovremmo educare a non aver paura della paura, a stare nell’inquietudine del non compreso, nella fragilità, […] prego Dio di proteggermi dal quieto vivere”.
Chiara smette di chiedersi perché, e pensa che abbiamo bisogno di persone come la sua bambina che ci insegnino cosa, in realtà, vale. 
La sua bambina “dalla tenerezza muta e dall’allegria senza parole, sono la mia scuola di felicità. La felicità fatta di piccole cose e senza lei non l’avrei mai saputo”.
Ho conosciuto Chiara: il suo sapere, il suo sorriso, la sua vitalità, mi hanno conquistata, prima ancora del suo libro, che ora stringo tra le mani, e che parla “di una vita che stupisce, di  stra-ordinari  miracoli, di persone che pur stordite e loro malgrado ubriacate di dolore, non hanno ceduto alla perdita di sensi e di senso…e si sono rimesse in piedi-e in danza”.
La madre è/ “opera a catapulta,/scaraventa vita/ nel pianeta”. (Erri de Luca)
 


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