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Incontri/ Abbattere i pregiudizi a colpi di matita

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

9
GIU
2016
Ha scelto di indossare il velo, anche se l'Italia è ormai la sua casa.  Ora si occupa di integrazione e di creare un legame fra la sua cuktura d'origine e quella adottiva. La sua unica arma: il disegno
 
Takoua Ben Mohamed è una giovane fumettista e graphic journalist tunisina di nascita e italiana di adozione. Oggi vive a Roma e studia  presso  l'Accademia di cinema d’animazione e arti digitali di Firenze. Dopo otto anni di vita a Douz si trasferisce in Italia per raggiungere suo padre, ex rifugiato politico. Il suo percorso migratorio non è diverso dal viaggio della speranza di molte persone  che ancora oggi raggiungono le nostre coste ma, al contrario di  molti, lei è stata fortunata. Ha ideato  il "fumetto intercultura" per combatte stereotipi e pregiudizi a colpi di matita, un  progetto che cerca di veicolare messaggi umani, culturali e sociali, partendo dal presupposto che il  dialogo tra diverse culture e religioni deve essere visto come una risorsa, arricchimento reciproco e possibilità di crescita individuale e sociale, mai come minaccia. Occorre  imparare a conoscere e osservare altre realtà senza caricarle di quell’etnocentrismo che fa una razza, una cultura superiore rispetto all'altra e  la graphic novel è utile per aprire la mentalità abbattendo i muri di pregiudizi e stereotipi e contrastando Islamofobia e paura del diverso, costruendo un vero ponte fatto di dialogo e integrazione.
Takoua Ben Mohamed, come nasce il  progetto "fumetto intercultura" e quali messaggi umani, culturali e sociali diffonde?
《Il mio approccio con il fumetto è iniziato a 14 anni con la prima storia “Me and my hijab” esposta in un evento multiculturale a Roma ma disegno da sempre. Dalla Tunisia ho portato con me solo una cosa, la mia passione per il disegno. Sono arrivata in Italia all’età di otto anni, insieme ai miei fratelli e mia madre per raggiungere mio padre esiliato qui, per via della dittatura che c’era in Tunisia. Già dall’età di dieci anni, imitando la mia famiglia, ho iniziato a essere attiva nelle associazioni di volontariato giovanili e umanitarie e  qualche anno dopo ho trasformato questo attivismo in quello che è il progetto de “il fumetto intercultura”; un progetto di comunicazione innovativa, il graphic journalism e di sensibilizzazione a tematiche attuali,  dando risalto all’importanza della cultura e dell’intercultura. Un linguaggio basato sull’arte visiva e sulla semplicità del linguaggio, utilizzando strumenti giornalistici. L’idea era di mio padre che ha appoggiato molto questa mia passione, insieme alla mia famiglia.  L’ironia è una chiave fondamentale quando parlo di musulmani, in modo particolare della  donna velata, occidentali stranieri e seconde generazioni che vivono in occidente. Racconto  la quotidianità  e gli effetti di una politica e di un linguaggio mediatico che porta a scene di islamofobia e a volte anche di radicalismo. Per  tematiche come i diritti umani, violazione delle libertà e violenza contro la donna uso un linguaggio abbastanza serio. Il tutto basato su storie vere ed esperienze vissute da persone reali, a volte anche esperienze personali. Spesso veniamo bombardati da informazioni mediatiche che portano molto spesso confusione a chi non ha la possibilità di approfondire andando oltre alla notizia. E  queste informazioni hanno delle chiavi che difficilmente si possono decifrare, oppure si utilizza un linguaggio complicato, che quindi non arriva a tutti. Ho scelto il  fumetto  per la sua semplicità, tutti possono comprendere molte cose, quindi avere più empatia leggendo un fumetto che rispecchia una realtà e allo stesso tempo trasmette un’informazione. Personalmente non ho mai studiato fumetto, l’ho imparato da autodidatta, ora mi sto specializzando in accademia di cinema d’animazione e studio giornalismo per non fermare il progetto solo al fumetto ma portarlo anche al cinema d’animazione. Ciò che voglio raggiungere attraverso queste tecniche di comunicazioni sono le persone, appunto, irraggiungibili. Quelle che sembrano disinteressarsi a certe tematiche, ma con il fumetto e il cinema è facile risvegliare il loro disinteresse,  non voglio assolutamente cambiare le opinioni delle persone, ma voglio far sentire la mia voce e quella di centinaia e magari creare una possibilità di confronto》.
Dopo otto anni di vita a Douz si trasferisce in Italia per raggiungere suo padre, ex rifugiato politico. Cosa vuol dire essere costretti a fuggire dalla propria terra per raggiungere la salvezza?
《Sicuramente vivere sotto una dittatura non è stato per nulla facile. Oppressione continua, mancanza di libertà di ogni genere, carcere e torture, esclusione sociale ed in fine esilio.  Inizialmente è arrivato papà come rifugiato politico qualche anno prima di noi. Poi dopo qualche anno, nel 1999, lo abbiamo raggiunto essenzialmente per conoscerlo, nel mio caso, e rivederlo dopo otto anni di separazione. Alla fine  a causa della grande oppressione e delle persecuzioni, e soprattutto la separazione da mio padre e considerando che in Tunisia era diventato difficile tornare, siamo rimasti qui a vivere e non siamo più tornati in Tunisia fino al 2011, con le primavere arabe. In Italia ci troviamo bene, abbiamo acquisito una cultura  ricca, una doppia identità, doppia appartenenza culturale. Ora se dovessi tornare in Tunisia, lo farei  definendomi italiana, ma purtroppo questo non vale in Italia, in Italia sono vista come Takoua la tunisina》.
Da quando si trova in Italia ha sempre incontrato accoglienza e integrazione? Il suo essere attivista e combattere per i propri diritti è stato mai frainteso?
《Sono stata sempre attenta a non essere fraintesa, ma capita perché da un lato c'è  chi pensa che vorrei "islamizzare" il Paese e chi invece dall'altro lato di essere ormai  "occidentalizzata". Ma questo non crea nessun effetto sul mio lavoro, perché  esprimo  la mia libertà e il mio pensiero personale》.
Nel suo paese d’origine, la Tunisia, come è stato accolto Fumetto Intercultura? Ha incontrato ostacoli la sua libertà di espressione e di pensiero?
《Sicuramente dopo il 2011 non ha riscontrato ostacoli di libertà di pensiero. Prima della rivoluzione del 2011 non avrei potuto  scrivere sulla Tunisia, in quel periodo avrei riscontrato parecchi problemi anche e soprattutto di libertà di pensiero. Il fumetto intercultura è stato accolto con interesse anche lì, con  incoraggiamenti ricevuti da politici tunisini e dall’ambasciata tunisina a Roma, con qualche riconoscimento anche dalla comunità tunisina in Italia.
L’interesse dei media c’è anche in Tunisia ed altri paesi sia europei,  come Inghilterra,Irlanda,  Portogallo, Francia ma anche fuori dall'Europa come Agentina, Malesia, Kuwait ecc》.
Il dialogo tra diverse culture e religioni deve essere visto come una risorsa e arricchimento reciproco. Quanto la graphic novel è utile per aprire la mentalità abbattendo i muri di pregiudizi e stereotipi e contrastando Islamofobia e paura del diverso, costruendo un ponte fatto di dialogo e integrazione?
《L’impatto che ha il fumetto sulle persone è impressionante, le persone leggono  volentieri un fumetto, l’arte attira, non solo per il disegno ma anche per la semplicità del linguaggio che viene utilizzato nel raccontare.  Nella mia  esperienza mi son trovata di fronte lettori che non condividono assolutamente il mio pensiero ma hanno letto volentieri i fumetti. Non cerco di cambiare le opinioni delle persone, cerco di farmi ascoltare, parlando e dialogando. Si tratta di un modo per favorire l’integrazione senza dimenticare le origini e la ricchezza culturale che si eredita. Conoscere e conoscersi è importante per convivere e  abbattere muri di pregiudizi e stereotipi》.
Il suo primo fumetto, scritto a soli 13/14 anni, parlava del velo e del pregiudizio. Lei ha scelto di indossare il velo all’età di 11 anni, esattamente un anno dopo l’11 settembre 2001. Cosa vuol dire per lei indossarlo?
《Quel fumetto "Me and my hijab" illustrava la paura di una ragazza che  aveva deciso di indossare il velo in contesto occidentale, dei pregiudizi ma soprattutto era focalizzato sulla sua migliore amica, italiana non musulmana, che nonostante non conoscesse nulla del velo e dell’Islam  aveva appoggiato la scelta della sua amica. Personalmente ho avuto libertà di scelta di indossare il velo, un anno dopo l’11 settembre, per motivi religiosi ma anche per attivismo, perché in quel periodo ci furono molti episodi contro la donna musulmana, un effetto in parte del terrorismo e in parte del  cattivo  uso del linguaggio mediatico quando si parlava di terrorismo. Sono contraria a chi obbliga la donna ad indossare il velo,  ho imparato e mi è stato insegnato che non c’è imposizione nella religione,  il velo obbligato non ha nessun significato per chi lo indossa, neppure per chi lo obbliga, quando si fa una cosa  liberamente, senza imposizioni, si  dà  valore alla cosa che si fa, alla scelta che si prende》.
I social media influenzano molto il suo lavoro. Ritiene questo mezzo efficace per far conoscere il suo pensiero e per confrontarsi sulle tematiche molto delicate che tratta? Secondo lei è più facile arrivare così alle nuove generazioni che vivono il contesto di multicultura  ed intercultura?
《Sicuramente hanno influenzato molto il mio lavoro, in modo positivo, ma dipende  sempre da quale uso si fa dei social media. Ormai le nuove generazione sono tutte social e anche molto creative, piace soprattutto l'innovazione nella comunicazione. Una qualità del graphic journalism e del fumetto intercultura è che fino ad ora ho sempre  pubblicato con redazioni online》.
Progetti per il futuro?
《Ho  iniziato alcuni progetti nel cinema e nel teatro come sceneggiatrice, una sorta di evoluzione del fumetto intercultura, collaborando con dei registi e delle produzioni e  sto finendo il primo libro cartaceo su tema di terrorismo, linguaggio mediatico, islamofobia e radicalismo》.
 

 



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