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ISABEL TURISTA TRA I TRULLI

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

9
GIU
2016
Spirito indipendente, amo della vita i suoi aspetti infiniti, la gioia, il piacere, l’azione e quanto ne deriva. E la mia curiosità di conoscere, sapere e amare è infinita. Queste sono le mie caratteristiche di fondo, l’essenza di me. Il suo contraltare? Una assoluta solitudine interiore.
La mia avventura prese le mosse in un comunissimo pomeriggio domenicale, suunavia di un borgopugliese che sembrava ripreso dagli appunti di un sensibile turista, immerso com’era nella sonnolenta festività e tuttavia splendente in quel contrasto di luci e colori barocchi.
Erano circa le tre del pomeriggio ed ero uscito in quel momento dalla trattoria dove con alcuni amici avevo pranzato. Ero andato via prima perché stanco di quell’ininterrotto e fastidioso vociare che proveniva dai tavoli vicini. Così, accampando una scusa qualsiasi, mi congedai da loro e, senza una meta precisa, mi inoltrai tra le viuzze di quelcentro storico,alla ricerca di un bar aperto.
Assorto nei miei pensieri e con gli occhi fissi sul selciato, non mi accorsi subito che una signora elegantissima era seduta su una panchina e mi stava osservando. La mia attenzione venne richiamata però dal suo cagnolino che,dimostrando comunque una certa benevolenza nei miei confronti più che un’aperta sfida, con una salva di acuti guaiti mi si lanciò contro e quando mi raggiunse cominciò ad annusarmi. Mi arrestai, e in quel momento vidi la signora che si stava alzando per venire verso di me,e prendere in braccio il cane.
« Mi scusi. Non lo fa mai con nessuno. Non so perché con lei si sia comportato così. »
Mi disse, mentre tenendolo in grembo si era di nuovo accomodatasulla panchina. Io le feci un cenno di circostanza e intanto decisi di sedermi anch’io sulla stessa panchina.
Figura altera,elegantenel suo abito nero, con grossi occhiali scuri che le coprivano gli occhi e in testa un cappello a larghe tese, dello stesso colore dell’abito, mi dava quasi un senso di soggezione.
« E’ suo questo cagnolino, signora? »
Le chiesi, più per rompere il ghiaccio che per interesse verso quell’ammasso di peli.
« E’ mio, ma come vedeper leiha assunto un notevole interesse. »
« Potremmo fare a metà. E’ una bestiolina così adorabile. »
Replicai, consapevole della stupidità delle mie parole. Lei abbassò la testa e continuando ad accarezzarlo sembrava pensasse: “guai a chi me lo tocca”. Comunque sia, anche se non sapevo da che parte cominciare, invece di sciupare il tempo in ragionamenti e frasi senza senso, cercai un argomento che potesse coinvolgerla.
« E’ qui in vacanza, signora? E’ una turista? »
Le chiesi, mentre allungavo una mano per accarezzare il cane che teneva sempre in grembo.
« Sono una giornalista e storica dell’arte, e sono qui per raccogliere delle testimonianze storico-visive dei luoghi.Il lavoro mi è stato commissionato da una rivista inglese che si occupa di itinerari turistici. »
« E rimane qui molto? »
Domandai, continuando ad accarezzare la bestiola. Lei mi rispose che ne aveva ancora per una settimana o poco più e poi, indicando con un dito il libro che avevo appoggiato sulle mie ginocchia, mi chiese il titolo.
« E’ una biografia di lord Byron.»
Le risposi. E così, pensando di aver trovato l’argomento giusto di conversazione, mi misi a parlare di libri, ma ben prestodovetti ammettere che ne sapeva molto più di me perché, dimostrando una conoscenza di titoli e autori straordinaria, mi stava sovrastando di parecchio.
E così, anche se spesso mi smarrivotra i meandri delle sue parole e tra i titoli dei libri che snocciolava, cercai di assecondarla perché volevo dimostrarle che anch’io ero all’altezza della conversazione. Ma inutile, mi stavo arrampicando sugli specchi e allora cercai di cambiare argomento, poi,quando si alzò e stava per salutarmi, la imitai e le chiesi se potevo fare un pezzo di strada con lei. Lei mi disse di si e camminando mi parlò del suo lavoro e di come si svolgeva.
« Mi piacerebbe accompagnarla e osservarla mentre scatta le sue foto signora.»
Le buttai li, non senza faccia tosta.
« Guardi che non è nulla di eccezionale, sa. Prendo la mia macchina fotografica, il blocchetto degli appunti, il registratore e vado in giro. Il resto viene da se e il lavoro vero e proprio, quello importante,lo svolgo poi, al chiuso. A casa. »
Io le risposi che anch’io ero appassionato di fotografia e che comunque mi avrebbe fatto piacereosservarla, apprendere il suo metodo di lavoro. Lei si fermò un attimo a guardarmi e poi, riprendendo a camminare,mi invitò a memorizzare il suo numero.
« Se domattina è ancora di questa idea. Cioè, se vuole veramente venire con me, mi chiami. Le indicherò dove intendo andare. »
Io non persi tempo e feci come mi aveva suggerito e una volta memorizzato il suo numero feci anche partire la chiamata, più per farle avere il mio di numero, che per essere sicuro di aver trascritto bene il suo.
Davanti a un bar ci fermammo a prendere un gelato e poi,giunti ai piedi di una scalinata, dicendomi che lei era arrivata,mi salutò. Ecosì, come era comparsa, la vidi dissolversisull'ombrosa scalinata che portava al suo hotel.
Non aspettai il mattino successivo per inviarle un messaggio. Con la scusa di augurarle la buona notte, lo feci la sera stessa. Lei non ne fu sorpresa e così continuammo a messaggiarci. Messaggi brevi, a volte sintetici, a volte scritti usando parole che volevano significarne altre. Poi, inaspettatamente, con lo stesso mezzo, mi informò che per il mattino successivo sarebbe stato meglio rimandare;lasciar perdere. Lei doveva uscire presto e non poteva aspettarmi. In più sarebbe stata fuori tutto il giorno. “ Sarà per un’altra volta”, concluse. Io smisi di inviarle messaggi e composi il suo numero per dirle a voce che l’avrei raggiunta a qualsiasi ora, dove si sarebbe trovata, dove sarebbe andata, che avremmo potuto tranquillamente trascorrere la giornata assieme emagari pranzareancheassieme. Ma alle mie insistenze lei sembrò irrigidirsi ediventare sempre più sfuggente. Infine mi chiese come mai non avessi nulla di meglio da fare, se non avessi un lavoro. Le risposi che il lavoro ce l’avevo, che aiutavo mio padre nella gestione delle attivitàcommerciali, ma che se mi fossi assentato per un giorno non sarebbe stata la fine del mondo. Ma lei, sempre gentile ma altrettanto decisa, continuò ad accampare scuse su scuse e allora la misi sul melodramma:
« Ma come signora, mi vuole negare il piacere di sentirla dire un si. Possibile che niente riesca a piegarla, a scalfire il suo cuore? Da quando ci siamo conosciuti io non faccio che pensare a lei, e lei? Lei invece insiste col negarmi il piacere della sua vicinanza, la soddisfazionedi poterle stare accanto e godere della sua bellezza, assaporare il suo profumo; di comportarmi come il suo più devoto dei suoi staffieri. Ma che amicizia è mai questa, che pure ammette che esista tra noi, se non riesce a penetrare la muraglia che lei ha voluto innalzare contro di me? Pretende forse, signora, che questo giorno muoia portando con sé le speranze che aveva recato? Non è giusto. »
Conclusi, sperando, se non di averla convinta, almeno di averle strappato un sorriso. Ma non un sorriso le avevo strappato, ma una sonora risata.
« Ma come parla? Mi sembra di sentir parlare il visconte di Valmont. Lo conosce, vero? Dovrebbe conoscerlo, l’autore di questo libro è Laclos, morto a Taranto all’inizio dell’800. »
Anche di questo libro sapeva tutto. Silenzio imbarazzante da parte mia e stavo per aggiungere che non sapevo nemmeno chi fosse questo Laclos, quando volle chiarire:
« Il visconte di Valmont è un personaggio de“ I Legami Pericolosi”,di Laclos, appunto. »
Il libro lo avevo letto, ma poiché mi ero accorto che parlandomi di questo visconte si era rianimata, cercai di cavalcare l’ondae le dissi che non ne avevo mai sentito parlare e proseguii:
« Le ripeto che non so chi sia questo Valmont e Laclos. Ma ho l’impressione che lei, signora,voglia parlare di loro per impedirmi di parlare di noi. Ma dove trovare la forza di ubbidirle? Lei finge amicizia, ma non vede che è lei stessa a provocare il male che mi sta rimproverando. Forse le parole che dico non la ispirano, ma come trovare il modo per convincerla, signora?»
Lei scoppiò in un’altra sonora risata e poi concluse :
« E insiste col dire di non conoscere questo libro? A me sembra che lei lo conosca a memoria. Comunque ora si è fatto tardi, mi dispiace, ma devo chiudere. Domattina devo alzarmi presto, ma verso le sette, andrò a prendere un caffè nello stesso bar dove abbiamo preso il gelato questo pomeriggio. »
In Puglia ci restò ancora una settimana e io presi l’abitudine di accompagnarla nei suoi itinerari che giorno dopo giorno assunseropiù le sembianze di allegre scampagnate che una vera e propria ricerca di luoghi ameni da documentare.
Seppi poi che il suo arrivo e il soggiorno in Puglia era da collocarsi nel clima di crisi in cui versava il suo matrimonio. Scappata dal marito dopo l’ennesima sfuriata di quest’ultimo e arrivata in Puglia, si era rinchiusa nella suacamera d’albergo, ma poi aveva reagito a quell’inedia che la stava tormentando e si era tuffata anima e corpo in quell’impresa che non le aveva commissionato nessuno e che svolgeva solo per distrarsi e soprattutto per dimenticare le scenate di gelosia che il marito, forse a ragione, le propinava ogni volta che rientrava da un viaggio.
Accantonati idissidiche la opponevano al marito esicura di trovare un editore disposto a pubblicare quella sorta di vademecum turistico, si era prefissata comunque di portarlo a termine.Ogni giorno sceglieva un itinerario nuovo. Ogni giorno ci si allontanava un po’ di più per andare alla ricerca di trulli, mare, masserie e uliveti, non ancora esplorati.
Era la stagione dei colori intensi, in cui la campagna emanava una fragranza di fiori selvatici, di erba tagliata e destinata al foraggio, e il maremandava una leggera brezza che accarezzava le foglie degli ulivi e piegava lievemente le spighe di grano. 
« Non stupirti Isabel se ti dico che tu conosci questi posti e la Puglia meglio di me, che ci sono nato e ci vivo. »
Le dissi un pomeriggio afoso, in cui stremato mi ero sdraiato sotto unulivo, mentre lei continuava a scattare foto e a prendere appunti.
« Ragione di più per continuare a viaggiare ed imparare. »
Mi rispose, staccando per un attimo l’occhio dall’obiettivo e girandosi sorridente verso di me, poi aggiunse:
« Non so tutto, e come Socrate posso dirti solo che so di non sapere.»
Isabel, scattò ancora qualche foto e poi venne a sedersial mio fianco, sotto l'albero secolare.
« Eccomi qui Lorenzo. Per oggi basta fotografare,perché voglio dirti quanto mi senta felice di stare qui con te. Con te stobene e orami sento anche più sicura.E questo lo devo solo a te. »
E dicendomi così,abbandonò la macchina fotografica ai suoi piedi e mi abbracciò. Era l’abbraccio che avevo sognato allungo e, avendolo vissuto tante volte nella fantasia, in quel momento dovetti compiere uno sforzo per convincermi che fosse vero: il suo profumo, la risonanza profonda delle sue parole contro il mio orecchio, il calore del suo corpo che percepivo attraverso la stoffa, il pulsare ritmico del mio cuore contro il suo seno e …Un istante dopo le nostre labbra si cercarono e si unirono. La realtà inattesa, il sapore delle sue labbra, le sensazioni travolgenti che avevo cercato di immaginare, ma che trascendevano la fantasia, mi stordironoe tutto si mise a girare intorno a me. Erosospeso nel vuoto e per me ora non esisteva che quel bacio, che lei.
Ma d’improvviso Isabel allontanò le labbra.
« No, non posso. Non voglio trascinarti nel vuoto, nel nulla che mi circonda. »
Brancolando mi staccai da lei, appoggiai la schiena al tronco dell’albero, chinai la testa e fissando la terra, chiesi: 
« Perché Isabel? Cosa significa tutto questo? »
« Significa che mi sono accorta di essermi innamorata di te e non voglio. Non posso lasciarmi andare. Non ne ho il diritto. Se ci lasciassimo andare, non so dove ci condurrebbe questa avventura. Dove andremo a finire?In fondo quando sarò partita tu scaccerai dai tuoi pensieri il mio ricordo e io spero di poter fare altrettanto. »
Restammo seduti e in silenzio ancora per qualche minuto poi mi alzai e, allungandole una mano, l’aiutai a rialzarsi. Tornammo al suo hotel che stava imbrunendo e prima di separarci le chiesi solo di riflettere, di ripensarci.
« Lo faròLorenzo. Si dice che la notte porti consiglio. Vedremo. »
Mi rispose e poi aggiunse:
« Comunque domani quando verrai a prendermi ne parleremo meglio. In fondo, hai ragione, è una decisione che va presa con calma e assieme. »
Il mattino successivo, non vedendola arrivare all’appuntamento, andai a chiedere di lei al portiere dell’hotel e mi sentii rispondere che la signora aveva lasciato la stanza già la sera prima e che si era fatta accompagnare all’aeroporto.Mi chiese chi fossi e udito il mio nome mi allungò una busta chiusa.
« La signora l’ha lasciata per lei. »
Mi scriveva che con me aveva trascorso delle giornate indimenticabili, ma che ora desiderava solo essere dimenticata. Per giorni e giorni cercai di mettermi in contatto con lei, ma fu tutto inutile, il suo cellulare risultava sempre spento.
Isabelnon poteva rispondere. L’ho scopertotempo dopo,in aereo,guardandouna foto che il tizio seduto accanto a me volle farmi vedere. 
« Mia moglie era bellissima. E’morta in un incidente aereo un anno fa. E mi sento in colpa e anche responsabile. Avevamo litigato e ho il rammarico di non avere avuto il tempo per dirle quanto mi fosse dispiaciuto e quanto l'amassi. »
Rigirai tra le mani quella foto e la bagnai di sudore. Stavo per dirgli che l’avevo conosciuta, ma mi trattenni, perché aggiungere altro dolore, a quell’ignaro sconosciuto.
 


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