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GAIA

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

8
SET
2016

L’idea di andare a stare qualche giorno da mia sorella non mi allettava per niente. Avevo appena trascorso una splendida settimana a Ibiza, ma Bianca aveva insistito tanto che alla fine avevo accettato.

D’estate mia sorella si trasferisce sempre nella villetta al mare e, come ogni anno, con lo stabilimento balneare stipula un abbonamento familiare tutto compreso: cabina, sdraio e ombrellone e così ne presi possesso anch’io. La mia sinistra era occupata da una coppia anziana e la mia destra da una mamma con due bambini che giocando non si staccavano dalla madre. Tirai un sospiro di sollievo e cominciai a sfogliare il mio giornale. 

Il giorno successivo, dopo che la mia vicina con i bambini se ne era già andata, mia sorella mi raggiunse e come se avesse da rivelarmi un segreto, mi disse: «Di’ un po’, l’hai notata la vicina d’ombrellone?»
«La coppia anziana o la mamma con i bambini?», le chiesi. 
«La mamma», mi rispose stizzita.
«Sì, e allora?». Insistetti. «E non te la ricordi?», aggiunse. 
«No. Chi avrei dovuto riconoscere?» «Lei avresti dovuto riconoscere, perché è Gaia».
Tra le amiche d’infanzia di mia sorella c’era stata una Gaia, ma non poteva essere lei, ne ero sicuro. Dunque, le stavo per chiedere chi fosse questa nuova Gaia…
«Non te la ricordi?», ribatté lei e poi aggiunse: «Infatti all’epoca non la degnavi di uno sguardo poverina, mentre lei ti moriva dietro». 
Sì, ora vagamente ricordavo. Gaia era quella ragazzina insipida, piatta come un’asse da stiro, con i capelli lunghi e gli occhi neri che vedevo girare per casa o incontravo per strada in compagnia di mia sorella. All’epoca erano tante le amiche di mia sorella, ma io avevo cinque anni più di loro ed ero lontano anni luce dal loro mondo.
Dunque la mia vicina d’ombrellone era quella Gaia lì. Cresciuta, sposata e con due figli.
«Chissà se si ricorda di me?», chiesi. 
«Certo che si ricorda di te!», rispose mia sorella, indignata che avessi potuto dubitarne. 
«Non mi dire. E magari è ancora innamorata di me?», scherzai.
«Questo non lo so, non credo», mi rispose, con quel suo tono che sin da bambina usava per dire qualcosa che poteva significarne anche altre. 
«Però le farebbe senz’altro piacere parlare un po’ con te. Magari la prossima volta che vi incontrate salutala», concluse. 
Non ne avevo nessuna intenzione, soprattutto dopo che Bianca mi aveva raccontato il seguito della storia, e cioè che Gaia si era sposata presto come mia sorella, ma non era stata altrettanto fortunata. Suo marito l’aveva piantata poco dopo la nascita del loro secondo figlio. 
«Un vero farabutto», concluse mia sorella. 
«Mi dispiace per lei, ma io che cosa c’entro?», le chiesi.
«Gaia ormai è delusa dalla vita e degli uomini. Io cerco di rincuorarla, e le dico che non esistono solo uomini come suo marito, ma lei sembra non ascoltarmi. Be’, vedi di non comportarti male. Non fare guai, chiaro?», concluse.
«Ma se non le ho ancora rivolto la parola. Mi vuoi fare la predica a prescindere?».
«Non si sa mai, con un tipo come te», insinuò. 
«Sono venuto qui dopo le tue insistenze e solo per rilassarmi, e non ho nessuna intenzione di fare il cascamorto con la vicina d’ombrellone», le risposi piccato.
Avevo deciso a stare alla larga da Gaia perché, come aveva detto mia sorella, non si sa mai. Ma una mattina, quando arrivò in spiaggia, la curiosità mi indusse a spiare i suoi comportamenti, così la salutai e lei ricambiò il saluto con un sobrio buon giorno. 
Non l’avrei davvero mai riconosciuta, pensai. Perché quella scialba ragazzina che ricordavo, si era trasformata in una splendida donna. I capelli ora erano diventati biondi e corti. Portava gli occhiali ma quando se gli toglieva scopriva due occhi bellissimi, e rivolgendosi ai figli era così dolce e carezzevole che mi inteneriva. Insomma, mi piaceva.
Un giorno la vidi arrivare con i bambini e in compagnia di una amica. Mi salutò ma era nervosa, e anche con la sua amica parlava sottovoce e a scatti.
No, nemmeno questo mese, la sentii dire. – Ma è una vergogna, il suo è un comportamento inqualificabile. Commentò l’amica e aggiunse: Dovresti chiedere l’intervento del giudice. – Mi aiutano i miei genitori e in fondo non mi dispiace fare a meno dei suoi soldi, credimi. Meno lo vedo e meglio sto. – La sentii sbottare, prima di andare a tuffarsi.
«Sì, suo marito è un disgraziato. E prende tutto alla leggera», mi confermò mia sorella. 
La mattina dopo, giocando, il maschietto fece rotolare la palla sino ai miei piedi e quando venne a riprenderla si fermò e disse: «Ciao. E’ vero che tu hai conosci la mia mamma quando era piccola?».
Io girai la testa verso Gaia e la vidi sobbalzare. «Giovanni, ma cosa ti viene in mente? Non disturbare il signore».
«Non mi disturba affatto», intervenni, come a volerlo scusare. Poi mi rivolsi verso il ragazzino e gli dissi che si, la sua mamma l’avevo conosciuta, ma che allora non era proprio piccola. Era già una bella ragazzina di tredici anni. 
Gaia smise di spalmarsi la crema e sorrise: «Allora ti ricordi?» «Sì, che mi ricordo». 
Risposi. Nei giorni seguenti continuammo a parlare, e quando la mia vacanza ebbe termine mi dispiacque dovermene andare. Ci salutammo come due vecchi amici e quando dissi ai bambini che il giorno dopo non ci saremmo visti, loro ci rimasero molto male e il maschietto quasi piangeva.
Il rientro fu triste, perché non riuscivo a dimenticare Gaia. Mi compariva davanti appena mi svegliavo e mi chiedevo cosa stesse facendo in quel momento e se magari mi stesse pensando anche lei. E stranamente mi ritrovavo a pensare anche ai suoi due bambini. Assurdo!
«Sei sicuro di stare bene, Paolo?» Mi chiese un collega che da un po’ stava cercando di attirare la mia attenzione. Gli risposi che stavo benissimo, ma la verità era ben altra. Ero stanco. Stanco di frequentare delle ragazze di cui dopo non ricordavo nemmeno il nome. Stanco di passare da un’avventura all’altra, da una feste all’altra. 
Andai in direzione e chiesi un altro periodo di ferie e quando mi guardarono perplessi risposi che mi servivano per sbrigare degli urgenti motivi di famiglia. La sera stessa chiamai mia sorella e le dissi che sarei tornato da lei ancora per qualche giorno.
«Ero convinta che ne avessi avuto abbastanza di noi e del mare. Ma vuol dire che tutto sommato gli affetti per te contano ancora qualcosa», rispose. 
Quando arrivai ero sicuro di trovare mia sorella sulla spiaggia e così non passai da casa e andai direttamente al mare. Bianca mi abbracciò e mi chiese quale fosse il vero motivo di quell'improvvisata. Le risposi con le solite frasi di circostanza e intanto avrei voluto chiederle di Gaia, ma non ne ebbi il coraggio. Per fortuna aveva capito tutto lei: «Se ti fermi potrai rivedere anche Gaia. E' ancora in ferie e viene sempre qui con i bambini».
Quel giorno Gaia non venne, e quando il sole cominciò la sua discesa verso il mare mi alzai e me ne andai. Il giorno dopo, emozionato come un ragazzino al primo appuntamento, arrivai di buon ora allo stabilimento balneare e mi sistemai sotto l’ombrellone, e attesi.
Avevo quarant’anni, una certa esperienza con le donne, ma intanto mi stavo comportando come uno scolaretto. Se lo avessero scoperto i miei amici, sai che risate si sarebbero fatti.
Cominciai a sentirmi a disagio e stavo quasi per andarmene, ma la voce di Gaia spezzò tutti i proponimenti che nell’attesa avevo fatto. 
«Che sorpresa, sei proprio tu? Ma quando sei tornato?».
«Avevo ripreso a lavorare ma mi hanno detto che avevo altri giorni da dover consumare e allora eccomi qui», le risposi.
«Hai fatto bene. Le giornate sono ancora così belle e tua sorella è una persona speciale».
Mentre parlava le brillavano gli occhi e sembrava che le avesse fatto veramente piacere avermi rivisto e allora, quando i bambini si allontanarono per giocare sulla battigia, mi spostai sotto il suo ombrellone e le rivelai il vero motivo del mio ritorno. La sua reazione fu però molto diversa da quella che mi aspettavo e la sera, quando lo dissi a mia sorella, la sua fu altrettanto inaspettata: 
«Non farle del male. Non illuderla, ha già sofferto tanto. E di un’altra delusione non ne ha proprio bisogno».
Le risposi che non avevo nessuna intenzione di farla soffrire, e aggiunsi che stavo provando un sentimento molto forte, ma lei scosse la testa. Sicuro del mio sentimento e con gli occhi pesti dal sonno, l’indomani andai in spiaggia deciso a convincere Gaia delle mie buone intenzioni. 
Mi ero preparato mille volte il discorso e me lo ero anche ripetuto per tutta la notte, ma quando me la trovai davanti non riuscii a spiccicare parola. Era diventato tutto così complicato: i bagnanti intorno, i bambini che ogni momento interrompevano. Così, quando finalmente riuscii in qualche modo a dirgli quello che provavo per lei, non ero del tutto sicuro di aver trovato le parole giuste, e difatti non le trovai. Gaia mi guardò per un attimo con una luce di speranza nello sguardo, ma subito si rabbui di nuovo.
«Scusami ma proprio non riesco a capirti. Venti anni fa mi evitavi come un cane con la rogna. Poi torni qui, fai fatica a riconoscermi, scambiamo quattro parole sotto l’ombrellone, riparti, ed ora? Ora torni e mi dici che sei innamorato di me. Mi dici che senso ha tutto questo?».
Nemmeno io sapevo che senso avesse tutto ciò. Sapevo solo che mi ero innamorato di lei e che dovevo convincerla, ma Gaia scrollò la testa e riprese: «Va bene, ammettiamolo pure, voglio crederti. Ma io ho provato sulla mia pelle cosa significa innamorarsi della persona sbagliata e poi ritrovarmi da sola con due bambini da crescere. E anche se credo ancora in certi sentimenti, in certi valori, prima di cascarci di nuovo ci devo pensare bene». 
«E io ti dimostrerò che ti sbagli. Dammene solo la possibilità», le risposi.
Adesso non avevo più dubbi. Sapevo quello che volevo. Quindi, per me Gaia divenne una meravigliosa ossessione e giorno dopo giorno continuai ad assediarla. 
Finite anche questi ultimi giorni di ferie, tornai al lavoro, ma nei fine settimana prendevo l’aereo e tornavo da mia sorella. 
Dal canto suo Gaia sembrava contenta di vedermi, ma comunque all’inizio continuava a comportarsi con distacco: un’amica gentile, niente di più. Ma col tempo, forse perché vedeva i bambini giocare volentieri con me e mi chiamavano zio Paolo, divenne meno diffidente, meno chiusa, ma continuava comunque a protestare quando portavo dei giocattoli ai bambini. 
«Li stai viziando, e così non va bene», ripeteva.
Io sapevo di essere sulla buona strada e non demordevo, ma un sabato pomeriggio, quando la chiamai per avvisarla che sarei andato a trovarla, mi rispose che non sarebbe stato possibile vederci e non aggiunse altro.
Quando chiesi a mia sorella se ne sapesse qualcosa, mi rispose che era tornato il marito:
«Sì, quel farabutto è tornato. Non so che intenzioni abbia. Ma Gaia farebbe bene a non fidarsi di quell’uomo e gliel’ho anche detto che dovrebbe essere più risoluta nei suoi confronti. Quello se ne va, fa i comodi suoi, torna e pretende che lei accetti tutto ciò che vuole».
Il fine settimana successivo non tornai da mia sorella. Bianca mi aveva detto che il marito stava ancora con lei. Ma il weekend successivo non ce la feci e presi l’aereo. Passeggiando sul lungomare vidi Gaia che camminava in compagnia del marito e dei loro figli, ma ebbi l’impressione che non fosse felice, ne tantomeno serena. E anche i bambini mi dettero la stessa impressione, ma quando mi videro, mi corsero incontro a braccia aperte e mi saltarono al collo. Gesto che riuscì a regalarmi un momento di felicità. 
Per il resto dell’anno non tornai più da mia sorella, né chiesi di Gaia. Poi, in occasione del suo compleanno tornai e, senza che io le avessi chiesto nulla, ma sapendo che mi avrebbe fatto piacere saperlo, mi disse: «Come pensavo, Fabrizio ha smesso presto di curarsi della moglie e dei figli. E’ sparito un’altra volta».
Non persi tempo. Con un mazzo di rose scarlatte e una confezione di dolci per i bambini andai a casa sua. I bambini non c’erano, ma Gaia mi accolse con gioia. Ci mettemmo a parlare e le dissi che anche se era trascorso tanto tempo, per me non era cambiato nulla. 
«Ti amo. Me ne sono reso conto sin da subito, da quel giorno sotto l’ombrellone e ora ne sono ancora più sicuro», conclusi. 
Lei sorrise, ma mi rivolse uno sguardo severo. 
«Ti ringrazio per le parole che mi stai dicendo. Le apprezzo molto e non ti nascondo che anch’io in questi mesi ho pensato molto a te. Le tue parole mi fanno bene al cuore, anche perché, e lo sai, io ti ho sempre voluto bene, sin da quando ero ragazzina e il rivederti non ha fatto altro che confermare quel sentimento. Ma come si fa Paolo? Come facciamo? Io qui ho la mia vita, il mio lavoro e i bambini vanno a scuola qui, e tu abiti e lavori così lontano. Non me la sento di averti solo per i fine settimana».
Restammo in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, ma intanto avevo capito che ciò che le impediva di lasciarsi andare non ero io, ma tutto ciò che faceva da contorno alle nostre vite, e allora le proposi di trasferirsi da me, a casa mia. Lei lavorava in banca e avrebbe potuto chiedere il trasferimento e anche i bambini avrebbero potuto iniziare il nuovo anno scolastico senza troppe difficoltà.
A Gaia si illuminarono gli occhi, mi venne vicino e mi abbracciò.
«Non vedo l’ora di dirlo ai bambini. Loro ne saranno felicissimi». 
Concluse, continuando a baciarmi.


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