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ANCHE I GENOCIDI RETROCEDONO IN SERIE B

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

30
MAR
2012

 

Ho tentennato a lungo prima di mettere nero su bianco la riflessione che mi accingo a scrivere perché, me ne rendo perfettamente conto, vado a toccare un nervo scoperto per la coscienza del mondo occidentale in generale e del mondo cattolico in particolare. Ma confortato dalla provata laicità intellettuale dei lettori di Extra Magazine ho deciso di gettare il cuore oltre l’ostacolo, come si usa dire. Voglio parlarvi di genocidi.
L’occasione mi è offerta dal dramma che si è consumato la scorsa settimana a Tolosa, popolosa città occitana del Sud della Francia, dove un sedicente jihadista (letteralmente combattente per la vera fede) ha giustiziato un uomo e tre bambini colpevoli ai suoi occhi, ma soprattutto alla degenerazione delle sue residuali cellule cerebrali, di essere Ebrei.
In quei giorni, come accade sempre in occasione di simili tragedie, la stragrande maggioranza dei mass media si è avventata come uno stormo di avvoltoi su quei poveri corpi, straziati dalla furia delle armi, per riesumare antiche paure e risvegliare sensi di colpa mai completamente sopiti, mescolando in un calderone infernale i fantasmi dell’antisemitismo, dell’olocausto e del genocidio. Personalmente sono convinto che il rispetto per le vittime di qualunque reato imporrebbe un duplice esercizio di umiltà: il silenzio e la preghiera!
Ma sono anche convinto che sia giunto il tempo di chiarire, innanzi tutto a me stesso, i confini temporali, storici e geografici del crimine più aberrante nei confronti dell’umanità concepito dall’Uomo stesso: il genocidio!
Vorrei partire dall’origine del termine genocidio che deriva dall’unione del greco ghénos (razza) e del latino caedo (uccidere) e che, a dispetto dell’etimologia, è stato coniato in tempi recentissimi, nel 1944, da un giurista polacco studioso delle drammatiche vicissitudini del popolo armeno. Per completezza d’informazione ricordo anche l’origine del termine olocausto che, impropriamente, è ritenuto sinonimo di genocidio. L’olocausto è anch’esso originato dal greco olòcaustos a definire una tipologia di rito religioso, praticato sia dai greci che dagli ebrei, per il quale ciò che si sacrificava veniva completamente arso. Quando nella seconda metà del XX secolo il termine fu usato per descrivere il genocidio perpetrato dalla Germania nazista, gli stessi ebrei lo trovarono inopportuno perché associava l’uccisione di milioni di uomini ad un sacrificio religioso che era un’offerta a Dio. Ed hanno perfettamente ragione! Ma ci rendiamo conto degli effetti devastanti, dal punto di vista etico e spirituale, che può avere l’uso improprio delle parole? Tanto è vero che gli ebrei, per caratterizzare il loro genocidio, usano il termine Shoah che in ebraico significa catastrofe, disastro. Chiarito doverosamente che lo sterminio degli ebrei progettato dalle gerarchie naziste, e non solo, non è un olòcaustos ma bensì un ghénos caedo, è opportuno ricordare qual è la definizione ufficialmente riconosciuta di genocidio. Con la risoluzione n° 96 del 1946 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riconobbe il crimine come “Una negazione del diritto alla vita di gruppi umani, gruppi razziali, religiosi, politici o altri, che siano stati distrutti in tutto o in parte”. Successivamente, nel 1948, una nuova risoluzione dell’ONU enucleò il riferimento ai gruppi politici, contenuto nella prima risoluzione, accogliendo le forti pressioni in tal senso esercitate dall’allora potente Unione Sovietica. La soppressione di queste due semplici parole ha avuto l’effetto di distorcere gran parte della storia del mondo del ventesimo secolo e, parimenti, ci spiega perché nessuno sterminio di massa perpetrato dai regimi comunisti può essere classificato come genocidio. Tra questi ne voglio citare solo due: lo sterminio di 7 milioni di contadini ucraini nel 1932 da parte di Stalin e quello perpetrato dopo il 1975 dai Khmer rossi in Cambogia, che ha causato la morte di un milione ed ottocentomila civili.
Quanto detto fin qui è una rigorosa ma asettica ricostruzione semantica basata su fatti, date e numeri inoppugnabili. Ora è giunto il tempo di aggiungere il cuore e la passione (passione civile ovviamente) al racconto, e questo è molto più difficile.
Vi è una domanda sospesa che tutti noi almeno una volta ci siamo posta, che pochi hanno osato formulare a voce alta e che, ad oggi, non ha trovato risposta: che cosa rende il genocidio degli ebrei più drammatico, più ripugnante, più permanente nella memoria degli uomini rispetto a tutti gli altri genocidi che per secoli si sono consumati nel mondo? Proverò a dare alcune risposte ma, prima di farlo, è indispensabile rinfrescarci la memoria.
Nel XVI secolo è iniziato il genocidio dei nativi americani, del nord e del sud, da parte dei colonizzatori europei. Nell’arco di pochi decenni la popolazione autoctona del nord e del sud America è passata da circa 80 milioni a poco meno di 10 milioni. In particolare le numerose nazioni dei così detti Pellerossa contavano 8 milioni di abitanti, oggi nelle riserve (ma i campi di concentramento non erano stati aboliti?) se ne contano non più di 50.000!
Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo la feroce politica coloniale di Leopoldo II del Belgio ha provocato la morte di 10 milioni di persone in Congo.
Nel primo decennio del XX secolo i Francesi hanno sterminato la popolazione della Costa d’Avorio riducendola da 1,5 milioni ad appena 160.000.
Nello stesso periodo la popolazione del Sudan, sotto la dominazione inglese, si è ridotta da 9 a 3 milioni di abitanti.
Per concludere con il XX secolo: genocidio degli armeni nel 1915 da parte dei turchi (1,4 milioni, il 70% della popolazione); la Shoah 1941/1945 (5,2 milioni di ebrei, il 50%); il genocidio dei Tutsi da parte degli Hutu nel 1994 in Ruanda (1,2 milioni, l’80%). E, come ho spiegato prima, non possiamo includere in questo terrificante elenco i crimini compiuti da Stalin e da Mao Tse-tung.
Dinanzi a queste immani tragedie dell’umanità, quali motivazioni hanno portato il consesso internazionale a decretare il 27 gennaio (è la data in cui nel 1945 le truppe dell’Armata Rossa entrarono nel campo di Auschwitz) come il “giorno della memoria”, di fatto eleggendo una sola comunità, quella ebraica, a simbolo della sofferenza, come se la persecuzione subita da questo popolo si eleva al di sopra delle tragedie di tutti gli altri popoli?
Le risposte che ho trovato sono di varia natura e, sinceramente, non tutte edificanti. La prima risposta è che, da sempre, la storia è fatta dai vincitori e che mai i vinti, come lo sono stati i nativi d’America e gli africani, hanno potuto contare sul sostegno di sponsor politici e finanziari molto potenti. In secondo luogo la circostanza, non irrilevante, che la nostra è la civiltà delle immagini e che solo per lo sterminio degli ebrei ci sono testimonianze visive terrificanti ed inconfutabili, tal che si può mutuare il detto “occhio non vede, cuore non duole”. Il terzo motivo è squisitamente di carattere economico. La diaspora del popolo d’Israele nel mondo ha prodotto la nascita ed il radicamento delle potentissime lobby ebraiche in tutto l’occidente e, con queste, tutte le grandi potenze devono fare i conti.
Assistiamo così, inermi, ad una ulteriore aberrazione all’interno di un quadro generale di per se aberrante: il genocidio degli ebrei è un crimine di serie A, tutti gli altri si barcamenano in serie B e nelle categorie inferiori.
Se altri dovessero dissentire in merito a queste motivazioni e me ne fornissero di più convincenti, sono disposto a farle mie. Ma che mi vengano risparmiate le motivazioni di carattere religioso. Per quelle mi basta la battuta che il Marchese del Grillo (Alberto Sordi) rivolge al falegname ebreo Aronne Piperno al quale aveva fatto un sopruso “…per non parlare del fatto che i tuoi fratelli falegnami giudei hanno fabbricato la croce su cui è stato crocifisso nostro Signore Gesù Cristo. Posso essere ancora un po’ incazzato?”.
In ogni caso, fin che avrò vita, sarò sempre dalla parte degli africani schiavizzati e trucidati, dei nativi americani sterminati e degli ebrei perseguitati. Tutti uguali, tutti fratelli.


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